Centarle rischi crif Tribunale di Pescara ordinanza del 21 dicembre 2006
Tribunale di Pescara ordinanza del 21 dicembre 2006 – Giudice Dott. G. Falco
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Sintesi alla fonte: http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/487.htm
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TRIBUNALE DI PESCARA
ORDINANZA
R.G. N. 5494/2006 e 5495/2006 (riuniti)
Il Giudice,
a scioglimento della riserva di cui all’udienza del 21.12.2006;
Esaminati i ricorsi introduttivi (riuniti per connessione all’udienza del14.12.2006), le deduzioni difensive della parte resistente nonché le risultanze processuali acquisite in atti;
Premesso innanzitutto che le società ricorrenti, con le domande ex art. 700 c.p.c. ante causam (depositate il 24.11.2006) di cui al presente procedimento:
· Hanno dedotto di avere subito da parte della BANCA– nel corso del mese di novembre del 2006- una “segnalazione di sofferenza” alla Centrale Rischi della Banca d’Italia in ordine ad un loro presunto saldo debitore scaturito dai contratti di finanziamento e di affidamento in c/c oggetto di contestazione in un giudizio ordinario attualmente pendente tra esse e la predetta Banca innanzi a questo Tribunale.
· Hanno denunziato la illegittimità di detta segnalazione perché afferente ad una posizione di debito in realtà (a loro dire) inesistente, perché scaturita da rapporti bancari- quali quelli in questione- affetti, secondo quanto da essi già denunziato nel predetto giudizio ordinario, da molteplici invalidità negoziali e conseguenti indebite attribuzioni di costi.
· Hanno di conseguenza invocato in via urgente (ed ante causam) la sospensione della illecita segnalazione, preannunziando la futura instaurazione di un giudizio di merito contro la resistente per l’accertamento della illegittimità della segnalazione e della conseguente responsabilità dell’ente segnalante, con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subiti (cfr. il ricorso).
Osservato più in particolare che nel predetto giudizio ordinario di merito (nella specie pendente innanzi al Dott. Romandini da data anteriore al deposito dei ricorsi cautelari di cui è causa):
· Le attrici (quivi ricorrenti) hanno dedotto- per quanto qui interessa- la invalidità parziale sia dei contratti di apertura di credito in c/c. n. * e * (per asserita nullità dei patti e degli addebiti relativi all’anatocismo, alla Commissione di massimo scoperto, agli interessi ultralegali, alle valute, nonchè per asserita usurarietà dei relativi “costi”), sia dei contratti di finanziamento del 31.3.2006 (per asserita indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c. e per asserita illegittima capitalizzazione degli interessi delle rate di mutuo attraverso la previsione negoziale della debenza di interessi moratori sull’intera rata di rimborso, comprensiva di capitale e di interessi corrispettivi) nonchè la contrarietà a buona fede del rifiuto della Banca di accettare la loro proposta di vendita dei Fondi posti a garanzia dei predetti finanziamenti; le attrici hanno quindi domandato- sulla base dei fatti di cui sopra- la condanna della Banca da un lato al pagamento delle somme che- attraverso la richiesta depurazione dai saldi negativi dei predetti contratti dei costi illegittimi denunziati e secondo la loro prospettazione- risulterebbero a loro credito, dall’altro al risarcimento dei danni subiti per l’altrui comportamento contrario a buona fede (cfr. la citazione del 18.5.2006).
· La convenuta (quivi resistente)- nel costituirsi in giudizio- ha controdedotto, per quanto quivi interessa, la infondatezza delle avverse doglianze negoziali e contabili, la legittimità di tutte le pattuizioni di cui ai rapporti bancari censurati dalla controparte nonché del proprio comportamento negoziale; essa ha quindi richiesto in via riconvenzionale la condanna delle attrici al pagamento delle somme a debito del cliente derivanti dai predetti rapporti bancari (cfr. la comparsa di risposta del 25.10.2006).
Rilevato che l’eccezione di inammissibilità delle domande cautelari ante causam ex art. 700 c.p.c. quivi sollevata dalla resistente (e da quest’ultima motivata sul fatto della pendenza tra le medesime parti innanzi a questo Tribunale del predetto giudizio ordinario il quale- inerendo ai medesimi rapporti bancari dai quali è scaturita la segnalazione di sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia della quale quivi si chiede la sospensione urgente- avrebbe dovuto ivi necessariamente “ospitare” ad avviso della resistente- appunto “in corso di causa” ex art. 669 quater c.p.c.- anche le istanze cautelari del presente procedimento) risulta infondata.
Premesso al riguardo in diritto ed in sintesi che:
· I provvedimenti di urgenza sono caratterizzati- com’è noto ed in generale (salvo i provvedimenti cd. “totalmente anticipatori” di cui al novellato art. 669 octies comma VI c.p.c.)- dalla provvisorietà e dalla strumentalità, nel senso che essi sono volti ad evitare che la futura pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo necessario per ottenerla (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3473 del 09/04/1999; Cass. Sez. L, Sentenza n. 15986 del 20/12/2000; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6785 del 24/05/2000).
· Pertanto essi sono destinati a perdere ogni efficacia e vigore a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito nella quale rimangono assorbiti e caducati, con conseguente esaurimento della funzione cautelare che li caratterizza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4964 del 11/03/2004).
· Ne consegue che colui “che ha fondato motivo di ritenere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, può chiedere con ricorso al Giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito” (cfr. l’art. 700 c.p.c.).
· È noto inoltre che “prima dell’inizio della causa di merito, la domanda cautelare si propone al giudice competente a conoscere del merito” (cfr. l’art. 669 ter c.p.c.).
· È parimenti noto che “quando vi è causa pendente per il merito, la domanda cautelare deve essere proposta al Giudice della stessa” (cfr. l’art. 669 quater c.p.c.).
