Condominio, limiti e divieti, regolamento, precisazioni
Il regolamento condominiale può contenere delle clausole limitatrici
delle facoltà d’uso delle porzioni di piano di proprietà esclusiva.
Tali clausole sono legittime anche nel caso in cui sia stato adottato
il criterio misto, ossia qualora tali limitazioni siano state indicate
sia attraverso l’elencazione espressa degli usi non consentiti, sia
facendo riferimento ai pregiudizi che un uso (non consentito) potrebbe
comportare. (1-7)
(*) Riferimenti normativi: artt. 1117 e seguenti c.c..
(1) In tema di condominio e nozione di parti comuni, si veda Cassazione civile, sez. II, ordinanza 02.02.2009 n° 2568. Sulla proprietà comune, si veda anche Cassazione civile, sez. II, sentenza 07.09.2009 n° 19329
(2) In tema di condominio, delibere assembleari tra nullità ed annullabilità, si veda Cassazione civile, sez. II, sentenza 11.05.2009 n° 10816.
(3) In materia di condominio e mancata convocazione, si veda Cassazione civile, sez. II, sentenza 03.11.2008 n° 26408.
(4) In materia di condominio, status e legittimazione, si veda Cassazione civile, sez. II, sentenza 09.09.2008 n° 23345.
(5) In materia di condominio ed oneri condominiali, si veda Cassazione civile, sez. II, sentenza 24.06.2008 n° 17201.
(6) Sulla natura delle obbligazioni dei condomini si veda: SS.UU. 9148/2008.
(7) Sul condominio si veda il Focus, VIOLA, Il condominio: i recenti orientamenti giurisprudenziali.Si veda l’ebook (collana Altalex Massimario diretta da Luigi Viola) MOMMO, Le problematiche condominiali alla luce della recente giurisprudenza.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 1 aprile – 18 settembre 2009, n. 20237
(Presidente Triola – Relatore Petitti)
Svolgimento del processo
Con
citazione notificata il 9 febbraio 1999, l’amministratore del
Condominio di via Cavour nn. 15-17, ang. Via Toti, in Alpignano,
conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Torino, la Alpignano
Coppe snc, esponendo che il sig. E. D., a far data dal mese di maggio
1998, conduceva in locazione un locale, di proprietà della Alpignano
Coppe snc, sito in via Toti n. 3, nel quale aveva aperto un circolo
privato denominato “Ritrovo amici alpignanesi”; che ciò aveva
comportato pregiudizi per i restanti condomini a causa degli schiamazzi
degli avventori e delle immissioni di odori sgradevoli dalle cucine;
che il regolamento condominiale, all’art. 12, vietava l’indicata
destinazione dei locali; che, pur se l’assemblea condominiale del 29
giugno 1998 aveva respinto l’istanza del D. di aprire un circolo
privato, egli aveva invece proceduto all’apertura. Tanto premesso, il
Condominio ricorrente chiedeva che la convenuta fosse condannata a
cessare la destinazione abusiva dei locali e a risarcire i danni patiti
dal condominio.Costituitosi il contraddittorio, la Alpignano
Coppe snc contestava la domanda e chiedeva comunque la chiamata in
causa del D. ex artt. 102 e 107 cod. proc. civ.Autorizzata la
chiamata, il terzo si costituiva deducendo di non essere stato a
conoscenza dell’art. 12 del regolamento condominiale e che comunque
l’attività di bar-ristorazione in questione aveva ottenuto le
autorizzazioni comunali e non comportava alcuno degli usi vietati dal
regolamento.Istruita la causa anche a mezzo di ctu, il
Tribunale di Torino, con sentenza in data 3 luglio 2001, respingeva le
domande del Condominio, che condannava al rimborso delle spese
processuali in favore sia della convenuta che del chiamato in causa.Proponeva
appello il Condominio e, ricostituitosi il contraddittorio, la Corte
d’appello di Torino, con sentenza in data 28 gennaio 2004, in riforma
della sentenza di primo grado, dichiarava che l’attività svolta nei
locali di proprietà della Alpignano Coppe snc era vietata dal
