Cassazione, telefonate dall’ufficio solo se è urgente altrimenti si rischia una pena
Telefonare a casa o un amico dall’ufficio?
Solo se le chiamate sono «sporadiche» e «urgenti», tutte le altre,
specie se fatte per puro divertimento, mettono il dipendente pubblico a
rischio di condanna per il reato di peculato. Lo ricorda la Cassazione
nello stilare un vero e proprio vademecum per gli impiegati. La Sesta
sezione penale sostiene che «l’uso privato dell’apparecchio telefonico
comporta l’appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie
alla comunicazione, di cui l’impiegato ha disponibilità per ragioni di
ufficio» per cui rientra nel reato punito dall’art. 314 c.p. l’«uso
smodato» e «non episodico» del telefono aziendale per fini privati.
Applicando
questo principio, la Suprema Corte (sentenza 21165) ha confermato la
condanna per peculato continuato nei confronti di Giovanni A.,
segretario del reparto di otorinolaringoiatria dell’ospedale “Giaccone”
di Palermo, colpevole di avere effettuato, tra l’aprile del 2000 e il
maggio di due anni dopo, numerose telefonate private, anche in paesi
esteri come la Romania, la Germania, l’Ucraina. Chiamate che
l’impiegato, condannato anche per abuso d’ufficio, come spiega la
sentenza, non faceva tanto spinto da «pressanti esigenze di relazione»
ma per «soddisfare la sua sfera ludica (frequenti contatti, anche
internazionali, con appassionati di caccia)» per un valore di energie
sottratte pari a 2.354 euro.
Inutile il ricorso di Giovanni A.
in Cassazione volto a ribaltare il verdetto della Corte d’appello di
Palermo del maggio 2006. La Cassazione ha respinto il ricorso e ha
ricordato che nel caso in questione «non si verte in quella
utilizzazione episodica ed economica del telefono, fatta per
contingenti e rilevanti esigenze personali, che la rende condotta
inoffensiva». Infatti, quando «l’impiego privato del telefono
d’ufficio» esce dalla sporadicità e viene usato spesso per telefonate
personali, il comportamento del dipendente pubblico telefonate
dall’ufficio solo se va censurato con una condanna per peculato.