· In ogni caso, perché possa parlarsi di causa pendente per il merito, e quindi di competenza del giudice davanti al quale il provvedimento di urgenza o cautelare ex art. 700 c.p.c. è stato proposto, occorre che sussista un rapporto di inerenza attuale tra una tale domanda e la lite in corso, nel senso che tale lite deve comprendere nel suo oggetto l’accertamento anche nel diritto alla cui tutela tende, in via provvisoria, il provvedimento ex art. 700 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9740 del 1994; Cass. N. 2339/1987).
Rilevato che nella specie il mero confronto (della evidente diversità) dell’oggetto dei due procedimenti rende palese la infondatezza della eccezione di rito in esame in quanto ed in sintesi:
· La domanda cautelare di sospensione urgente della illegittima segnalazione è, nel caso di specie, oggettivamente (oltre che, da parte dei ricorrenti, espressamente) strumentale alla futura instaurazione di un giudizio ordinario avente ad oggetto l’accertamento (a cognizione piena) della illiceità della segnalazione e della conseguente responsabilità risarcitoria dell’ente segnalante.
· L’accoglimento in via cautelare della caldeggiata istanza sospensiva della segnalazione sarebbe quindi strumentale alla tutela dell’interesse dei ricorrenti ad evitare la perduranza della illegittima segnalazione fino alla eventuale sentenza di merito che- all’esito del preannunciato futuro giudizio di merito- ne accertasse in futuro la illiceità.
· Tale domanda cautelare non ha, per contro, alcun rapporto di strumentalità con quelle (principali e riconvenzionali) oggetto del processo di merito già pendente, il quale (in ragione dei petita e delle cause petendi ivi versate) sfocierà nella (diversa) pronunzia della illiceità o meno dei contratti e nella conseguente determinazione dei rapporti patrimoniali di dare ed avere tra le parti, senza quindi alcuna statuizione in ordine alla segnalazione quivi controversa (e peraltro, come detto, sopravvenuta a quel giudizio) rispetto alla quale soltanto il provvedimento urgente quivi richiesto potrebbe avere natura strumentale ed anticipatoria.
· Non può quindi in alcun modo identificarsi il giudizio ordinario tuttora pendente avanti a questo Tribunale in quello di merito quivi preannunziato dalle società ricorrenti e del quale (soltanto) la invocata misura cautelare ex art. 700 c.p.c. sarebbe effettivamente anticipatoria.
· La circostanza che in entrambi i procedimenti si discuta della legittimità o meno dei medesimi contratti bancari intercorsi tra le parti- ma al fine di fondare pretese giudiziali completamente diverse tra loro – rende i medesimi (semplicemente) avvinti da una mera connessione, che ne potrebbe, in caso di futura contemporanea pendenza, legittimare una riunione.
Passando a questo punto all’esame del “merito cautelare”, si ritiene la sussistenza- per le ragioni che si diranno- dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora per l’accoglimento della spiegata domanda cautelare limitatamente alla segnalazione di sofferenza relativa agli affidamenti di cui ai conti correnti nn.316 e 314 meglio indicati in atti.
Deve per contro riconoscersi la infondatezza- per le ragioni che si diranno- della pretesa cautelare in relazione alla segnalazione di sofferenza relativa ai due mutui n.107- 603- 6085526 e n. 107.601.6085527
Premesso innanzitutto- in relazione alla materia di cui è causa- che:
· L’art. 53, comma I, lett. b) del D.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario) prevede che la Banca d’Italia, in conformità alle delibere del CICR, emani disposizioni generali aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. Gli artt. 67, comma I, lett. b) e 107, comma II, lett. b) del TUB riproducono la stessa norma rispettivamente nell’ambito della vigilanza consolidata, l’uno, e con riferimento agli intermediari iscritti nell’elenco speciale, l’altro.
· Il rischio creditizio, ovvero il rischio di variazioni di valore (inattese) delle attività finanziarie riconducibili all’insolvenza del debitore, è componente certa del “sistema dei rischi” (rischio di mercato, rischio di credito, rischio operativo, altri rischi) in cui operano gli intermediari per definizione. Come tale è certamente ricompreso nel “rischio” menzionato dagli artt. 53, 67 e 107 del TUB e, dunque, oggetto di possibile intervento da parte della Banca d’Italia.
· Il CICR, con delibera del 29 marzo 1994, assunta ai sensi dei citati artt. 53, 67 e 107 del TUB, ha disciplinato il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi gestito dalla Banca d’Italia, dettando i principi generali della materia. La predetta disciplina si applica alle banche autorizzate in Italia all’esercizio dell’attività creditizia, agli intermediari finanziari di cui all’art. 106 del TUB che fanno parte di un gruppo bancario iscritto all’albo, ovvero sono iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB.
· L’art. 51 del TUB pone a carico delle banche l’obbligo di inviare all’Organo di Vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato o documento richiesto.
· Un successivo provvedimento della Banca d’Italia del 10 agosto 1995 ha individuato le società finanziarie con obbligo di partecipazione al servizio di centralizzazione dei rischi in quegli intermediari finanziari ex art. 106 del TUB, iscritti nell’albo e/o nell’elenco speciale di cui agli artt. 64 e 107 del TUB, che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di finanziamento sotto qualsiasi forma, così come definita dall’art. 2 del Decreto del Ministro del Tesoro del 6 luglio 1994.
· Al fine di accrescere la stabilità del sistema creditizio e finanziario nel suo complesso il CICR, con la delibera del 3 maggio 1999, ha rilevato l’opportunità di conoscere anche le informazioni relative agli affidamenti di importo inferiore alla soglia di rilevazione della centrale rischi.