regolamento condominiale e condannava gli appellati a cessare detta
attività, nonché a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i
gradi di giudizio.La Corte, dopo aver ricordato i principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai rapporto tra
regolamenti condominiali e attività consentite ai condomini nelle
singole unità immobiliari, nel senso che i divieti e i limiti possono
essere formulati nei regolamenti sia mediante la elencazione delle
attività vietate, sia mediante il riferimento ai pregiudizi che si
intendono evitare, riteneva che l’art. 12 del regolamento condominiale
contenesse un vero e proprio divieto di svolgimento dell’attività in
concreto svolta dalla società Alpignano Coppe. Il regolamento prevedeva
infatti che i condomini non potessero fare uso della proprietà
individuale «in contrasto con la moralità, la tranquillità e il decoro
della casa» essendo in particolare vietato di «destinare i locali
dell’edificio ad uso albergo, pensione, sale di società per
trattenimenti e gioco».La Corte territoriale rilevava quindi
che, per statuto, la società appellata aveva lo scopo di promuovere e
gestire attività culturali, turistiche, ricreative, motorio-sportive,
assistenziali, proponendosi in particolare di ritrovarsi in un locale
aperto all’intrattenimento societario, potendo, per raggiungere i
propri fini, creare strutture proprie ovvero utilizzare quelle
esistenti sul territorio.Rilevava altresì che dalla istruttoria
espletata era emerso che il circolo costituiva luogo di ritrovo, di
aggregazione e di trattenimento di un numero indefinito di persone, che
accedevano liberamente e si trattenevano nei locali, svolgendovi
attività di conversazione, di gioco di carte e di dama, e di ascolto
della radio e della televisione, usufruendo anche del servizio di
somministrazione di cibo e bevande. In sintesi, dalla espletata
istruttoria, era emerso che nei locali era stata svolta un’attività
conforme a quella descritta nello statuto come “ricreativa”, pienamente
rientrante in quella che, con la diversa formulazione di “sala di
società per trattenimenti e giochi”, il regolamento condominiale
vietava.Né una simile conclusione poteva essere contrastata dal
fatto che il circolo era aperto durante i giorni feriali fino alle ore
19-20 e solo il sabato e la domenica fino alle ore 22-23; che
l’attività era svolta con il rispetto delle ordinarie regole di civile
convivenza e che al circolo avevano accesso solo i soci, posto che per
diventare soci non erano prescritti requisiti particolari. Né,
proseguiva la Corte, poteva rilevare il fatto che le attività svolte
nel circolo non fossero diverse da quelle che avrebbero potuto essere
svolte nelle mura domestiche, posto che ciò che connotava il locale
come sala di società era la possibilità di libero accesso, di
frequentazione e di permanenza da parte di una moltitudine indefinita
di persone durante tutto il periodo di apertura al pubblico.In
sostanza, la Corte riteneva che l’attività svolta nel circolo
rientrasse tra quelle espressamente vietate dal regolamento
condominiale; e ciò escludeva la necessità di verificare se in concreto
detta attività arrecasse i pregiudizi alla tranquillità e alla moralità
che il condominio aveva inteso evitare.Per la cassazione di
questa sentenza hanno proposto autonomi ricorsi sia D. E., sulla base
di due motivi, illustrati da memoria, sia la Alpignano Coppe snc,
articolando anch’essa due motivi; l’intimato Condominio non ha svolto
attività difensiva.Motivi della decisione
Deve
essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, in quanto
rivolti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).Con il primo motivo, il ricorrente D. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ.
