Cassazione: rischia il carcere chi crea un e-mail con falsa identità
Commette un reato chi crea una falsa identità su internet. Uno dei
casi più frequenti di abuso delle enormi possibilità di comunicazione
offerte dalla Rete, su cui da tempo ci si interroga per individuare
forme adeguate di protezione per utenti e no. Tanto più urgenti con la
diffusione su larga scala del commercio elettronico. La Cassazione,
sentenza n. 46674 della Quinta sezione penale ha confermato la condanna
ricevuta per sostituzione d’identità da un uomo che aveva creato un
account di posta elettronica utilizzando il nominativo di una propria
conoscente con l’obiettivo di provocarle un danno. Utilizzando
l’indirizzo mail, l’uomo aveva poi allacciato rapporti con utenti della
rete spacciandosi per la ragazza. Che a sua volta aveva poco dopo
iniziato a ricevere telefonate con proposte di incontri a scopo
sessuale.
La Cassazione, respingendo il ricorso presentato dalla
difesa dell’imputato e confermando la pronuncia della Corte d’appello,
ha chiarito che l’articolo del Codice penale a tutela dell’identità (il
n. 494, che, tra l’altro, prevede un massimo di pena sino a un anno e
impedisce di fatto l’effettuazione dell’arresto nei confronti del
sospetto) ha come obiettivo anche la protezione della fede pubblica
degli utenti che, nel caso, credono di entrare in relazione con una
persona diversa da quella reale. Pubblica fede che può essere sorpresa
da inganni e raggiri relativi alla vera identità di una persona,
identità da intendere in senso ampio come comprendente anche, per
esempio, i suoi attribuiti sociali.
«E siccome – spiega la Corte – si tratta di inganni che possono
superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, così il
legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede
pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica
del diritto al nome».
A nulla sono valse le obiezioni della difesa
che aveva invece pubnato sull’assoluta ordinarietà dela condotta
incriminata, sottolineando come sia possibile per chiunque attivare un
account di posta elettronica con un nominativo diverso dal proprio,
anche di pura fantasia. È vero ed assolutamente pacifico, replica la
Corte. Ma il punto non è questo. A essere ingannato, infatti, non è
tanto il server che fornisce il servizio di posta elettronica, quanto
piuttosto la comunità della rete. Che si è trovata ad avere a che fare
con una persona differente da quella prevista
Come pure, priva di
fondamento è, per la Cassazione, l’osservazione, sempre formulata dalla
difesa che «il contatto non avviene sull’intuitus personae, ma con
riferimento alle prospettate attitudini dell’inserzionista». Non è
indifferente, precisa la sentenza, per l’interlocutore che il rapporto
descritto nel messaggio sia offerto da un soggetto che non è quello che
appare. Per di più, nel caso affrontato, di sesso diverso.