· A completare il quadro normativo disciplinante il funzionamento della Centrale Rischi concorrono le istruzioni per gli intermediari creditizi adottate dalla Banca d’Italia il 14 novembre 2001, costituenti l’8° aggiornamento della Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991. Peraltro, a partire da gennaio 2005, è entrato in vigore il 9 aggiornamento, adottato il 22 giugno 2004, fatte salve alcune disposizioni relative alla rilevazione dello status della clientela e al servizio di informazione periodico che sono entrate in vigore da gennaio 2006.
· Ad oggi, pertanto, tale sistema è regolato da norme di legge e da disposizioni emanate dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e dalla Banca d’Italia (cfr. da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005).
· La Centrale dei rischi in parola, così disciplinata, costituisce, in sintesi, “un sistema informativo sull’indebitamento della clientela delle banche e degli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia” (cfr. testualmente l’art. 2 [Obiettivi della Centrale dei rischi] della Circolare n. 139/91 della Banca d’Italia e successivi aggiornamenti).
· Trattasi in particolare di un sistema informativo che accentra le informazioni sugli affidamenti concessi da ciascun intermediario ai singoli clienti (persone fisiche e giuridiche) per la successiva restituzione agli intermediari stessi dell’indebitamento globale dei rispettivi clienti verso il sistema (cd. “posizione globale di rischio”). La Banca d’Italia, attraverso la Centrale dei rischi, fornisce agli intermediari segnalanti una informativa utile, anche se non esaustiva, per la valutazione del merito creditizio della clientela e, in generale, per la gestione del rischio di credito. L’obiettivo perseguito è di contribuire a migliorare la qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti e, in ultima analisi, ad accrescere la stabilità del sistema creditizio e finanziario” (cfr. l’art. 2 [Scopo del servizio centralizzato dei rischi] della Circolare della Banca d’Italia n. 238/2001 e successivi aggiornamenti).
· Gli intermediari segnalano mensilmente alla Banca d’Italia gli affidamenti concessi a ciascun cliente, singolarmente e in cointestazione con altri soggetti. Oltre alle contestazioni, la Centrale dei rischi rileva anche i rapporti di coobbligazione esistenti tra le società censite e i soci che rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni assunte dalle società stesse verso l’intermediario.
· La segnalazione alla Centrale dei rischi è dovuta qualora, alla data di riferimento, il cliente goda di crediti per cassa o firma complessivamente pari o superiori a 75.000,00 Euro, abbia rilasciato garanzie personali o reali a favore di terzi per il medesimo importo, abbia un’esposizione in derivati finanziari pari o superiore a 75.000,00 Euro o abbia in essere, sempre per un importo pari o superiore a 75.000,00 euro, talune delle operazioni censite in apposita sezione informativa del prospetto diffuso dalla Banca d’Italia. La posizione del cliente in sofferenza e i passaggi a perdita su crediti in sofferenza devono essere segnalati alla Centrale dei rischi a prescindere dal loro importo. La segnalazione non è più dovuta a partire dal mese nel corso del quale il credito è sceso al di sotto dei suddetti limiti di censimento ovvero il rapporto si è estinto. In ogni caso il venir meno dell’obbligo di segnalazione non comporta la cancellazione delle segnalazioni relative alle rilevazioni precedenti” (cfr. l’art. 6.1 [Presupposti per la segnalazione di un soggetto alla Centrale dei rischi] della Circolare della Banca d’Italia n. 238/2001 e successivi aggiornamenti).
· La segnalazione di un cliente alla Centrale Rischi è dovuta- quindi- innanzitutto quando il rapporto di credito rientra nei limiti di censimento definiti dalle Istruzioni della Banca d’Italia. Tra le segnalazioni dovute, la maggior parte non presentano margini di discrezionalità per gli intermediari, in quanto è la stessa norma- come visto- che determina l’importo oltre il quale la registrazione deve comunque effettuarsi; l’appostazione a sofferenza, invece, implica una valutazione complessa ed entro certi limiti discrezionale per gli intermediari.
· Infatti, sebbene la norma relativa ai limiti di censimento preveda in generale che la segnalazione è comunque dovuta quando la posizione del cliente è in sofferenza, l’art. 1.5, sezione 2, capitolo II, delle Istruzioni della Banca d’Italia, rubricato “sofferenze”, dispone: “Nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertata giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. Si prescinde, pertanto, dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti. Sono escluse le posizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili attinenti al rischio-paese. L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito”.
· La Centrale dei rischi, inoltre, “rileva informazioni qualitative sulla situazione debitoria della clientela nel momento in cui si verifica un cambiamento di stato (status). In particolare viene rilevato il passaggio dei crediti a sofferenza, la ristrutturazione del credito, nonchè la regolarizzazione di posizioni in precedenza segnalate a sofferenza o oggetto di ristrutturazione” (cfr. l’art. 5 [Rilevazione dello status della clientela] della Circolare n. 139/91 della Banca d’Italia e successivi aggiornamenti).
· I soggetti intestatari di posizioni di rischio, a seguito di segnalazione, sono censiti dalla Centrale Rischi in un archivio anagrafico ed identificati in modo univoco mediante l’assegnazione di un codice CR utilizzato per lo scambio delle informazioni ad essi relative.
· Il sistema informativo della Centrale dei rischi consente pertanto agli istituti di credito di conoscere elementi indicativi della situazione di insolvenza dei soggetti finanziati, quali la revoca degli affidamenti e l’emissione di decreti ingiuntivi (così da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19894 del 13/10/2005).
· La conseguenza diretta della segnalazione alla Centrale dei Rischi è la revoca delle linee di credito da parte di altri istituti bancari e l’impossibilità di accedere al sistema del credito in generale.