Il
ricorrente ricorda che l’art. 12 del regolamento condominiale dispone
che i condomini non possono utilizzare i locali oggetto di proprietà
esclusiva «in contrasto con la moralità, la tranquillità e il decoro
della casa stessa. È perciò vietato destinare i locali dell’edificio ad
uso albergo, pensione, sale di società per trattenimento e gioco (…)
scuole di musica, canto o ballo, attività rumorose o comunque
pericolose». Ritiene quindi che la Corte d’appello abbia violato i
canoni ermeneutici posti dal citato articolo 1362 cod. civ., laddove ha
ritenuto che nel caso di specie il Condominio abbia adottato sia il
criterio della individuazione delle attività espressamente vietate, sia
quello della idoneità delle attività in concreto svolte ad arrecare i
pregiudizi che si intende invece evitare.Al contrario, dalla
semplice lettura della norma regolamentare e dall’avverbio “perciò”, si
sarebbe dovuto desumere che il regolamento abbia inteso strettamente
legare la prima parte della disposizione alla seconda, nel senso che le
attività da ritenersi vietate a termini di regolamento devono tutte e
necessariamente avere il comune denominatore della contrarietà con la
moralità, la tranquillità e il decoro del condominio. L’avverbio
“perciò”, infatti, ha una portata chiaramente esplicativa,
chiarificatrice e induce quindi a ritenere che l’elencazione non
rappresenti un criterio a sé stante e che abbia invece uno scopo
meramente esemplificativo. L’esclusione della opzione per il criterio
misto, del resto, sarebbe resa evidente dal rilievo che il secondo
comma dell’art. 12 fa riferimento ad attività rumorose e comunque
pericolose, espressioni, queste, che certamente non sarebbero state
utilizzate se alla indicazione contenuta nella norma regolamentare si
fosse voluto riconoscere la portata di vietare espressamente dette
attività.Risulterebbe quindi evidente la violazione, da parte
della sentenza impugnata, anche dell’art. 1363 cod. civ., il quale
impone al giudice di interpretare le clausole l’una per mezzo delle
altre, attribuendo alle stesse il senso risultante dal complesso
dell’atto. In particolare, poi, per accertare se una determinata
attività potesse essere configurata come sala di trattenimento, sarebbe
stato necessario individuare quale fosse la concreta destinazione della
stessa.In ogni caso, osserva la ricorrente, la Corte d’appello
avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., in quanto l’art. 12 citato,
insuscettibile di interpretazione estensiva, non prevedeva che
l’attività svolta dal circolo rientrasse espressamente tra quelle
vietate dal secondo comma. Al contrario, la Corte d’appello ha
identificato l’attività svolta dal circolo quale vera e propria sala di
trattenimento e gioco, alla luce delle finalità del circolo come
delineate dallo statuto. Ma delle molteplici finalità statutarie, la
Corte ha valorizzato quella delle attività ricreative e ha identificato
tale attività con quella della sala di trattenimento e di gioco sulla
base di criteri discutibili. Innanzitutto, il criterio letterale non
avrebbe dovuto indurre ad una simile equiparazione, tenuto conto che il
regolamento condominiale era stato predisposto circa trenta anni prima.
