Cassazione: mano pesante sui siti che violano il diritto d’autore
Mano pesante della Cassazione – e il primo a farne le spese potrebbe
essere il sito svedese “Pirate Bay”, leader nel libero scambio di file
audio e video – sui siti web che forniscono agli utenti la possibilità
di scaricare gratuitamente da Internet, tramite la messa a disposizione
di chiavi di accesso, opere complete protette dal diritto d’autore come
film e cd. La Corte, con la sentenza n. 49437
depositata ieri e destinata a costituire un punto di riferimento nella
delicata materia del diritto penale del web, ha annullato l’ordinanza,
favorevole a «Pirate Bay» con la quale il tribunale del riesame di
Bergamo aveva cancellato la pronuncia del Gip che da una parte aveva
stabilito il sequestro del sito svedese e aveva, dall’altra, imposto ai
provider italiani di bloccarne l’accesso.
La Cassazione adesso ha
rinviato la questione di nuovo al tribunale di Bergamo che dovrà
decidere tenendo conto di questo principio di diritto: «sussistendo gli
elementi del reato di cui all’articolo 171 ter comma 2 lettera a-bis)
legge 633/41, il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito
web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di
diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d’autore,
senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del
servizio di connessione internet escludano l’accesso al sito al
limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali
opere».
La sentenza sottolinea innanzitutto le modalità con le quali
è avvenuta la (presunta, per ora, visto che si tratta di confermare o
meno una misura cautelare come il sequestro) violazione del diritto
d’autore. La Corte precisa così che, nel caso di «Pirate Bay», la
diffusione dell’opera coperta dal diritto d’autore non avviene dal
centro (il sito web) alla periferia (gli utenti) che riceve i file per
via telematica, pratica di downloading, «ma da utente (che effettua
l’uploading) ad utenti che lo ricevono». Quindi da pari a pari, peer to
peer, non essendoci un centro che possiede l’opera e la trasferisce
agli utenti che accedono al sito.
Il problema che allora si pone è
quello della responsabilità del titolare del sito che mette in
comunicazione gli utenti che commettono l’illecito con l’attività di
uploading. La Corte osserva che se il sito web si limitasse a mettere a
disposizione il protocollo di comunicazione, come quello peer to peer,
per permettere la condivisione di file contenenti l’opera coperta da
diritto d’autore, ed il loro trasferimento tra utenti, il titolare non
sarebbe responsabile. Discorso diverso se vengono indicizzate le
informazioni che arrivano dagli utenti, tutti potenziali autori di
uploading, in maniera tale che queste informazioni «anche se ridotte al
minimo ma pur sempre essenziali perché gli utenti possano orientarsi
chiedendo il downloading di quell’opera piuttosto che un’altra sono in
tal modo elaborate e rese disponibili nel sito, ad esempio attraverso
un motore di ricerca».
L’attività di trasporto, a quel punto, non è
più «agnostica», ma si caratterizza come trasporto di dati contenenti
materiale coperto da diritto d’autore. Ed allora è vero che lo scambio
dei file avviene da utente a utente, ma l’attività del sito web è
quella che permette lo svolgimento di tutte le operazioni e, per questo
nella lettura della Cassazione, esiste un apporto causale alla condotta
illecita che può essere inquadrato giuridicamente nel concorso di
persone, in base al quale l’attività di concorso nel reato può essere
rappresentata da qualsiasi forma di compartecipazione o contributo, di
ordine materiale o psicologico, a tutte o solo alcune della fasi
dell’illecito. Nessun decentramento così, malgrado la tecnologia peer
to peer, della condotta illegale di diffusione di opera coperta da
copyright.