Cliente non paga? Avvocato deve comunque restituire i documenti
Con la sentenza 17 novembre 2011, n. 24080 le Sezioni Unite civili
della Corte di Cassazione intervengono con una interessante decisione in
materia di deontologia professionale, confermando la natura di illecito
disciplinare per l’avvocato che non consegni al cliente i documenti
richiesti, anche nel caso in cui non abbia ricevuto il pagamento delle
spese e delle competenze legali. Infatti, la formale messa a
disposizione della documentazione da parte dell’avvocato non esclude la
responsabilità disciplinare del professioniste se di fatto ne viene
impedita la materiale apprensione.
Nel caso di specie, dopo avergli revocato il mandato, il cliente aveva
presentato un esposto nei confronti dell’avvocato, a carico del quale
veniva aperto un procedimento disciplinare per aver violato gli artt.
32, 42 e 43 CDF in quanto dopo la revoca della sua nomina a difensore
non si adoperava affinché la successione nei mandati avvenisse senza
danni per l’assistito ed anzi, agiva in senso inverso non consegnando la
documentazione né la contabilità delle spese sostenute. Inoltre, a
carico dell’avvocato vi è anche la violazione degli artt. 5,6,7 e 8 CDF
in quanto, in violazione dei doveri di probità, lealtà, correttezza,
fedeltà e diligenza non consegnava al suo assistito, che in più sedi e
forme gliene faceva esplicita richiesta, documenti necessari per
l’attività di difesa , come ad esempio le copie della sentenza.
Il Consiglio dell’Ordine assolveva parzialmente l’ avvocato, mentre gli
infliggeva la sanzione della censura per non aver consegnato al cliente
la copia – espressamente richiesta – di una sentenza esecutiva. Il
professionista, prima, proponeva ricorso al C.N.F., che rigettava, e
dopo, ricorreva in Cassazione.
Tuttavia, neppure gli Ermellini accolgono le richieste del
professionista che ribadiscono il principio in base al quale, anche se
non paga, il cliente ha diritto a farsi restituire la documentazione. Il
mancato pagamento delle spese legali non legittima l’avvocato a negare o
condizionare i diritti del cliente o l’adempimento delle prestazioni
professionali ( cfr.art. 43 comma 4 C.D.F). Al riguardo, il Consiglio
Nazionale Forense non si è interrogato sulla natura, processuale o meno,
della richiesta delle copie né ha sostenuto che l’avvocato avrebbe
dovuto spingersi a consegnarle anziché limitarsi a metterle a
disposizione, ma si è attenuto alle risultanze istruttorie, ritenendo
ampiamente dimostrato dalle raccomandate in atti, nonché dalle
dichiarazioni dell’assistito, che ad un certo punto della vicenda
l’incolpato aveva cominciato a porre in essere una condotta finalizzata
ad ostacolare il suo ex cliente.
In un quadro del genere, ha osservato il Consiglio Nazionale, risultava
irrilevante accertare se la richiesta delle copie fosse stata o meno
fatta su sollecitazione dell’assistito , perché anche a prescindere dal
fatto che la presentazione dell’istanza era avvenuta tre mesi dopo la
revoca del mandato e, cioè, quando l’ex cliente aveva già più volte
domandato la restituzione della documentazione, quello che in realtà
contava era che l’avvocato non poteva non sapere che la loro mancata
acquisizione avrebbe impedito al cliente di procedere in forma
esecutiva.
A fronte di questa valutazione operata dal Consiglio Nazionale, che ha
concluso per la sussistenza della responsabilità disciplinare
dell’avvocato, non è possibile – si legge nella sentenza n. 24080 – il
sindacato della Cassazione, in quanto basato si di una ricostruzione
dell’accaduto immune da errori logici o giuridici. Da qui il rigetto del
ricorso dell’avvocato e dunque la conferma della censura a carico del
professionista.