Cassazione: lo stato d’ira che porta alla redazione di frasi diffamatorie nei confronti del datore di lavoro può essere causa di non punibilità
La
Corte di Cassazione, con sentenza n. 7073 del 23 febbraio 2011, ha
riconosciuto come lo stato d’ira, che porta il lavoratore alla redazione
di comunicazioni scritte contenenti frasi ritenute diffamatorie nei
confronti dell’azienda, può essere causa di non punibilità per il
lavoratore. Il caso vede protagonista un lavoratore licenziato, a
seguito di una denuncia calunniosa per molestie sessuali, con promessa
di un lavoro alternativo alla quale però l’azienda non teneva fede;
circostanza quest’ultima che provocava nel lavoratore un incontenibile
stato d’ira che sfociava nella redazione di volantini offensivi a danno
dell’azienda. Il Giudice di Pace condannava
il lavoratore per diffamazione aggravata; avverso tale sentenza
ricorreva in Cassazione il dipendente, ritenendo la sentenza ingiusta
ed errata per non aver tenuto conto delle condizioni fisiche e
psichiche in cui versava. La Suprema Corte, sottolineando che
incongruamente il GdP ha sostenuto che l’imputato avrebbe dovuto agire
in sede civile, dimenticando che lo stato d’ira è condizione
psicologica che tende ad annullare l’approccio razionale ai problemi,
accoglie il ricorso annullando la sentenza con rinvio. Gli Ermellini
precisano che la condotta tenuta dal lavoratore era espressiva di uno
sfogo di astio e di livore nei confronti di chi, nella mente
dell’imputato, gli aveva fatto un torto ed evidenziano come il Gdp
“avrebbe dovuto valutare: a) se la condotta delle persone diffamate
integrasse un fatto ingiusto e quindi gli estremi della provocazione, b)
se la condotta del ricorrente potesse essere considerata una reazione a
tale fatto ingiusto, c) se ricorresse il requisito della immediatezza,
tenendo presente che (…) non è necessario che la reazione venga
attuata nello stesso momento in cui si sia ricevuta l’offesa, essendo
sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato
dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo,
ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle
esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa”.