Chirurgo che dirotta i pazienti verso un ospedale privato
(Sentenza Cassazione penale 06/05/2010, n. 17234)
Linea dura della Cassazione nei confronti dei medici che inducano i pazienti, dietro la corresponsione di somme di denaro, ad essere operati in una struttura privata, dopo essere visitati presso un ospedale pubblico. Integra il delitto di concussione la condotta dal chirurgo che induca i pazienti, visitati in ambito ospedaliero pubblico, ad essere operati presso una struttura privata.
La vicenda processuale riguardava il Direttore dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia di un ospedale che era stato dichiarato colpevole, tra l’altro, di undici episodi di concussione, nove consumati e due tentati.
Si addebitava all’imputato, titolare del potere di stabilire il “piano operatorio”, decidendo il medico e la data in cui dovessero essere operati i diversi pazienti, che si rivolgevano a quella struttura ospedaliera per sottoporsi a delicati interventi chirurgici, di aver utilizzato (o tentato di utilizzare) tali poteri decisionali per uno scopo diverso da quello per cui era stato investito, prospettando a costoro – in alternativa all’intervento condotto in regime ospedaliero ordinario e gratuito, soggetto a lunghe liste di attesa – la possibilità di un intervento intramoenia con facoltà di scegliere l’equipe chirurgica di propria fiducia, dietro pagamento all’azienda di circa 12.000 euro, metà dei quali destinati al Direttore dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia, ovvero di un intervento condotto da costui personalmente, facendo figurare comunque il regime ospedaliero gratuito, a condizione, però, che gli fosse corrisposta direttamente e in contanti una somma di danaro da versare dopo l’intervento – di solito inferiore rispetto a quella prevista per gli interventi intramoenia – e che venisse sottoscritta una lettera, da cui doveva risultare, contrariamente al vero, che tale dazione di danaro era una spontanea iniziativa dei soggetti operati, destinata ad opere di beneficenza.
La Corte ha confermato la sentenza di condanna, evidenziando come nella condotta dell’imputato fossero ravvisabili tutti gli elementi costitutivi del delitto di concussione: l’abuso dei poteri inerenti il pubblico servizio e la induzione del privato a promettere indebitamente danaro.
Pacifica la qualifica di pubblico ufficiale rivestiva dal direttore dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia di un Ente Ospedaliero, la Cassazione, in primo luogo, ha sottolineato come la condotta dell’imputato aveva «determinato un oggettivo condizionamento della libertà morale dei pazienti, i quali ricoverati per essere sottoposti a delicati interventi chirurgici, aderivano alla proposta in una situazione di soggezione psicologica nei confronti del primario, che li sottoponeva a pressioni anche indirette per ottenere quelle dazioni di danaro, di cui le persone offese percepivano l’ingiustizia».
La Corte, in particolare, non ha avuto dubbi nel ritenere che la condotta del’imputato fosse riconducibile alla nozione di “induzione”, la quale «non è vincolata a forme predeterminate e tassative, potendo concretizzarsi anche in frasi indirette ovvero in atteggiamenti o comportamenti surrettizi, che si esplicitano in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, purché siano idonee ad influenzare la volontà della vittima, convincendola dell’opportunità di provvedere al pagamento indebito richiesto».
In secondo luogo, la Cassazione ha ritenuto sussistente il “metus pubblicae potestatis”, che è integrato anche nel caso in cui la volontà del privato «venga repressa dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale pur senza avanzare esplicite e aperte pretese, di fatto agisca in modo da ingenerare nella vittima la fondata convinzione di dover sottostare alle decisioni del pubblico ufficiale, per evitare il pericolo di subire un pregiudizio, inducendolo così a dare o promettere danaro o altra utilità».
La Corte ha pure confermato la correttezza della qualificazione giuridica come concussione tentata dei due episodi, in cui le vittime rifiutarono la proposta del Direttore dell’Unità Cardiochirurgica, formulata con le solite modalità.
La Cassazione ha esattamente ribadito la configurabilità del tentativo con riguardo al delitto di concussione, il quale è integrato nel caso in cui «siano stati posti in essere atti idonei a indurre taluno a dare o a promettere danaro o altre utilità, indipendentemente dal verificarsi dello stato di soggezione della vittima per effetto del “metus pubblicae potestatis”, bastando che la condotta del pubblico ufficiale abbia determinato una situazione idonea in astratto a generare quel timore per integrare l’ipotesi di concussione tentata».
Ove, quindi, il privato resista alla proposta, «non può parlarsi di inidoneità degli atti, né di desistenza, ma deve aversi riguardo alla adeguatezza della condotta rispetto al fine che l’imputato intendeva perseguire, potendosi configurare il tentativo di concussione».
La decisione della Corte non è affatto isolata, ma si inscrive in un trend che va consolidandosi.
Di recente, infatti, la Cassazione ha pure ravvisato gli estremi della concussione in un caso assai simile, relativo al primario di un ente ospedaliero, che, prospettando al paziente, ricoverato per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico, l’eventualità di una lunga degenza in ospedale e la probabilità di subire l’intervento ad opera di un altro medico (a fronte dei tempi molto più brevi di una struttura sanitaria ove egli operava privatamente), lo aveva indotto a consegnargli somme di denaro non dovute, affinché procedesse egli stesso alla relativa operazione chirurgica (così Cass., Sez. VI, 18 gennaio 2010, n. 1998).