Condominio: la legittimazione passiva dell’amministratore non ha limiti
Nei giudizi relativi alle parti comuni, promossi da terzi o anche da un singolo condomino, la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio è senza limiti: la sua partecipazione non necessita di autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale ed esclude il litisconsorzio necessario di tutti i condomini.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 4 ottobre 2012, n. 16901.
Nella fattispecie, il proprietario di una soffitta chiedeva, previo accertamento della titolarità di una quota di proprietà pari a 7,66 millesimi (in luogo dei 9,34 attribuitigli dall’amministratore), la condanna del Condominio alla restituzione delle maggiori somme pagate.
Il convenuto condominio resisteva in giudizio eccependo, tra l’altro, il difetto di legittimazione passiva dell’amministratore, dovendo la causa essere, eventualmente, promossa nei confronti di tutti i condomini.
Il giudice di prime cure, configurando la domanda attorea quale richiesta di modificazione della tabella millesimale, accoglieva l’eccezione di legittimazione passiva proposta dal Condominio, e, per l’effetto, respingeva ogni altra richiesta dell’attore.
Ad analoghe conclusioni giungeva il giudice dell’appello, argomentando, però, sulla base di presupposti giuridici differenti: la domanda giudiziale, consistendo nella richiesta di accertamento della proprietà, non andava proposta nei confronti del Condominio, privo della legittimazione passiva, ma di tutti i condomini.
Con la sentenza n. 16901/2012 la Suprema Corte ha stabilito invece che “ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 2, la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino”.
Secondo gli ermellini l’amministratore ha, infatti, il solo obbligo di riferire all’assemblea.
Si tratta di un obbligo di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, sanzionato dalla possibile revoca del mandato e risarcimento del danno (ex multis, Cass. 16.4.2007, n. 9093).
Conseguentemente, la presenza in giudizio dell’amministratore esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini.
Invero, sulla questione oggetto di esame esistono nella giurisprudenza di legittimità e in dottrina due diversi orientamenti.
Il primo, maggioritario (cui aderisce la sentenza in commento), sostiene che l’amministratore è titolare di una rappresentanza processuale passiva generale senza limiti. Infatti, l’art. 1131, comma 2, che prevede che l’amministratore “può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio”, deve essere interpretato nel senso che l’amministratore, quale “mandatario ex lege”, non necessita di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni necessarie.
Il secondo, minoritario, sostiene invece che la “ratio” dell’art. 1131 c.c. è quella di favorire il terzo che voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di notificare la citazione al solo amministratore, anziché a tutti i condomini. Tale norma non legittima, invece, l’amministratore a resistere in giudizio e impugnare senza autorizzazione dell’assemblea.
La sentenza n. 16901/2012 è conforme ad altri precedenti arresti della Suprema Corte. In particolare la pronuncia 10 novembre 2010, n. 22886 secondo cui la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato passivo sussiste, anche in merito all’interposizione d’ogni mezzo di gravame, in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino, in ordine alle parti comuni dello stabile condominiale. Tale conclusione trova ragione nella necessità di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini.
Occorre dar conto, però, che la Cassazione era intervenuta sulla questione con una sentenza a Sezioni Unite di poco precedente (sentenza 6 agosto 2010, n. 18331) adottando una soluzione piu’ vicina all’orientamento minoritario sopra richiamato.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, “l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione”.
Tale soluzione interpretativa, ad avviso della Corte, consente di salvaguardare il principio per cui l’assemblea è l’unico organo decisionale nel condominio, non avendo l’amministratore autonomi poteri, ma limitandosi ad eseguire le deliberazioni dell’assemblea e a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio. Inoltre, garantisce il diritto dei condomini di dissentire rispetto alle liti ai sensi dell’art. 1132 c.c. Infine, da un lato, agevola i terzi nei rapporti con il condominio e, dall’altro, assicura la tempestiva e urgente difesa (onde evitare decadenze e preclusioni) dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio.
Concludendo, la sentenza 4 ottobre 2012, n. 16901 si pone nuovamente nel solco di quell’orientamento maggioritario che la Cassazione a Sezioni Unite in un primo momento aveva respinto, chiarendo, si spera in via definitiva, che la legittimazione processuale passiva dell’amministratore non incontra limiti.