Cassazione: non sono utilizzabili per condanna dichiarazioni predibattimentali teste resosi poi irreperibile
Cassazione sentenza n. 9665 del 10 marzo 2011
Con la sentenza n. 9665 del 10 marzo 2011 la sesta sezione penale ha stabilito che le dichiarazioni rese nel corso della fase predibattimentale dal testimone che si rende improvvisamente irreperibile non si possono utilizzare ai fini della condanna. Per questo motivo la Corte di cassazione ha annullato con rinvio, la sentenza della Corte di Appello con cui erano stati condannati sei piccoli spacciatori, cd. “pusher”, sulla base delle dichiarazioni di un testimone che si era poi reso irreperibile. La Corte, ritenendo fondati i motivi di ricorso, proposti dagli imputati, ha precisato che “la sopravvenuta ed imprevedibile irreperibilità dei soggetti le cui dichiarazioni siano già state ritualmente acquisite in sede predibattimentale e dei quali non possa dirsi provata la volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale” rientra nei casi di accertata impossibilità oggettiva i quali, ex art. 111, comma quinto, Cost., derogano alla regola della formazione della prova nel contraddittorio delle parti; con la conseguenza che, in tal caso, non rileva la prospettata violazione dell’art. 6, comma terzo, lett. d) C.E.D.U. (come interpretato dalle pronunce della Corte di Strasburgo), in quanto, come si evince dalle sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007, le norme della predetta Convenzione, ancorché direttamente vincolanti, nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo, per il giudice nazionale, non possono tuttavia comportare la disapplicazione delle norme interne, con esse ipoteticamente contrastanti, se e in quanto queste ultime siano attuative di principi affermati dalla Costituzione, cui anche le norme convenzionali devono ritenersi subordinate, condizione soddisfatta dall’applicabilità dell’art. 111, comma quinto, Cost. (Cass. pen. sez. 5, 16269/2010 Rv. 247258)”. La Corte ha poi aggiunto che in tema di letture dibattimentali, di cui all’art. 512 c.p.p. “la sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’atto, nel caso di irreperibilità del teste, ricorre esclusivamente se tale situazione, non solo sia “imprevedibile” (…) ma sia pure “oggettiva”, nel senso che non vi siano elementi da cui desumere che il soggetto si sia volontariamente sottratto all’esame. In tale ultima evenienza non si configura l’ipotesi di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio cui si riferisce l’art. 111, comma 5 della Costituzione”. È stato infatti rilevato come nel caso di specie “la volontà di sottrarsi all’esame era ragionevolmente desumibile (…) dal comportamento del teste il quale, regolarmente citato per ben tre volte consecutive a comparire in udienza, non è comparso facendo successivamente perdere le sue tracce”.