· Da quanto sin qui esposto risulta evidente che il sistema della Centrale Rischi è fondato su una stretta collaborazione fra intermediari e Banca d’Italia, per cui si registrano flussi informativi provenienti dagli uni e diretti verso l’altra e viceversa. E’ necessario che il sistema funzioni correttamente e che le informazioni in esso registrate risultino esatte e complete, specie in considerazione delle conseguenze negative che potrebbe determinare una segnalazione presso la Centrale Rischi in capo ad un soggetto erroneamente censito. Le informazioni registrate in tali archivi, infatti, possono qualificarsi ai sensi dell’art. 17, D.lgs. 196/2003 (per brevità TUP) come dati cd. “semi-sensibili”, ovvero dati diversi da quelli sensibili e giudiziari il cui trattamento presenta rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità dell’interessato.
· Gli intermediari sono tenuti a controllare le segnalazioni di rischio trasmesse (mensilmente) alla Banca d’Italia, con particolare riguardo alle informazioni anagrafiche, ed a rettificare anche di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete. Hanno altresì l’obbligo di verificare tutte le comunicazioni che ricevono dalla Centrale Rischi. L’attività di controllo non deve limitarsi alla fase di codifica, ma va estesa anche alle altre comunicazioni ed ai flussi di ritorno periodici. In assenza di rettifiche da parte degli enti segnalanti, i dati registrati negli archivi della Centrale Rischi si considerano implicitamente confermati (cfr. l’art. 5 [Responsabilità degli intermediari] della Circolare n. 139/91 della Banca d’Italia e successivi aggiornamenti). Per questo “il corretto funzionamento della Centrale dei Rischi si fonda sul senso di responsabilità e sullo spirito di collaborazione degli intermediari partecipanti” (cfr. l’art. 5 ultimo citato), alla cui “responsabilità è rimessa la valutazione dell’esistenza dei presupposti per l’accesso all’informazione (cfr. l’art. 9 della Circolare in esame).
· Una erronea segnalazione a sofferenza, ad esempio, danneggia fortemente la reputazione e dignità personale del soggetto interessato, incide negativamente sulle relazioni sociali e professionali, mina la possibilità per il cliente di accedere al credito bancario oltre a comportare la revoca di quello già concesso, con conseguente lesione del “diritto di impresa” (Trib. Palermo, 4 novembre 2002; Trib. Brindisi, 20 luglio 1999).
· Al riguardo, molto si è discusso intorno al concetto di “stato di insolvenza” quale presupposto per l’appostazione a sofferenza.
· Un orientamento giurisprudenziale subordina la segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione a sofferenza alla sussistenza, in capo al soggetto segnalato, di uno stato d’insolvenza così come previsto dall’art. 5 Legge fallimentare (Trib. Alessandria, 20 ottobre 2000; Trib. Palermo, 4 novembre 2002; Tribunale di Napoli ordinanza del 22/10/2002).
· Altra giurisprudenza, invece, esclude che il concetto di insolvenza di cui all’art. 5 Legge fallimentare possa costituire un valido parametro di riferimento cui ancorare il giudizio dell’istituto segnalante, attesa la diversità di ratio delle due discipline. In un caso (quello della Legge fallimentare), infatti, si tratta di identificare il momento in cui convenga procedere, anziché con l’esecuzione individuale, alla tutela collettiva della massa dei creditori di una determinata impresa ed alla sostituzione coattiva di un imprenditore che, sulla base di un’analisi globale di tipo dinamico e prospettico, è risultato non più capace di garantire una gestione efficiente e redditizia dell’organismo produttivo; nell’altro caso, invece, si tratta di stabilire se una determinata posizione creditoria (facente capo ad una banca o ad altro intermediario finanziario, nei confronti di un soggetto non necessariamente imprenditore) debba essere segnalata alla Centrale Rischi ed eventualmente nella categoria delle sofferenze: in pratica, occorre valutare se una segnalazione così fatta corrisponda all’interesse degli intermediari partecipanti al servizio di centralizzazione dei rischi creditizi, di mettere reciprocamente a disposizione uno strumento informativo in grado di accrescere la loro capacità di valutazione e di controllo della clientela.
· Lo scopo è quello di impedire che i clienti, attraverso affidamenti multipli, possano ricevere dal sistema bancario concessioni di credito sproporzionate alla loro consistenza patrimoniale.
· In ogni caso, stante la funzione di pubblicità a tutela del mercato creditizio, il giudizio che giustifica la segnalazione non può non tener conto di tale precipua finalità e non può prescindere dal doveroso accertamento di una condizione di difficoltà economico-finanziaria del cliente cui quella “sofferenza” sia riconducibile (Tribunale di Palermo, sentenza del 04/11/2002; Trib. Foggia, 19 dicembre 2003).
· L’istituto creditore deve eseguire la segnalazione quando ravvisi tale difficoltà, senza dover effettuare un’analisi al fine di verificare che ricorrano le condizioni per la dichiarazione di fallimento. La suddetta segnalazione va, quindi, compiuta anche se il debitore non versi in stato di decozione (Trib. Roma, 6 marzo 2001). Diversamente, risulterebbe frustrata l’utilità del servizio di centralizzazione dei rischi, poiché gli altri intermediari, segnatamente quelli che hanno già concesso affidamenti al soggetto segnalato, si troverebbero nell’impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione, ormai pregiudicata in maniera irreversibile dal prossimo fallimento del debitore. Il presupposto minimo della segnalazione deve, dunque, identificarsi in uno stato di insolvenza di minore intensità, ma che sia oggettivamente sussistente e che, ad un giudizio prognostico dell’istituto di credito, si presenti come non momentaneo, dagli incerti sviluppi, ma non necessariamente irreversibile: come è stato detto, uno stato di insolvenza forse normativamente più vicino all’art. 187 l. fall. che non all’art. 5.
