Codice del turismo: cancellati 19 articoli
A poco meno di un anno dalla sua adozione l’intero impianto normativo del Codice del turismo rischia di saltare a causa dell’eccesso di delega da parte del Governo, rilevato dalla Consulta in merito a ben 19 articoli del D.lgs. n. 79 del 23 maggio 2011, che travalicano le funzioni legislative di competenza delle Regioni.
Con una sentenza destinata a suscitare clamore, la Corte Costituzionale interviene in materia di turismo censurando una molteplicità di articoli contenuti nel Codice varato da meno di un anno, indicato dall’allora ministro Brambilla come rivoluzione copernicana del settore.
In realtà, la sentenza n. 80 depositata il 5 aprile 2012 ha messo in evidenza il non corretto operato del Governo che, attraverso il d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 – Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio -, non si è limitato a riordinare la normativa di propria competenza nel settore turistico, ma ha disciplinato anche i rapporti con le Regioni in subiecta materia.
La Consulta ha dichiarato la illegittimità costituzionale non solo dell’articolo 1, comma 1 del Codice, nella parte in cui dispone l’approvazione dell’art. 1, limitatamente alle parole “necessarie all’esercizio unitario delle funzioni amministrative” e “ed altre norme in materia”, ma anche di altri diciotto articoli dell’allegato 1 – artt. 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 30, comma 1, 68 e 69 – per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., in relazione all’art. 117, quarto comma e/o art. 118, primo comma Cost.
In buona sostanza, secondo i giudici della Consulta, il legislatore delegato poteva sicuramente raggruppare e riordinare le norme statali incidenti sulla materia del turismo, negli ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di interessi di sicuro rilievo nazionale. Ciò che invece non risultava consentito era la disciplina ex novo dei rapporti tra Stato e Regioni nella stessa materia, peraltro – si legge nella sentenza in commento – con il ripetuto ricorso al metodo della cosiddetta ”attrazione in sussidiarietà”, che, qualificandosi come forma non ordinaria di esercizio, da parte dello Stato, di funzioni amministrative e legislative attribuite alle Regioni da norme costituzionali, richiede in tal senso una precisa manifestazione di volontà legislativa del Parlamento, con indicazione, tra l’altro, di adeguate forme collaborative, del tutto assente nella legge di delegazione n. 246 del 2005.
La questione di legittimità costituzionale è stata posta dalle Regioni Toscana, Puglia, Umbria e Veneto sia sull’articolo 1 che su diversi articoli del Codice.
La strada scelta dai giudici della Corte Costituzionale è stata quella di respingere la questione sull’intero impianto codicistico, affrontandola invece sui singoli articoli censurati. Infatti, l’oggetto della delega era circoscritto al coordinamento formale ed alla ricomposizione logico-sistematica di settori omogenei di legislazione statale, con facoltà di introdurre le integrazioni e le correzioni necessarie ad un coerente riassetto normativo delle singole materie. Ciò al fine di semplificare la normativa di settore, creando dei testi normativi coordinati, tendenzialmente comprensivi di tutte le disposizioni statali per ciascun settore, snelli e facilmente consultabili.
Al contrario, la delega non consentiva il riassetto generale dei rapporti tra Stato e Regioni in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost., in quanto – si legge nella sentenza – la disciplina necessaria per operare tale riassetto non può rimanere ristretta alla sfera legislativa di competenza dello Stato, ma coinvolge quella delle Regioni, sia nel rapporto tra princìpi fondamentali e legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, sia, a fortiori, nell’esercizio del potere di avocazione da parte dello Stato di funzioni amministrative, e conseguentemente legislative, sulla base dell’art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale residuale.
Da qui l’esame delle censure rivolte ai singoli articoli del Codice del turismo. Così, ad esempio, secondo i giudici della Corte Costituzionale, l’articolo 2, che contiene i «princìpi sulla produzione del diritto in materia turistica» e pone le condizioni per l’intervento legislativo dello Stato nella stessa materia, si configura come disposizione del tutto nuova che, pur nella intenzione di adeguare la normativa ai principi fissati dalla giurisprudenza costituzionale, incide su rapporti tra Stato e Regioni in materia turistica e fuoriesce pertanto dai limiti della delega. Analogamente, lo stesso ragionamento viene condotto in tema di turismo accessibile – art. 3 -, sulle semplificazioni degli adempimenti amministrativi per le agenzie di viaggio – art. 21 – e sull’attività di assistenza del turista – art. 68 -.
L’articolo 8, contenendo una classificazione delle strutture ricettive, accentra in capo allo Stato compiti e funzioni attribuiti alle Regioni e alle Province autonome. Del tutto simile la valutazione della Consulta per l’art. 10 che contiene una classificazione degli standard qualitativi delle imprese turistiche ricettive e per l’art. 18 che contiene «definizioni» in materia di agenzie di viaggio e turismo
Si tratta di vedere, a questo punto, come il Governo intenderà procedere, insieme alle Regioni, per fare in modo che la nuova regolamentazione del settore turistico non rimanga lettera morta a pochi mesi dalla sua adozione.