Censis, 3 famiglie su 10 in difficoltà a fine mese
In Italia, 3 famiglie su 10 hanno difficoltà ad arrivare a fine mese.
Sono, esattamente, il 28,5%, con un picco al Sud, dove arrivano a quota
36,5 per cento. Ormai, stringere la cinta non basta più: il 41%, per
andare avanti, usa i risparmi accumulati, il 22%, la carta di credito,
per rinviare i pagamenti al mese successivo e, ancora, in un caso su 4,
si tenta, pure, la strada del lavoretto saltuario, per arrotondare. Ma
la situazione è tutt’altro che rosea, visto che la crisi non ha
risparmiato, neppure, le aziende: nel solo terziario, nel 2009, hanno
chiuso i battenti ben 162mila imprese. Nel Mezzogiorno, sono stati
bruciati qualcosa come 271mila posti di lavoro (-4,1%) e l’industria e
il turismo hanno perso il loro ruolo di “posto rifugio”. Non esita a
parlare di “vita in apnea”, il direttore generale del Censis, Giuseppe
Roma, nel corso della presentazione, nella sede del Cnel, a Roma,
dell’annuale rapporto sulle condizioni sociali ed economiche del
Belpaese.
Interi settori produttivi in profondo rosso. È
un’Italia in chiaro-scuro, quella fotografata dalla ricerca, con un
mercato del lavoro che regge, ma penalizza, soprattutto, le fasce più
deboli, un debito pubblico alle stelle, che paralizza le scelte di
politica economica, mentre interi settori produttivi entrano in
profondo rosso.
Non frena il boom di Internet.
La crisi, però, non frena il boom di internet e, soprattutto, dei
servizi telefonici, cresciuti del 214%, con una spesa, nel 2008, di
circa 22,7 miliardi di euro. Ma, al tempo stesso, rende tutti più
nervosi: aumenta la micro-conflittualità nei condomini (specie per
futili motivi, come utilizzo di parti comuni e rumori molesti) e il
numero di violenze familiari, dai 97 omicidi in famiglia, del 1992, si
è passati ai 192, del 2006, + 98 per cento.
Persi 378mila posti di lavoro, soprattutto al Sud.
Complessivamente, anche, il Censis, confermando i dati di altre recenti
ricerche nazionali e internazionali, evidenzia una sostanziale tenuta
del nostro mercato del lavoro. A metà 2009, si sono persi 378mila posti
di lavoro (-1,6%, rispetto allo stesso periodo 2008), di cui 271mila al
Sud. Abbiamo fatto meglio della Spagna (1 milione 480 mila occupati in
meno, -7,2%) e della Gran Bretagna (600 mila, -2%), ma perdiamo terreno
rispetto a Francia (-0,3%) e Germania (+0,5 per cento). Tuttavia, la
crisi ha toccato il settore lavoro, lasciando alcuni segni
preoccupanti. Il primo, è che si sono colpite, specialmente, le diverse
forme di lavoro a termine (-229 mila lavoratori, -9,4%), le
collaborazioni a progetto (-12,1%) e quelle occasionali (-19,9 per
cento). Mentre il popolo delle partite Iva è aumentato, a causa della
sostituzione dei contratti flessibili con formule, ancora, più
esternalizzate e a basso costo, raggiungendo quasi quota un milione
(+132 mila, +16,3 per cento).
Lavoro sempre più precario per i giovani.
La difficile situazione lavorativa pesa, poi, soprattutto sui ragazzi.
Tre i dati più significativi. Intanto, deve far rifletter come il 45,4%
di chi ha perso il lavoro nell’ultimo anno abbia meno di 34 anni.
Praticamente uno su 2. E preoccupano, anche, le aspettative retributive
dei giovani “colletti bianchi” (il Censis intervista quelli laureati in
economia e in ingegneria), che risultano essere di gran lunga minori di
quelle dei loro colleghi europei. Nel 2009 il primo stipendio annuo
atteso è inferiore rispettivamente del 20,2% e del 21,4% di quello
medio europeo. A questo dato si aggiunga, pure, che il 19,3% dei
giovani italiani di 18-24 anni non è in possesso di un diploma e non è
più in formazione, contro il 12,7% di Francia e Germania, il 13% del
Regno Unito, il 14,8% medio europeo. L’Isfol, recentemente, li ha
definiti “ragazzi fantasma”, cioè, ad altissimo rischio di dispersione
e di finire a ingrossare le già robuste fila del lavoro nero e
clandestino.
La difficile congiuntura si è abbattuta sulle imprese. Niente
brindisi per l’industria: segni meno per manifatturiero, commercio al
dettaglio, terziario. La difficile congiuntura economica, prosegue il
Censis, si è abbattuta, anche, sul mondo delle imprese. A preoccupare
è, in primo luogo, la grave flessione delle esportazioni del
manifatturiero (-24% nei primi 8 mesi dell’anno), che ha portato, tra
gennaio e settembre, a far chiudere i battenti a oltre 30mila imprese
(quasi l’1 per cento). Ma è il commercio al dettaglio il settore più
colpito, con più di 50mila aziende cessate. Anche l’intero comparto del
terziario è entrato in una fase di profonda riorganizzazione, con un
saldo fortemente negativo tra iscrizioni e cancellazioni di imprese:
-162mila. I segmenti più in difficoltà sono: trasporti e magazzinaggio,
(-29,1 per mille imprese attive), immobiliare (-16,9), attività
finanziarie e assicurative (-12,5), servizi di informazione e
comunicazione (-8,5), servizi legati al turismo (-6,5).
L’economia sommersa vale 275 miliardi di euro.
Sfogliando le circa 700 pagine del rapporto del Censis, emergono,
anche, altri dati piuttosto interessanti. Come, per esempio, quello sul
peso del sommerso in Italia, che viene stimato intorno al 19% del Pil.
Con la crisi, sottolinea lo studio, tale quota potrebbe essere
aumentata, raggiungendo un valore di 275 miliardi di euro. Cresce, poi,
la spesa pensionistica e sanitaria (intorno, rispettivamente, a 250
miliardi e a 120 miliardi di euro) e gli interessi sul debito (poco
meno di 100 miliardi di euro, nel 2013). Ma diminuiscono le spese in
conto capitale (non supereranno i 60 miliardi di euro). E per
ripartire, la ricetta degli italiani è molto semplice: bisogna aiutare
soprattutto le famiglie con figli (49,7% di risposte) e i giovani
(48,8%), piuttosto che gli anziani (21,8 per cento). Oltre il 33% del
campione, poi, ritiene importante aiutare la piccola impresa, meno del
5% richiama la necessità di supportare le grandi aziende. Il 57,7%
delle famiglie del ceto medio ritiene, anche, indispensabile ridurre le
tasse sui lavoratori dipendenti, il 42,3% è convinto, invece, che solo
la riduzione di imposte e oneri gravanti sulle imprese (ad esempio, la
progressiva abolizione dell’Irap) favorirà la ripartenza, che, quasi
tutti, concordano: «inizierà nel 2010».