· La segnalazione della posizione a sofferenza, richiede, comunque, che il soggetto si trovi in uno stato di persistente instabilità patrimoniale e finanziaria idonea ad intralciare il recupero del credito da parte dell’intermediario. Deve, quindi, distinguersi la situazione che legittima l’appostazione in sofferenza, riscontrabile in un’impossibilità di recuperare il credito vantato perché il soggetto affidato si trova in gravi e non transitorie difficoltà economiche, in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili, dalle posizioni cd. ad incaglio, ovvero temporanei disagi economici destinati ad essere superati in un congruo periodo di tempo senza che si prospetti come verosimile l’azione giudiziaria di recupero (Trib. Catania, 2 aprile 2003).
· E’ quindi certo, in base alle Istruzioni della Banca d’Italia, che la segnalazione a sofferenza non può discendere automaticamente dall’inadempimento del debitore, perché dal semplice ritardo non può scaturire la segnalazione (Trib. Alessandria, ord. 20.10.2000, in Banca, borsa, tit. cred. 2001, II, 571).
· Peraltro il Manuale per la compilazione della matrice dei conti, emanato dalla Banca d’Italia con circolare n. 49 del8.2.1989 e successivi aggiornamenti (l’ultimo il 15° del 31.7.2002) alla Sez. III, voce 2367 “Partite incagliate” dispone espressamente: “Deve essere ricondotta nella presente voce l’intera esposizione (crediti per cassa, buoni fruttiferi, certificati di deposito e crediti di firma) nei confronti di soggetti in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che sia prevedibile possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo […]”.
· Pertanto, come precisato dalla giurisprudenza, deve considerarsi illegittima la segnalazione fondata su un temporaneo disagio economico del cliente il quale abbia tempestivamente offerto all’istituto di estinguere la propria posizione debitoria attraverso il pagamento dilazionato in più rate proporzionate all’entità del debito (Trib. Cagliari, 25 ottobre 2000).
· Parimenti, non può essere considerata lecita (e la precisazione assume rilievo centrale, come si vedrà, nel caso di specie) una segnalazione di un credito contestato (cd. “credito litigioso”) qualora la contestazione abbia i caratteri della non manifesta infondatezza (si pensi alle diffuse questioni spesso dibattute tra banca e cliente circa la legittimità dell’anatocismo fondato sugli usi normativi ex art. 7 NUB per i contratti anteriori alla riforma dell’art. 120 TUB, ovvero alle questioni della legittimità o meno ex art. 1284 c.c. degli interessi ultralegali “uso piazza” etc. e circa, di conseguenza, la correttezza l’erroneità dei conteggi) e quando siffatta contestazione sia alla base del rifiuto del cliente (riconducibile giuridicamente alla cd. “autotutela” di cui all’art. 1460 c.c.) di adempiere alla obbligazione pecuniaria oggetto di segnalazione (cfr. sul punto Trib. Cagliari, ord. 28.11.1995, in Banca, borsa e tit. cred, 1997, II, 357, che fa il caso in cui, “ a fronte di fondate contestazioni del cliente in ordine alla pretesa della banca, quest’ultima utilizzi la segnalazione come mezzo di illecita pressione, rivolta ad esempio ad una definizione più sollecita ed a condizioni più “gradite” della controversia”).
· Infatti, se è vero che in virtù delle Istruzioni della Banca d’Italia per gli intermediari finanziari adottate in attuazione della delibera CICR del 29.3.1994 e della Circolare della Banca d’Italia n. 139/91 i soggetti intermediari sono tenuti a segnalare le posizioni “a rischio”, gli stessi, tuttavia, devono operare una valutazione complessiva sulle condizioni economiche e finanziarie del cliente e non possono dare rilievo al semplice ritardo nel pagamento di un debito, costituendo fonte di responsabilità le segnalazioni erronee, ovvero effettuate con finalità strumentali, utilizzando cioè indebitamente l’istituto allo scopo di esercitare una “pressione” sul cliente che avanzi delle semplici rimostranze in ordine all’esistenza ed entità del credito rifiutandone il soddisfacimento. Laddove la concreta situazione del cliente- sia pure inadempiente- non crei alcun allarme quanto alla sua generale solvibilità, non vi è ragione di creare un pregiudizio per la sua immagine commerciale ed anzi un diverso comportamento sarebbe sanzionabile sul piano della responsabilità civile (cfr. Tribunale di Napoli, ordinanza 14.10.2004; Tribunale di Palermo, ordinanza del 4.11.2002; Tribunale di Milano, ordinanza del 31.7.2001).
· L’appostazione di un credito in sofferenza e la conseguente segnalazione alla Centrale dei Rischi- nelle ipotesi appena menzionate e più in generale in assenza dei presupposti di legge- sarebbe infatti contraria ai principi di buona fede e correttezza nel funzionamento del rapporto bancario e legittimerebbe un addebito di responsabilità dell’Istituto segnalante per violazione di quel dovere di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere all’esecuzione di qualsivoglia tipologia di contratto e che- in concreto- si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà il quale impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti i quali, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del “neminem laedere”, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte (cfr. per tutte al riguardo da ultimo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13345 del 07/06/2006).
