Cassazione: indagini preliminari
In materia di ricorso per Cassazione, deve intendersi affetta da genericità la censura con la quale la parte eccepisca la inutilizzabilità di un atto, senza, tuttavia, dedurne la rilevanza probatoria nel contesto degli altri elementi di prova. Con particolare riferimento alla asserita inutilizzabilità di un atto di indagine per l’intervenuto compimento dello stesso fuori dai termini a tal uopo dalla legge stabiliti o dal giudice prorogati, qualora si prospetti la sussistenza di atti invalidi o viziati, si rende necessario provare che essi abbiano effettivamente tenuto conto della attività illegittimamente espletata, apparendo indispensabile accertare se il giudice di merito, al fine di formare il proprio convincimento in relazione ad un provvedimento adottato, abbia concretamente fatto uso degli atti acquisiti al di fuori del codice di rito. L’obbligo di specificità dei motivi, come prescritto ex art. 581 c.p.p., imponeva, pertanto, al ricorrente nel caso concreto l’onere di allegare e chiarire quali atti sarebbero stati posti in essere a termini scaduti e, quindi, tali da considerarsi inutilizzabili, nonché la incidenza dai medesimi avuta sul complessivo compendio indiziario valutato ed apprezzato dal giudice, sì da potersene inferire la loro decisività in riferimento al provvedimento impugnato. Stante, nella specie, la non ottemperanza del ricorrente all’onere suddetto, deve concludersi per la declaratoria di inammissibilità del proposto motivo in quanto generico.
La comminatoria della inutilizzabilità degli atti di indagine, come disposta dalla norma di cui all’art. 407, comma terzo, c.p.p., concerne solo gli atti compiuti dopo l’intervenuta scadenza del termine prefissato dalla legge o prorogato dal giudice e non anche quelli compiuti nel corso di detto termine. In tal senso, rilevato, altresì, il principio di tassatività delle nullità fissato dalla norma ex art. 177 c.p.p., sebbene possa discutersi in ordine alla determinazione del termine a quo – ovvero della data di inizio della decorrenza di un termine – dal quale necessariamente dipende la fissazione del successivo termine ad quem – in quanto termine finale – alla intervenuta fissazione degli stessi consegue la certa utilizzabilità degli atti di indagine medio tempore compiuti, e dunque collocati nel lasso temporale intercorrente tra il primo ed il secondo termine. In ogni caso, in ipotesi siffatte la problematica che potrebbe porsi attiene unicamente la artificiosa dilazione del termine di durata massima delle indagini preliminari – ovvero la possibilità di eludere la sanzione della inutilizzabilità comminata ex art. 407, comma terzo, c.p.p. – la quale avrebbe ad oggetto unicamente gli atti compiuti in seguito alla scadenza del termine, computato dal momento in cui avrebbe dovuto essere effettuata la iscrizione nel registro degli indagati, e non già gli atti di indagine di fatto compiuti in un periodo antecedente detta iscrizione. Invero, sarebbe, al contrario, del tutto incongruo sostenere che gli atti compiuti prima della iscrizione formale siano per ciò solo inutilizzabili, coinvolgendo così nella stessa sanzione di inutilizzabilità gli atti compiuti prima (pur nei limiti temporali individuati) e quelli compiuti dopo (ovvero oltre quegli stessi limiti), in tal guisa prospettando un diverso (ed additivo) regime normativo, rispetto a quello delineato ed imposto dal legislatore, al che deriverebbe un indebito restringimento della durata delle indagini prevista dal codice di rito, se non un definitivo pregiudizio della stessa possibilità di ogni indagine.
Cass. pen., Sez. Un., ud. 23 aprile 2009, dep. 10 giugno 2009, n. 23868