Concorso in Polizia: ammesso il candidato con tatuaggio non visibile Consiglio di Stato , sez. VI, sentenza 13.05.2010 n° 2950
Se il tatuaggio ha piccole dimensioni e non si vede, essendo
destinato ad essere interamente coperto dall’uniforme, la candidata può
partecipare al concorso per entrare in Polizia. Lo ha stabilito il
Consiglio di Stato, con la decisione 13 maggio 2010, n. 2950.
Il
Supremo organo di giustizia amministrativa ha, così, applicato i
principi contenuti all’interno del DM n. 198 del 2003, il quale, nel
tipizzare le cause di non idoneità per l’ammissione ai concorsi, parla
di “tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme, o quando,
per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto
siano indice di personalità abnorme.”
I giudici
amministrativi, affermano che, sebbene, attraverso la normativa
richiamata, il legislatore ha inteso introdurre un maggior rigore,
aggiungendo un’ulteriore previsione ostativa all’idoneità, costituita
dalla “presenza del tatuaggio sulle parti del corpo non coperte
dall’uniforme”, è vero anche che – laddove il tatuaggio non assuma
alcuna attitudine deturpante né alcuna idoneità a costituire indice di
personalità abnorme – la visibilità del tatuaggio deve presentare una
certa evidenza.
Nel caso di specie, il tatuaggio era
costituito da un segno grafico monocromatico, in lingua araba, con la
traduzione del nome di battesimo della candidata, di piccole
dimensioni, collocato sulla caviglia sinistra. Il Collegio ritiene che “la
sussistenza della suillustrata causa di non idoneità non possa
desumersi dal mero riscontro del tatuaggio, dovendo l’Amministrazione
valutare la visibilità dello stesso”.
Consiglio di Stato
Sezione VI
Decisione 13 maggio 2010, n. 2950
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 8543 del 2008, proposto da:
S.
I., rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Lanzilao, con domicilio
eletto presso Angelo Lanzilao in Roma, via Cola di Rienzo, 149;
contro
Ministero dell’interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
nei confronti di
Castellano Donato, Borrelli Amedeo;
per la riforma
della
sentenza del TAR LAZIO – ROMA :Sezione I TER n. 07448/2008, resa tra le
parti, concernente INIDONEITA’ ALL’ACCESSO NEI RUOLI DELLA POLIZIA DI
STATO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2010 il consigliere Roberto
Garofoli e uditi per le parti gli avvocati Lanzilao e Vitale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con
la sentenza impugnata il primo giudice ha respinto il ricorso proposto
dall’odierna appellante avverso il provvedimento con cui quest’ultima
era stata esclusa dalla procedura concorsuale per la selezione di 1507
allievi agenti della P.S., nonché avverso il decreto di approvazione
della relativa graduatoria.
Nel dettaglio, alla
contestata esclusione l’Amministrazione si è determinata avendo la
Commissione medica concorsuale riscontrato, in sede di accertamento
della idoneità psico-fisica della candidata, la presenza di un
tatuaggio in zona del corpo non coperta dall’uniforme, conseguentemente
assumendo la ricorrenza dell’ipotesi di non idoneità prevista dal d.m.
n. 198 del 2003, tab. 1, punto 2., lett.”b”, laddove ha riguardo a
“tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme, o quando,
per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto
siano indice di personalità abnorme”.
Con la sentenza
gravata, il primo giudice, nel respingere il ricorso, ha rimarcato la
chiara visibilità e immediata percepibilità degli ideogrammi disegnati
sull’arto sinistro della ricorrente, al di sopra della caviglia,
inalterate quantomeno con l’impiego della divisa ordinaria estiva
femminile in cui l’indumento della gonna non è associato alle calze a
mente del d.m. 19.2.1992 che detta le caratteristiche delle divise
degli appartenenti alla P.S. nonché i criteri generali circa l’obbligo
e le modalità d’uso.
Insorge l’appellante sostenendo l’erroneità della sentenza di cui chiede l’annullamento.
All’udienza del 2 marzo 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso va accolto.
La
questione interpretativa che il Collegio è chiamato a definire attiene
alla applicabilità al caso di specie del citato d.m. n.198 del 2003,
tab. 1, punto 2., lett.”b”, laddove, nel tipizzare le cause di non
idoneità per l’ammissione ai concorsi, ha riguardo ai “tatuaggi sulle
parti del corpo non coperte dall’uniforme, o quando, per la loro sede o
natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di
personalità abnorme..”.
Giova considerare che, nel caso
di specie, il tatuaggio della ricorrente, di piccole dimensioni e
collocato sulla caviglia sinistra, è costituito da un segno grafico
monocromatico in lingua araba con la traduzione del nome di battesimo.
Orbene,
ritiene il Collegio che la sussistenza della suillustrata causa di non
idoneità non possa desumersi dal mero riscontro del tatuaggio, dovendo
l’Amministrazione valutare la visibilità dello stesso.
Più
nel dettaglio, se è vero che con il D.M. 30 giugno 2003, n. 198, si è
inteso introdurre in materia un maggior rigore espressamente
aggiungendo l’ulteriore previsione ostativa alla idoneità costituita
dalla”presenza del tatuaggio sulle parti del corpo non coperte
dall’uniforme”, è vero anche che – in specie laddove il tatuaggio non
assuma (come è scontato nel caso di specie) alcun a attitudine
deturpante né alcuna idoneità a costituire indice di personalità
abnorme – la visibilità del tatuaggio deve presentare una certa
evidenza, non potendo lo stesso in alcun modo essere coperto indossando
la divisa o in altro modo.
E’ quanto non può sostenersi
nel caso di specie in considerazione, da un lato, delle piccoli
dimensioni del tatuaggio, dall’altro, della sua collocazione sulla
caviglia sinistra, in quanto tale destinato ad essere addirittura del
tutto coperto dall’ordinaria uniforme.
Alla stregua delle esposte ragioni va dunque accolto l’appello.
Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando sul ricorso, lo accoglie e, per l’effetto,
in riforma della appellata sentenza, annulla il provvedimento impugnato
in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2010 con l’intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Roberto Garofoli, Consigliere, Estensore
Giancarlo Montedoro, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 13/05/2010.