· Peraltro, l’inosservanza dei doveri di tenuta della contabilità e di comunicazione di notizie corrette e veritiere, in conformità delle disposizioni della legge bancaria e delle direttive impartite dalla Banca d’Italia nell’esercizio delle attribuzioni da tale legge affidatele, è sanzionabile, per i componenti del consiglio di amministrazione degli istituti di credito, privi di funzioni rappresentative, ai sensi dell’art. 144 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, ove ascrivibile ad azioni od omissioni dei medesimi. Pertanto, tale disciplina sanzionatoria non contiene alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva, presupponendo, invece, “l’imputabilità” dell’infrazione al suo autore e quindi il dolo o la colpa, non diversamente da quanto stabilito dalla disciplina generale dell’illecito amministrativo, desumibile dalla legge n. 689 del 1981 (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6302 del 18/04/2003; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23012 del 09/12/2004)
· Inoltre, come di recente precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass. Sez. U, Ordinanza n. 7037 del 28/03/2006), “la controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da un cliente nei confronti di una banca, a causa dell’erronea segnalazione del proprio nominativo alla Centrale rischi della Banca d’Italia per un credito “in sofferenza”, è devoluta al giudice ordinario, non rientrando tra le controversie in materia di pubblici servizi attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo introdotto dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 – quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 – in quanto detta giurisdizione esclusiva presuppone che la P.A. agisca esercitando il suo potere autoritativo, ovvero avvalendosi della facoltà, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del predetto potere. Per contro, l’interesse del cliente a non essere leso dal comportamento della banca, in affermata violazione delle disposizioni dell’autorità di vigilanza, configura un diritto soggettivo, restando irrilevante l’inosservanza da parte della banca delle istruzioni impartite in materia dalla Banca d’Italia, giacché l’interesse del cliente è del tutto indipendente dall’esercizio dei poteri di vigilanza dell’Istituto Centrale sulle banche”.
· Risulta quindi ammissibile una domanda ex art. 700 c.p.c. di revoca della segnalazione di un credito in sofferenza operata da un istituto di credito alla Centrale rischi della Banca d’Italia, domanda che- in difetto di accertamento di una condizione di difficoltà economico-finanziaria del cliente segnalato- risulta altresì fondata. Sussiste infatti il periculum in mora che legittima la concessione del provvedimento d’urgenza nel caso di richiesta di revoca della segnalazione di una sofferenza alla Centrale rischi, poiché la reiterazione mensile della segnalazione mina la possibilità per il cliente di ricorrere al credito bancario, causando così una lesione del “diritto all’impresa”. La non corretta segnalazione alla Centrale rischi della Banca d’Italia dell’esistenza di un credito “a sofferenza” verso il cliente è infatti idonea non solo a produrre effetti pregiudizievoli di perdurante attualità, ma anche a determinare una progressiva accentuazione degli stessi, per cui può costituire il periculum in mora che giustifica la concessione di un provvedimento d’urgenza, consistente nell’ordine dato alla banca di eliminare la segnalazione del credito in questione da quelle a sofferenza (Tribunale di Napoli, Ordinanza del 22/10/2002).
Orbene, passando a questo punto all’esame del “merito cautelare” ed applicando i superiori principi al caso di specie, si ritiene la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora per l’accoglimento della spiegata domanda cautelare limitatamente alla segnalazione di sofferenza relativa agli affidamenti di cui ai conti correnti nn. 316 e 314 meglio indicati in atti.
Infatti:
· Il saldo del c/c n. 314 risulta- secondo la prospettazione della Banca- a debito del correntista per la somma di €. 95.878,67 (cfr. la diffida di pagamento del 17.7.2006).
· Il saldo del c/c n. 316 risulta- sempre secondo la prospettazione della Banca- a debito del correntista per la somma di €. 31.424,11 (cfr. la ulteriore diffida di pagamento del 17.7.2006).
· Nei saldi debitori in questione sono confluiti i costi di volta in volta addebitati dalla Banca al correntista a titolo di interessi ultralegali, di commissione di massimo scoperto, di anatocismo, di spese (trattasi di circostanza pacifica: cfr. infatti la difesa della Banca nel giudizio di merito in ordine alla legittimità negoziale di siffatti addebiti; cfr. la relazione di CTP del Dott. Iacovone nell’interesse dei ricorrenti ed i riferimenti ivi contenuti a siffatti addebiti come risultanti dagli estratti conto, quivi non prodotti).
· I ricorrenti- quivi come nel predetto giudizio di merito- hanno espressamente denunziato sia la contrarietà a legge di taluni di siffatti costi (anatocismo e CMS) dall’altro la impossibilità per essi di verificare la validità delle pattuizioni contrattuali relative ad altri costi (interessi ultralegali), e ciò in ragione del perdurante rifiuto della Banca di consentire loro la visione dei documenti contrattuali.
· A fronte di siffatte denunzie (costituenti la “causa petendi” della azione giudiziale, cautelare e di merito, dei correntisti) era ovviamente onere della Banca (asserita creditrice) fornire rigorosa prova documentale sia della sussistenza, sia della legittimità (ex lege ed ex contractu) delle pattuizioni negoziali dalla stessa asseritamente poste a fondamento di tutti gli addebiti contestati dalla controparte.
· La Banca, al riguardo, ha prodotto in giudizio, in sede di seconda udienza cautelare, su sollecitazione del Giudice, la copia dei due contratti di conto corrente in parola originariamente non allegati in atti.
E quivi è appena il caso di precisare che:
· I contratti quivi controversi sono stati stipulati il 10.6.2003 e- come tali- soggiacciono ratione temporis alla disciplina di cui al cd. “Testo Unico Bancario” (D.lgs. n. 385/1993).
· Ai sensi dell’art. 117 TUB, i contratti bancari devono indicare il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.
· Ai sensi della medesima norma, la possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola approvata specificamente dal cliente.
· Inoltre, in forza della disciplina generale di cui all’art. 1284 c.c., “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”.
· Ancora, la commissione di massimo scoperto rappresenta- com’è noto- un elemento retributivo per la banca, aggiuntivo agli interessi praticati, che non ha fonte legale e quindi richiede la necessità di specifica pattuizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11772 del 06/08/2002), al pari delle spese relative al conto.
