Cassazione Penale: ancora sul made in e sulla denominazione di origine
Con una articolata pronuncia in materia di indicazione del made in e di denominazione di origine, la Cassazione ha ribadito che “Pertanto, attualmente, un obbligo di indicazione della origine estera del prodotto sussiste soltanto nell’ipotesi di uso del marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana. Peraltro, anche in questo caso, non è indispensabile l’indicazione del paese di fabbricazione, essendo sufficienti altre indicazioni che evitino fraintendimenti del consumatore sull’effettiva origine del prodotto ovvero una attestazione sulle informazioni che verranno in seguito rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.”
Secondo la Cassazione: “Un obbligo del genere, inoltre, potrebbe, in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., portare ad una ingiustificata disparità di trattamento tra gli imprenditori nazionali e ad una compressione della libertà di iniziativa nei confronti di alcuni imprenditori nazionali. Ed invero, sarebbe consentito solo agli imprenditori nazionali che si rivolgono, per la realizzazione dei propri prodotti, ad altri produttori nazionali, di omettere la indicazione della origine e provenienza, mentre tale indicazione sarebbe obbligatoria -a prescindere da ogni incidenza sulla qualità del prodotto -qualora i prodotti fossero realizzati, a parità di condizioni qualitative, all’estero. Inoltre, poiché in ambito comunitario vige il principio che il prodotto legalmente commercializzato in uno Stato membro deve poter essere commercializzato negli altri Stati membri (a meno che non ricorrano esigenze imperative quali la tutela della salute, la lealtà dei rapporti commerciali, i diritti di privativa industriale, nella specie non configurabili) e poiché non risulta l’esistenza di norme comunitarie che impongano l’indicazione della origine e provenienza del prodotto in casi come quello in esame, potrebbe ipotizzarsi un caso di discriminazione alla rovescia. Invero, l’operatore nazionale potrebbe trovarsi discriminato a favore dell’operatore di altro Stato membro, perché ad esso sarebbe imposto l’obbligo di indicazione della origine della merce prodotta all’estero, mentre all’operatore di altro stato membro (ovviamente libero di commercializzare sul mercato italiano) tale obbligo non sarebbe imposto. Ulteriori profili di irrazionale disparità di trattamento potrebbero ravvisarsi nell’ipotesi che l’obbligo di indicazione della fabbricazione all’estero sussista solo per i prodotti cui sono apposti marchi o diciture italiane o che li facciano apparire come prodotti in Italia e non anche quando siano apposti marchi o diciture di altri Stati dell’Unione”.
Nel caso di specie (sequestro di merce priva della etichetta «made in Italy», ma recante la sola etichetta con la dicitura «Prodotto e distribuito da FI Studio Srl Floreze Italy») la Corte ha stabilito che “in caso di sequestro probatorio, per disporre la revoca del sequestro è anche necessario che il giudice accerti che, nonostante la regolarizzazione, non permangano ancora le specifiche esigenze probatorie che avevano giustificato l’apposizione ed il mantenimento del vincolo. Nella specie l’ordinanza impugnata è totalmente priva di motivazione in proposito, sicché la stessa deve essere annullata con rinvio”.