Commercialisti più responsabili
È corretto che il commercialista risarcisca il cliente per parte delle
sanzioni inflitte dal fisco, a prescindere dal fatto che i
comportamenti fossero concordati con quest’ultimo. Questo quanto emerge
dalla sentenza 9916/2010 della terza sezione civile della Corte di
cassazione, depositata il 26 aprile. E nella sentenza il calcolo del
risarcimento viene ritenuto giustamente “limitato” al 50% per il fatto
che il contribuente non avesse presentato domanda di condono pur
avendolo potuto fare, altrimenti non è escluso che si sarebbe potuti
arrivare a un misura ancora più elevata.
L’accertamento del fisco al contribuente riguardava l’esposizione
in dichiarazione di costi non documentati e l’errata imputazione a
periodo di costi al quale si riferiva la denuncia dei redditi. Inoltre
era stata operata una detrazione Ilor per l’ammontare massimo dell’anno
anche se sarebbe in realtà spettata solo per una parte del periodo. Un
punto “adombrato” – afferma la sentenza – nella difesa del
professionista riguardava l’esistenza di un accordo con il cliente per
l’appostazione di costi non dimostrati. Dell’accordo non era stata
fornita prova. Però, sembra di capire che per la Cassazione, questo non
avrebbe fatto una grande differenza.
«Il commercialista – avevano affermato i giudici di merito nel
riconoscere il risarcimento al cliente – era comunque tenuto dal codice
di deontologia professionale a un comportamento corretto ed era
pertanto responsabile del suo operato». In Cassazione non sono stati
accolti i motivi di doglianza del professionista che giravano intorno
al fatto che quest’ultimo non era stato parte del giudizio in
commissione tributaria e quindi non poteva pagare gli effetti della
pronuncia in materia fiscale. La Corte però conferma la pronuncia di
merito per la quale «era preciso obbligo di diligenza del
professionista non appostare costi privi di documentazione o non
inerenti all’anno della dichiarazione». Nessuno spazio è stato poi dato
ai dubbi del professionista sulla fondatezza dell’accertamento e
sull’ulteriore impugnabilità delle sentenze delle commissioni
tributarie, a cui il contribuente non aveva dato assenso.
La decisione fa già discutere. Per il presidente del Cndec,
Claudio Siciliotti, notando che non è la prima volta che i
professionisti vengono condannati a risarcire i clienti per errori
commessi, afferma: «i commercialisti non si sottraggono alle proprie
responsabilità, ma non possono accettare di essere considerati
responsabili verso i clienti, anche a prescindere da accordi
privatistici presi con loro». E poi ricorda che questo non può avvenire
per «ambiti di attività, come la consulenza tributaria, relativamente
alle quali la stessa giurisprudenza della Cassazione non riconosce loro
lo status giuridico di professionisti posti a presidio di un pubblico
interesse».
Il disordine nei documenti non è una giustificazione
La Cassazione afferma che: «Con motivazione adeguata i giudici di
appello hanno osservato che era preciso obbligo di diligenza del
professionista non appostare costi privi di documentazione o non
inerenti all’anno di dichiarazione. Ha osservato la Corte territoriale
che il professionista ebbe ad appostare costi senza avere riscontrato
la presenza della relativa documentazione e ha aggiunto che il
professionsista stesso avebbe dovuto escludere i costi dalla
dichiarazione dei redditi qualora il cliente non avesse provveduto a
fornire la relativa documentazione. Pertanto a nulla rilevava – al fine
di escludere la responsabilità del commercialista – la circostanza che
il cliente tenesse in modo disordinato la sua contabilità. Le
argomentazioni svolte dalla Corte territoriale sfuggono a qualsiasi
censura, in quanto ampiamente motivate» (sentenza 26 aprile 2010, n.
9916)
In passato omissioni valutate in base al danno per l’utente
La responsabilità professionale per condotta omissiva e la
determinazione del danno in concreto subito dal cliente presuppongono
l’accertamento del sicuro fondamento dell’attività che il
professionista avrebbe dovuto compiere e, dunque, la certezza morale
che gli effetti di quella sua diversa attività ove svolta sarebbero
stati, con ragionevole probabilità, vantaggiosi per il cliente. Nel
caso particolare la Cassazione affronta il caso di un dottore
commercialista che aveva lasciato inutilmente decorrere il termine per
l’opposizione avverso un’ordinanza che irrogava la sanzione pecuniaria,
per mancata emissione di bolle di accompagnamento, nei confronti del
suo cliente. Per i giudici, il cliente – se fosse stata proposta
opposizione – avrebbe potuto ottenere l’applicazione della
continuazione fiscale, e anche avvalersi del successivo condono
(Cassazione, sezione III civile, sentenza 5264/1996)
Sull’esistenza della colpa decide il giudice di merito
In tema di responsabilità professionale, la valutazione relativa
all’esistenza e all’entità della colpa del professionista è rimessa al
giudice di merito e sindacabile in Cassazione solo sotto il profilo
dell’esistenza di una motivazione completa e adeguata. Nel caso in
questione la Cassazione ha confermato, in quanto esente da vizi di
motivazione, la sentenza di merito che aveva affermato la
responsabilità professionale di un commercialista. Quest’ultimo non
avendo compiuto un esame accurato degli atti rimessi dal cliente, aveva
fatto decorrere i tempi per proporre l’opposizione dinanzi al giudice
tributario, consideranco anche che, all’epoca, il rito tributario non
prevedeva la condanna del contribuente al pagamento delle spese
processuali, e la prevedibilità di un imminente condono. (Cassazione,
sezione III civile, sentenza 10966/2004)
Domiciliare la contabilità non prova il mandato
La sentenza 9916/2010
La sentenza 9917/2010