· Infine, l’anatocismo nei contratti bancari (a condizioni diverse da quelle generali di cui all’art. 1283 c.c.) è oggi ammesso per i contratti bancari dall’art. 120, comma II, TUB (comma aggiunto dall’art. 25, comma II, del D.lgs. n. 342/1999 sopra citato, regolante invece pro futuro l’anatocismo bancario), il quale statuisce che “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori
Orbene, l’esame dei due testi contrattuali ha rilevato la fondatezza delle doglianze dei ricorrenti in quanto ed in sintesi in essi:
· Non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla debenza e sulla misura degli interessi ultralegali a carico del correntista (interessi tuttavia – come detto- in concreto applicati)
· Non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla debenza e sulla misura della Commissione di Massimo Scoperto a carico del correntista (Commissione tuttavia- come detto- in concreto applicata)
· Non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla debenza e sulla misura degli spese di tenuta e di gestione dei conti (spese tuttavia – come detto- in concreto applicate)
· Non vi è traccia di qualsivoglia pattuizione sulla periodicità (mensile, trimestrale, semestrale etc.) della (genericamente) prevista (cfr. l’art. 7 delle condizioni generali di contratto) capitalizzazione di pari periodicità ivi concordata (capitalizzazione periodica tuttavia- come detto- in concreto applicata).
· Si rinvia “per tutte le altre condizioni economiche applicate al rapporto” (cfr. l’art. 7 citato) ad un non meglio identificato “modulo allegato” al contratto, quivi tuttavia né indicato né prodotto.
Peraltro è significativo il fatto che la stessa Banca- sia nel presente giudizio sia in quello di merito- pur contestando l’avverso assunto della inesistenza e/o indeterminatezza dei patti negoziali in questione, ne abbia perentoriamente rivendicato l’esistenza e la validità, ma senza allegare la misura dei tassi di interesse concordati, la periodicità della capitalizzazione concordata, la percentuale pattuita della CMS etc. (cfr. il “vuoto” al riguardo esistente nelle deduzioni difensive della Banca).
Da quanto sopra consegue conclusivamente sul punto che:
· I contratti di conto corrente prodotti non contengono alcuna valida pattuizione dei costi degli affidamenti in concreto applicati dalla Banca durante il rapporto e confluiti nei saldi passivi finali oggetto della segnalazione di cui è processo.
· Non è stata prodotta dalla Banca altra documentazione negoziale relativa a detti conti.
· Il saldo dei conti depurato dai costi di cui sopra (rimasti allo stato privi di titolo negoziale) risulterebbe in attivo per i correntisti (cfr. la CTP in atti non contestata dalla Banca).
· La “denunzia” dei ricorrenti di non debenza (per inesistenza e/o invalidità del relativo titolo negoziale) dei costi (pacificamente) addebitati sui conti è risultata allo stato processualmente fondata.
· Il rifiuto dei ricorrenti di saldare il debito reso (conseguentemente) oggetto di segnalazione risulta quindi allo stato- nella delibazione sommaria esperibile nella presente procedura ed alla luce delle risultanze processuali acquisite in atti- non pretestuoso.
· Ne deriva che non può individuarsi nella “pendenza pecuniaria” contestata una situazione di “sofferenza” legittimante la segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.
· Essa infatti- avendo ad oggetto una pregressa posizione di debito del segnalato ad oggi pendente non già per una insolvenza o per una cronica difficoltà di adempiere di quest’ultimo bensì per la persistenza tra le parti di una contestazione (stragiudiziale e giudiziale) circa la effettiva debenza e misura del debito, nel cui ambito le ragioni addotte dal cliente (quivi incidentalmente delibate) non appaiono pretestuose- è priva di quella funzione di pubblicità posta a tutela del mercato creditizio che avrebbe potuto riconoscersi- nella specie- soltanto ad una segnalazione di effettiva sofferenza del debitore pecuniario nel senso ampiamente precisato.
· Deve pertanto ordinarsi in via cautelare la sospensione urgente della segnalazione alla Centrale Rischi della sofferenza relativa ai due contratti di conto corrente in esame (rispettivamente di €. 95.878,67 e di €. 31.424,11), per soddisfare l’esigenza cautelare di evitare- in attesa della futura definizione del merito della controversia- il pericolo di un aggravamento del pregiudizio all’immagine personale ed imprenditoriale indubbiamente derivante (in re ipsa) alle ricorrenti dalla “pubblicità” in esame
Per contro non merita allo stato accoglimento (per difetto di fumus boni iuris), la concorrente pretesa dei ricorrenti di sospensione della segnalazione di sofferenza relativa ai due contratti di finanziamento in quanto ed in sintesi:
· I due contratti contengono l’indicazione analitica dei “costi” del finanziamento (cfr. i relativi tesi negoziali).
· I costi pattuiti non superano i tassi soglia di cui alla Legge sull’usura (cfr. la CTP allegata al ricorso).
· L’aggancio negoziale della misura concordata della variabilità del tasso alla variazione di un parametro (tasso Euribor) esterno (alla mutuante), prestabilito, ufficiale e come tale oggettivamente conoscibile soddisfa l’esigenza di predeterminabilità per relationem ex art. 1284 c.c. del tasso convenzionale ultralegale (cfr.ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. N. 2103/1996).
· La concordata previsione della debenza, in caso di ritardo nel rimborso del prestito, di interessi di mora sull’intera rata (comprensiva di capitale ed interessi corrispettivi) non è contraria alla legge, posto che trattasi di contratti (stipulati nel 2006 e quindi) sottoposti ratione temporis alla disciplina di cui alla Delibera CICR 9.2.2000 per la quale (cfr. l’art. 3: “Finanziamenti con piano di rimborso rateale”) “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”.
· L’ulteriore assunto attoreo della asserita illegittima lievitazione “anatocistica” del debito del mutuo per l’asserito transito di esso su (un non meglio identificato) conto corrente (cfr. pag. 17 della comparsa di risposta del giudizio di merito) è assunto processualmente irrilevante perché assolutamente generico oltre che indimostrato.