Inoltre, delle molte attività statutariamente previste, nessuna
presenta i caratteri della pericolosità e della rumorosità, indicati
dall’art. 12 come caratteristici delle attività vietate. Né le attività
statutariamente previste sono assimilabili a quelle che si svolgono in
alberghi e pensioni o bar. In sostanza, nel ritenere che la volontà
negoziale sottostante alla disposizione regolamentare fosse quella di
impedire genericamente che all’interno delle proprietà esclusive si
svolgessero iniziative atte a consentire l’accesso, la frequentazione e
la libera permanenza da parte di una moltitudine indefinita di persone,
la Corte territoriale avrebbe travisato la portata della disposizione
stessa, la quale, nel vietare l’insediamento di società di
trattenimento e gioco, chiaramente intendeva riferirsi ad attività
quali il gioco d’azzardo o le scommesse, e cioè attività caratterizzate
da una marcata immoralità e da una maggior riprovevolezza a livello
sociale. E del resto, nel condominio risulta essere presente anche un
bar, e cioè un esercizio che, seguendo l’interpretazione data dalla
Corte d’appello alla disposizione regolamentare, avrebbe dovuto essere
ritenuto non consentito o vietato dal regolamento condominiale.Con
il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 116 e ss. cod. proc. civ., dell’art. 12 del regolamento
condominiale e vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria.La
Corte d’appello avrebbe errato nella valutazione delle prove, nel senso
che, mentre dall’istruttoria espletata era emerso che l’attività
principale svolta nei locali del circolo era quella di ristorazione e
di intrattenimento della clientela con il gioco delle carte o la
visione di alcuni programmi televisivi, la sentenza impugnata ha
svilito proprio l’attività di ristorazione, certamente non vietata dal
regolamento condominiale.Il ricorrente, da ultimo, si duole
della mancata ammissione dei mezzi istruttori volti a dimostrare
l’esistenza, nel medesimo condominio, del bar Cavour.Sulla base
di argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, la ricorrente
Alpignano Coppe snc, con il primo motivo, lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., nonché il vizio di
insufficiente ed illogica motivazione, e, con il secondo motivo,
violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e ss. cod. proc. civ.,
dell’art. 12 del regolamento condominiale e vizio di motivazione
insufficiente e contraddittoria.I ricorsi, i cui motivi possono
essere esaminati congiuntamente in considerazione della connessione
delle censure proposte, sono infondati.Occorre premettere, in
linea generale, che «L’interpretazione di un regolamento contrattuale
di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di
legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica
oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o contraddittorietà
della motivazione» (Cass., n. 9355 del 2000). «Ne consegue che il
ricorrente per cassazione che denunzi un vizio di motivazione della
sentenza sotto il profilo dell’omesso e errato esame di una
disposizione del regolamento di condominio, deve precisare
specificamente nel ricorso, non solo il contenuto del regolamento,
almeno nelle parti salienti, ma anche, sia pure in maniera sintetica,
quali regole di ermeneutica sono state violate, al fine di consentire
al giudice di legittimità il controllo della decisività del preteso
errore» (Cass., n. 1406 del 2007).Ritiene il Collegio che la
Corte d’appello, nel ritenere che lo svolgimento dell’attività del
Circolo privato Ritrovo Amici Alpignanesi fosse vietata dall’art. 12
del regolamento del condominio di via Cavour 15-17, angolo via Toti
1-3, in Alpignano, sia immune dai denunciati vizi di violazione di
legge e di motivazione.È innanzitutto indiscutibile che la
Corte territoriale ha, nel caso di specie, fatto applicazione del
principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui «i divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari
di proprietà esclusiva dei singoli condomini, come i vincoli di una
determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria
destinazione, posti con il regolamento condominiale predisposto
dall’originario proprietario ed accettati con l’atto d’acquisto, devono
risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata
nell’atto o da una volontà desumibile, comunque, in modo non equivoco
dall’atto stesso, e non e certamente sufficiente, a tal fine, la
semplice indicazione di una determinata attuale destinazione delle
unità immobiliari medesime, trattandosi di una volontà diretta a
