Classamento catastale: ammissibili i ricorsi

a cura di Antonio Piccolo, Dottore Commercialista

Finalmente una sentenza (la n. 15987 del 14 dicembre 2002) che fa bene soprattutto a coloro che non hanno mai smesso di ritenere non completamente convincente l’apparato argomentativo delineato nella precedente sentenza n. 8990 del 20 giugno 2002 emessa dalla stessa Suprema Corte di Cassazione in ordine all’inammissibilità del ricorso che prospetti rilievi generici senza proporre in comparazione altre unità immobiliari. Si tratta del contenzioso tributario in materia catastale (nella specie, classamento delle singole unità immobiliari urbane e attribuzione della rendita catastale) che ha già suscitato qualche perplessità sull’esatta applicazione.

Con particolare soddisfazione annotiamo la sent. n. 15987 del 30 aprile 2002 (a pag. 217), depositata il 14 novembre 2002, con la quale la Corte di Cassazione (sezione tributaria) “torna sui suoi passi” e ritiene – finalmente e giustamente – ammissibile dinanzi al giudice tributario il ricorso contro il classamento catastale di un’unità immobiliare ancorché il contribuente non abbia indicato le unità immobiliari della stessa zona censuaria che risultassero, nei confronti con quella del ricorrente, collocate in una categoria o in una classe diverse quantunque abbiano la stessa destinazione ordinaria e le stesse caratteristiche, come invece stabilito dal comma 1 dell’art. 75 del regolamento per la formazione del Nuovo catasto edilizio urbano, approvato con D.P.R. 1142 del 1° dicembre 1949. La sentenza in rassegna va nella direzione opposta all’indirizzo assunto nelle precedenti sentenze n. 8990 del 20 giugno 2002 [ CI02-684] e n. 4085 del 3 aprile 1992 emesse dalla medesima Suprema Corte.

La problematica

Allo scopo di inquadrare con esattezza e precisione il vero thema decidendum, è opportuno rivisitare – in sintesi – l’intera vicenda. Contro l’atto di classamento di un’unità immobiliare ubicata nella circoscrizione del comune di Magione, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, che, alla luce delle caratteristiche dell’unità stessa e tenuto conto dei rilievi evidenziati nella perizia giurata di stima, ha attribuito all’immobile la categoria catastale A/6 (abitazioni di tipo rurale) e la classe prima. L’Ufficio tecnico erariale (ora Agenzia del territorio) di Perugia, nel contestare la decisione emessa dai primi giudici perugini, ha presentato appello avanti alla Commissione tributaria regionale, la quale, con sent n. 515 del 24 luglio 1997, ha però rigettato le doglianze sollevate dall’Ufficio, confermando quindi la pronuncia del giudice di prime cure. La Commissione regionale, nel respingere il gravame, ha peraltro avuto modo di affermare l’ammissibilità di un ricorso finalizzato a una corretta classificazione catastale, fondato su un’autonoma valutazione tecnica opportunamente documentata, a prescindere dall’indicazione delle “unità immobiliari della stessa zona censuaria che risultino, nei confronti con quella del ricorrente, collocate in una categoria o in una classe diverse quantunque abbiano la stessa destinazione ordinaria e le stesse caratteristiche” (art. 75, comma 1, D.P.R. 1142/1949), anche perché – puntualizza la stessa Commissione – l’Ufficio non rilascia alcun certificato catastale in base alla tipologia immobiliare. Avverso la sent. n. 515 del 24 luglio 1997 ha proposto ricorso per cassazione il Ministero delle finanze, denunciando con un unico motivo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 75 del D.P.R. 1142/1949.

l quadro normativo e la prassi ministeriali

L’art. 75 del D.P.R. 1142/1949 – tuttora in vigore – sancisce, tra l’altro, che:

• i reclami in ordine all’applicazione della categoria catastale e della classe devono indicare le unità immobiliari della stessa zona censuaria che risultino, nei confronti con quella del soggetto ricorrente, collocate in una categoria o in una classe diverse quantunque abbiano la medesima destinazione ordinaria e le stesse caratteristiche;
  
• i reclami non possono essere esaminati, se mancano tali indicazioni.