Da quanto sopra consegue quindi che:
· I ricorrenti hanno legittimamente stipulato con la Banca i due mutui di cui si discute.
· Detti mutui non sono affetti dalle nullità negoziali e contabili denunziate dai mutuatari.
· Attraverso detti mutui, i ricorrenti hanno ricevuto in prestito la somma rispettivamente di €. 600.000,00 e di €. 160.000,00.
In ordine al primo di detti mutui si osserva che alla data del 17.7.06:
· Risultavano impagate le prime quattro rate di esso scadute (circostanza pacifica: cfr. la diffida del 17.7.06).
· L’importo totale di dette rate scadute era di €. 34.483,25, con conseguenti interessi moratori per €. 390,93 (circostanza pacifica: cfr. la diffida del 17.7.06).
· La Banca, di conseguenza, si è legittimamente avvalsa (cfr. la diffida del 17.7.06) della decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186, contrattualmente previsto (ex art. 6 dei contratti) anche in presenza del mancato pagamento di una sola rata.
· Essa ha – di conseguenza e legittimamente- preteso dalla mutuataria inadempiente la restituzione della somma data a prestito (capitale residuo a scadere: €. 573.802,13; rate scadute: €. 34.483,25; mora su rate impagate: €. 390,93; rateo interessi dal 30.6.2006 al 17.7.06: € 1612,23) e quindi un totale di €. 610.288,54.
In ordine al secondo di detti mutui si osserva che alla data del 17.7.06:
· Risultavano impagate le rate di esso scadute (circostanza pacifica: cfr. la diffida del 17.7.06).
· L’importo totale di dette rate scadute era di €. 6152,15, con conseguenti interessi moratori per €. 47,41 (circostanza pacifica: cfr. la diffida del 17.7.06).
· La Banca, di conseguenza, si è legittimamente avvalsa (cfr. la diffida del 17.7.06) della decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186, contrattualmente previsto (ex art. 6 dei contratti) anche in presenza del mancato pagamento di una sola rata.
· Essa ha – di conseguenza e legittimamente- preteso dalla mutuataria inadempiente la restituzione della somma data a prestito (capitale residuo a scadere: €. 153.013,90; rate scadute: €. 6152,15; mora su rate impagate: €. 47,41; rateo interessi dal 30.6.2006 al 17.7.06: € 429,93) e quindi un totale di €. 159.643,39.
Ne consegue in definitiva che:
· I mutuatari si sono resi gravemente inadempimenti agli obblighi di rimborso dei prestiti ottenuti dalla Banca.
· I debiti così accumulati concretano situazioni di “sofferenza” che per legge- vista la loro notevole entità- devono essere segnalati alla Banca d’Italia.
· Le censure di nullità dei mutui risultano allo stato infondate.
· Gli ulteriori e generici assunti in ordine ad asseriti comportamenti della Banca mutuataria contrari a buona fede sono rimasti privi di qualsivoglia elemento di sostegno probatorio.
Peraltro non sembra inopportuno precisare “ad abundantiam” che:
· Quand’anche quivi fosse risultata fondata- all’esito della delibazione sommaria esperibile nel presente procedimento- la “eccezione di nullità” dei mutui dedotta dai ricorrenti, da detta nullità sarebbe comunque conseguito ex lege l’obbligo per i medesimi di restituire alla BANCA quanto da questa (pacificamente) elargito a loro “senza titolo” (ossia senza valido contratto) a titolo di capitale (ossia una somma totale di €. 760.000,00).
· È evidente, quindi, la infondatezza, anche da tale prospettiva, delle deduzioni delle mutuatarie in ordine ad una asserita inesistenza dei debiti (da prestito inadempiuto) oggetto della segnalazione di cui è causa.
Invero, la pluralità delle attuali segnalazioni di “sconfinamento” allo stato pubblicate presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia da altri intermediari (cfr. la documentazione allegata al fascicolo della resistente), rivela, anche alla luce di quanto appena osservato circa la gravità ed imputabilità dell’inadempimento delle mutuatarie alle obbligazioni di cui ai finanziamenti in esame, la sussistenza di una generale e grave difficoltà economica delle ricorrenti nei confronti del sistema creditizio in generale (cd. “posizione globale di rischio).
Ritenuto quindi che la istanza inibitoria di cui processo può accogliersi soltanto in ordine alla segnalazione della sofferenza di cui al contratti di conto corrente sopra menzionati e non anche a quella dei mutui in parola.
Rilevato infine che deve fissarsi contestualmente il temine per l’inizio del giudizio di merito, preannunziato dalle ricorrenti, cui deve essere necessariamente demandata anche la liquidazione delle spese di lite del presente procedimento
P.Q.M.
In parziale accoglimento dei ricorsi ex art. 700 c.p.c. riuniti
ORDINA
Alla resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, di sospendere immediatamente, a far data dalla comunicazione della presente ordinanza, la segnalazione periodica alla Centrale Rischi della Banca d’Italia della posizione di sofferenza delle ricorrenti limitatamente alle posizioni debitorie delle stesse relative ai due contratti di conto corrente nn. * e * meglio indicati in atti (posizioni debitorie quantificate, nella diffida del 17.7.06 in atti, rispettivamente in €. 95.878,67 ed in €. 31.424,11).
RIGETTA
Perché infondata la ulteriore domanda di sospensione urgente della segnalazione periodica alla Centrale Rischi della Banca d’Italia della posizione di sofferenza delle ricorrenti relativa alle posizioni debitorie delle stesse scaturenti dai contratti di finanziamento meglio descritti in atti.
FISSA
In 60 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza il termine perentorio per l’instaurazione tra le parti del giudizio di merito, riservando all’esito di questo la decisione sulle spese del presente procedimento.
Alla Cancelleria per quanto di sua competenza.
Pescara, 21.12.2006
Il Giudice
Dott. Gianluca Falco
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