restringere facoltà normalmente inerenti alla proprietà esclusiva da
parte dei singoli condomini. I divieti e le limitazioni di cui sopra
possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione
delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una
determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se
la destinazione stessa sia inclusa nell’elenco) sia mediante
riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo
secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la
idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli
inconvenienti che si vollero evitare)» (Cass., n. 1560 del 1995; Cass.,
n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994).Secondo la Corte
d’appello, la clausola regolamentare che veniva in discussione faceva
applicazione del cosiddetto criterio misto, nel senso che essa
individuava sia le finalità al perseguimento delle quali la
predisposizione del divieto era strumentale, sia alcune attività che
dovevano ritenersi espressamente vietate, a prescindere dalla concreta
sussistenza di elementi tali da far ritenere compromesse le finalità
perseguite con il divieto di destinazione delle unità immobiliari di
proprietà esclusiva.La clausola, secondo quanto emerge dalla
sentenza impugnata e da entrambi i ricorsi, risulta così formulata: «I
condomini, pur essendo investiti di tutti i privilegi della proprietà,
non potranno fare uso in contrasto con la moralità, la tranquillità ed
il decoro della casa stessa. È perciò vietato destinare i locali
dell’edificio ad uso albergo, pensione, sale di società per
trattenimento e gioco (…), di scuole di musica, canto e ballo, di
attività rumorose o comunque pericolose».La Corte territoriale
ha affermato che, «poiché nel regolamento del Condominio attore sono
stati utilizzati entrambi i criteri di individuazione delle attività
vietate, deve ritenersi da un lato che l’elenco delle attività vietate
non sia tassativo, e che il divieto si estenda anche a tutte le
destinazioni non espressamente menzionate, che siano comunque idonee a
provocare i pregiudizi che si intendono evitare; e dall’altro che tutte
le attività specificamente indicate siano di per sé vietate, senza
necessità di verificare in concreto l’idoneità a recare i pregiudizi
suddetti».Opinando in tal modo, la Corte d’appello non ha
violato alcun canone ermeneutico, e in particolare non quello di cui
all’art. 1362 cod. civ., né quello di cui all’art. 1363 cod. civ.Quanto
al primo, si deve rilevare che/ secondo la Corte d’appello, la
individuazione delle attività vietate non era tassativa. La pretesa di
entrambi i ricorrenti che dalla utilizzazione, nel regolamento, della
espressione “perciò”, che precede la elencazione delle attività
vietate, si sarebbe dovuto desumere il carattere meramente
esemplificativo della tipologia delle attività, che sarebbero vietate
solo in quanto in concreto contrastanti con le finalità che il divieto
intende perseguire, non può essere condivisa. Tanto la sentenza
impugnata quanto i ricorrenti, infatti, muovono dalla considerazione
che la elencazione delle attività vietate non sarebbe tassativa, ma
solo esemplificativa. Sulla base di tale premessa, peraltro, mentre la
Corte d’appello ha ritenuto che il regolamento abbia optato per un
criterio misto, i ricorrenti sostengono che, invece, la interpretazione
corretta sarebbe nel senso che le attività esemplificativamente
menzionate in tanto sarebbero vietate in quanto si svolgano con
modalità tali da porsi in contrasto con la moralità, la tranquillità ed
il decoro del condominio.Si tratta, come è agevole constatare,
della contrapposizione di una diversa interpretazione a quella
prescelta dal giudice del merito, nel compito istituzionalmente
demandatogli di interpretare gli atti di autonomia privata, e quindi di
una pretesa che, lungi dal denunciare la violazione di un canone
ermeneutico, si risolve nella richiesta di una nuova valutazione della
volontà delle parti, il che non è consentito in sede di legittimità.Quanto
alla denunciata violazione del canone di cui all’art. 1363 cod. civ.,
secondo il quale le clausole di un contratto devono essere interpretate
le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che
risulta dal complesso dell’atto, deve rilevarsi che, del pari, la
stessa non sussiste. Secondo i ricorrenti, la violazione consisterebbe
in ciò che, avendo l’art. 12 espressamente menzionato tra le attività
vietate quelle rumorose o comunque pericolose, il significato da
attribuire alla esplicita menzione delle attività vietate non poteva
essere quello ad essa attribuito dalla Corte d’appello, dovendosi anzi