Con l’insediamento delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado, nonché della Commissione tributaria centrale, in ottemperanza all’art. 42 del D.P.R. 636/1972 (cfr. D.M. 29 novembre 1973, D.M. 15 gennaio 1974, D.M. 13 marzo 1974 e D.M. 24 maggio 1974), il Ministero delle finanze (Direzione generale del contenzioso), nell’integrare i chiarimenti forniti nella circ. n. 11/24517 dell’11 dicembre 1972, ebbe modo di ribadire – tra l’altro – che tali Commissioni tributarie sono altresì competenti per alcune controversie già spettanza delle commissioni censuarie e precisamente “quelle concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, la estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie riguardanti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale” (circ. n. 10/18500 del 18 giugno 1974). La Direzione generale del catasto, per opportuna conoscenza e norma, con lettera circolare del 14 agosto 1974 prot. 2404 dapprima trasmetteva agli Uffici periferici copia della circ. n. 10/18500 del 18 giugno 1974 diramata dalla Direzione generale del contenzioso; successivamente, con lettera circolare prot. n. 3/1584 del 9 maggio 1978, dettava agli uffici dipendenti le modalità per le controversie riguardanti la consistenza e il classamento delle unità immobiliari urbane, con riferimento alla nuova disciplina del contenzioso tributario (introdotto dal D.P.R. 636/1972), che indubbiamente – sono le esatte parole della stessa Direzione – supera, assorbe e, se del caso, modifica la portata delle previsioni di cui al Capo VII (Della pubblicazione) del regolamento per la formazione del Nuovo catasto edilizio urbano, approvato con D.P.R. 1142/1949. In particolare – spiega la Direzione – l’art. 15 (Contenuto del ricorso) del D.P.R. 636/1972, a differenza dell’art. 75 del D.P.R. 1142/1949, non prevede ai fini dell’ammissibilità del ricorso l’indicazione da parte del ricorrente delle unità immobiliari che risultino, nei confronti con quella del ricorrente stesso e nell’ambito della medesima zona o comune censuario, collocate in una categoria o in una classe diversa quantunque abbiano la stessa destinazione e le stesse caratteristiche. Invero – prosegue la Direzione – l’obbligo della citazione delle unità immobiliari urbane di confronto, che in sede di pubblicazione del NCEU era agevole, essendo tali elementi di confronto acquisibili proprio durante la pubblicazione degli atti del catasto, diventa nell’attuale fase di conservazione “un onere inaccettabile per l’interessato, che per avere notizia degli elementi relativi al classamento di altre u.i.u. sarebbe costretto a defatiganti ricerche”. Peccato però che, dopo l’esternazione di questi impareggiabili concetti, la stessa Direzione generale del catasto con successiva lettera circolare del 28 dicembre 1992 prot. 4642 ha assunto un’impostazione completamente opposta a quella evidenzia nella precedente lettera circolare. Difatti la Direzione, facendosi convincere da un nucleo argomentativo piuttosto superficiale delineato dalla Corte di Cassazione (Sez. I civile) nella sent. n. 4085 del 3 aprile 1992, ha poi condiviso appieno l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale i ricorsi contro i provvedimenti di classamento non possono limitarsi a una generica contestazione delle determinazioni adottate dagli Uffici tecnici erariali, ma devono ancorare l’opposizione, a pena di preclusione dell’esame del merito dell’impugnazione, a fattispecie omogenee specificatamente e concretamente richiamate, e quindi è stata costretta a vanificare il contenuto (a nostro avviso “brillante” ieri e “prezioso” oggi) della precedente lettera circolare prot. n. 3/1584 del 9 maggio 1978.

L’orientamento della giurisprudenza

Il “mondo” della giurisprudenza e in particolare di quella tributaria di merito (Commissioni tributarie) è – purtroppo – profondamente variegato e quindi le sentenze che partorisce non possono che essere diverse e differenti anche quando le medesime tematiche si ripetono o sono palesemente semplici, nel senso che sarebbe sufficiente decidere in base al prudente apprezzamento del giudice, il quale non può prescindere comunque dall’osservanza dei fondamentali principi di ragionevolezza, buonsenso ed equità. Principi, questi, che vengono completamente trascurati da diversi giudici, compresi quelli di legittimità. Difatti, nel recente passato non sono pochi i giudici tributari che – a nostro avviso – hanno clamorosamente confuso la disciplina e la finalità del processo tributario, quindi la funzione del giudice tributario stesso, con l’istituto del “reclamo” amministrativo sancito dall’art. 75 del D.P.R. 1142/1949. Significative in proposito sono:

Considerazioni conclusive

Si rileva che il contribuente deve solitamente attendere l’ultimo grado di giudizio (qual è la sentenza della Corte di Cassazione) per conoscere l’esatta interpretazione della norma di legge o comunque la sua applicazione più razionale e coerente nel contesto normativo. E questo anche perché diversi giudici tributari probabilmente ignorano il principio – nel caso di specie ad hoc – secondo il quale il processo tributario non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento”, ma tra quelli di “impugnazione-merito, in quanto non diretto alla eliminazione giuridica dell’atto contestato, bensì alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Corte di Cassazione, Sez. trib., sent. n. 16171 del 23 dicembre 2000 e sent. n. 4280 del 23 marzo 2001).