Censis:"Nascite frenate da crisi"
Le famiglie italiane stringono sempre più la cinghia: hanno cambiato
i consumi e gli stili di vita, rinunciano agli extra, fanno sempre più
la spesa nei discount e mangiano meno fuori casa. Per far fronte alle
difficoltà economiche, poi quasi la metà ha toccato i risparmi
accumulati negli anni precedenti. E per il futuro nutrono
preoccupazioni, tanto che sono sempre più le coppie che rinunciano a
fare figli: una volta avuto il primo bebé, mediamente in età
relativamente avanzata, molte madri non ne fanno altri pur
desiderandoli. E’ quanto emerge dal Rapporto Censis 2009 che fotografa
così una Italia in chiaro scuro.
Il 30% delle famiglie arriva a stento a fine mese
Più
di una famiglia su quattro arriva a stento a fine mese. E per coprire
le necessità quotidiane è costretta ad ingegnarsi attingendo così ai
risparmi accumulati nel tempo, dilazionando i pagamenti o chiedendo un
prestito. A guidarle, una comune strategia: tagliare su tutto, mettendo
al bando gli sprechi e ridefinendo i propri consumi. In una corsa
sempre più alla ricerca delle offerte e dei prezzi più convenienti, in
cui anche il carrello della spesa e la casa diventano low cost. Mentre
si dice addio ai vizi che costano troppo, sigarette in testa.
Dall’indagine
emerge che il 28,5% delle famiglie ha avuto difficoltà a coprire le
spese mensili con il proprio reddito. Un dato che si confronta, al
contrario, con un 71,5% che invece dichiara di avere un reddito
sufficiente, con una quota che sale quasi al 79% nel nord-est e scende
al 63,5% al sud.
Le famiglie che ogni mese si trovano in affanno
hanno fatto ricorso a “fonti alternative”: il 41% ha messo mano ai
risparmi accumulati nel passato; in oltre un quarto dei casi (25,4%)
uno o più membri ha svolto lavoretti saltuari per integrare il reddito;
il 22,2% ha utilizzato la carta di credito per rinviare al mese
successivo i pagamenti; ma c’è anche un 10,5% che si è fatto prestare
soldi da parenti o amici; mentre l’8,9% ha fatto ricorso a prestiti di
istituti finanziari e il 5,1% ha acquistato presso commercianti che
fanno credito.
Cambiano gli stili di vita: più discount e meno ristoranti
Intanto,
però, gli stili di vita cambiano. Oltre l’83% delle famiglie italiane,
infatti, negli ultimi 18 mesi ha modificato le proprie abitudini
alimentari (il 7% molto), con un 40% che afferma di aver innanzitutto
contenuto gli sprechi. Un altro 39,7% ha legato i propri acquisti ai
prezzi più convenienti e quasi il 35% ha eliminato dal budget alcuni
prodotti troppo ‘pesanti’: lo hanno fatto soprattutto gli anziani
(46%). C’è anche chi, il 15,6% delle famiglie, ha ridotto la quantità
di alimenti consumati, insieme a chi si è accontentato (12,7%) di
prodotti di qualità inferiore. Tanto che, in generale, se il 65% dice
di acquistare prodotti di marca, il 18,6% afferma di fare regolarmente
ricorso a prodotti low cost.
Non manca, poi, chi (il 35%) ha
ridotto l’uso dell’auto per camminare di più e chi rinuncia alle
sigarette (quasi l’11%) perché costano troppo.
Le famiglie non vanno oltre il primo figlio
I
problemi economici scoraggiano le donne italiane a fare figli. Una
volta avuto il primo bebè, mediamente in età relativamente avanzata,
molte madri non ne fanno altri pur desiderandoli: circa un terzo di
esse cita a questo proposito motivi economici (20,6%) e di lavoro
(9,5%).
Il tasso di fecondità, nonostante la timida crescita
degli ultimi anni, trainata peraltro in gran parte dagli immigrati,
rimane tra i più bassi d’Europa: il numero di nuovi nati per 1.000
donne in età fertile nel 2007 è infatti pari a 40,3% contro i 41,9%
della Grecia, i 43,1% della Spagna e i 54,8% della Francia”.
La crisi ha bruciato 760 mila posti di lavoro
A
preoccupare di più gli italiani è il lavoro. In un anno a causa della
crisi sono stati persi oltre 760 mila posti. Per l’esattezza, scrive il
Censis, sono 763 mila quanti coloro che non hanno più una occupazione
perché licenziati, o messi in mobilità, o per interruzione dei
contratti o per chiusura dell’attività. Un nucleo costituito
prevalentemente da dipendenti (83,9%), uomini (56,4%), residenti al
nord (42,8%) quanto al sud (37,0%). Circa il 42% lavorava
nell’industria della trasformazione (27,1%) e nell’edilizia (15,1%), il
14,5% nel commercio e il 9,1% nei servizi alle imprese.
A
questa platea “già numerosa – sottolinea ancora il rapporto – si
aggiungono quanti, pur occupati, lavorano a regime ridotto”: sono
risultate circa 310 mila le persone che nella settimana in cui sono
state intervistate non hanno lavorato mentre circa 415 mila l’hanno
fatto ma per meno ore del solito. Si tratta per lo più di lavoratori
dipendenti, in Cassa integrazione o mobilità (quasi 350 mila) e sono
concentrati soprattutto al Nord (65,0%), segno di come in quest’area
del Paese “il sistema, che pure ha tenuto – viene sottolineato – stia
però registrando preoccupanti segnali di affanno”.
Fino ad
oggi “il mercato del lavoro in Italia ha tendenzialmente retto, o
almeno non ha reagito alla crisi peggio di quello di altri Paesi”,
afferma infatti il Censis, ricordando i dati Istat secondo cui a giugno
2009 risultavano persi, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso,
378 mila posti di lavoro, con una diminuzione dell’occupazione
dell’1,6%. “Un dato esattamente in linea con quello medio europeo – si
evidenzia – migliore delle performance di Paesi come Spagna (che ha
bruciato 1 milione 480 mila posti di lavoro, con una perdita del 7,2%)
e Gran Bretagna (600 mila posti in meno, con un decremento del 2%), ma
peggiore rispetto alla Germania (dove l’occupazione è addirittura
aumentata, segnando un +0,5%) e alla Francia (-0,3%)”.
Ad
ottobre, sulla base degli ultimi dati diffusi dall’Istat, i disoccupati
sono cresciuti di 39 mila unità rispetto a settembre (+2%) e di 236
mila unità rispetto a ottobre 2008 (+13,4%).
La crisi
economica fa impennare l’evasione fiscale. Secondo le stime effettuate
dal Censis, l’ampiezza dell’economia sommersa si aggira intorno al 19%
del Pil. Con la crisi tale quota potrebbe essersi anche dilatata,
raggiungendo un valore attorno ai 275 miliardi di euro.
Nel
Rapporto sulla situazione sociale del Paese nel 2009, il Censis ricorda
l’Italia è al sesto posto in Europa per peso dell’imposizione fiscale
sul Pil, con una incidenza del 42,8% a fronte di una media europea del
39,8%. Però solo il 2,2% dei contribuenti (893.706 in valore assoluto)
dichiara un reddito che supera i 70.000 euro annui, circa il 50% degli
italiani presenta redditi che non vanno oltre i 15.000 euro e il 31%
dichiara tra 15.000 e 26.000 euro. Il reddito medio dichiarato è di
18.373 euro pro-capite: si va da un massimo di 20.851 euro nel
Nord-Ovest a un minimo di 14.440 euro al Sud. La provincia con il
valore più alto è Milano, con una dichiarazione media di 24.365 euro,
l’ultima è Vibo Valentia, con 12.199 euro per contribuente.
Il
63% degli italiani, comunque, è convinto che se si riducessero le tasse
godrebbe di una maggiore disponibilità economica personale, mentre solo
il 37% ritiene che pagando meno tasse subirebbe una sensibile riduzione
dei servizi pubblici a disposizione. Se dunque il sentimento dominante
è la paura che una tassazione eccessiva possa erodere il proprio potere
d’acquisto, è evidente che “nei momenti di crisi economica la
tentazione di non pagare le imposte dovute si fa più consistente”. Non
a caso, l’evasione fiscale è segnalata tra le questioni prioritarie dal
21% degli italiani, sopravanzata da problemi quali la disoccupazione,
la criminalità, la povertà, l’immigrazione extracomunitaria,
l’inefficienza del sistema sanitario.