ritenere che in tanto una determinata attività, ancorché espressamente
prevista, poteva considerarsi vietata, in quanto la stessa si ponesse
in contrasto con la moralità, la tranquillità ed il decoro della casa
stessa.A ben vedere, l’argomento non coglie nel segno, il fatto
che il regolamento condominiale abbia incluso tra quelle vietate
un’attività genericamente qualificata per essere rumorosa e comunque
pericolosa non comporta in alcun modo la conseguenza che tutte le
attività espressamente indicate nella medesima disposizione debbano
avere il medesimo contenuto di genericità. E tale è stato il
convincimento della Corte d’appello la quale, sulla base di una
interpretazione del regolamento condominiale e dello statuto del
circolo, immune dai denunciati vizi, è pervenuta a ritenere l’attività
svolta da quest’ultimo rientrante in quella, specificamente indicata
come vietata, della destinazione di un locale di proprietà esclusiva a
«sala di società per trattenimenti e gioco». Ma, a ben vedere, la
stessa previsione che siano vietate attività rumorose o comunque
pericolose non comporta affatto la indeterminatezza del divieto e la
necessità di poterlo configurare solo attraverso il collegamento con le
finalità, perseguite dal regolamento, di tutela della moralità, della
tranquillità e del decoro dell’edificio. Tale previsione,
contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non solo non vale ad
escludere la portata precettiva della indicazione delle attività
vietate, ma è previsione che di per sé possiede una attitudine
individualizzante, potendosi porre unicamente un problema di
accertamento in concreto della rumorosità o della pericolosità
dell’attività stessa, ma senza che possa in alcun modo istituirsi un
collegamento tra rumorosità o pericolosità e contrasto con la moralità,
la tranquillità ed il decoro della casa stessa.La questione si
sposta, quindi, sul piano dell’apprezzamento delle attività svolte
presso i locali del Circolo privato. In proposito, la Corte d’appello,
con motivazione adeguata e congrua dal punto di vista logico, ha preso
le mosse dagli scopi perseguiti, sulla base del proprio statuto, dal
Circolo stesso, indicati nel «promuovere e gestire attività culturali,
turistiche, ricreative, motorio-sportive, assistenziali …» e nel
proporsi di «ritrovarsi in un locale aperto all’intrattenimento
societario», con la previsione che, «per raggiungere i suoi fini può
creare strutture proprie ovvero utilizzare quelle esistenti sul
territorio; può promuovere direttamente lo sviluppo delle iniziative
culturali, turistiche, sportive, ambientalistiche; e contribuire alla
realizzazione di progetti … nel quadro di una programmazione delle
attività, del tempo libero e dello sport». Ha quindi rilevato che, come
anche riconosciuto dal giudice di primo grado, dalla istruttoria orale
era emerso che il circolo «costituisce luogo di ritrovo, di
aggregazione e di trattenimento di un numero indefinito di persone, che
accedono liberamente e si trattengono nei locali, svolgendovi attività
di conversazione, di gioco di carte e di dama, e di ascolto della radio
e della televisione, usufruendo anche del servizio di somministrazione
di cibo e bevande». Ha pertanto ritenuto che tale complesso di
attività, e le modalità di svolgimento delle stesse, integrassero
quella che, «con espressione desueta ma chiara, nel regolamento
condominiale è indicata come “sala di società per trattenimenti e
gioco”».La Corte d’appello ha infine osservato che una simile
conclusione non poteva ritenersi contrastata dal rilievo che il circolo
era aperto durante i giorni feriali fino alle ore 19-20 e solo il
sabato e la domenica fino alle ore 22-23; che l’attività era svolta con
il rispetto delle ordinarie regole di civile convivenza e che al
circolo avevano accesso solo i soci, posto che per diventare soci non
erano prescritti requisiti particolari. Né poteva rilevare il fatto che
le attività svolte nel circolo non fossero diverse da quelle che
avrebbero potuto essere svolte nelle mura domestiche, posto che ciò che
connotava il locale come sala di società era la possibilità di libero
accesso, di frequentazione e di permanenza da parte di una moltitudine
indefinita di persone durante tutto il periodo di apertura al pubblico.Si
tratta, all’evidenza, di accertamenti di fatto, basati sulle risultanze
della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio di primo grado,
ai quali i ricorrenti oppongono una diversa valutazione delle
risultanze istruttorie, sottolineando come il primo giudice avesse
accertato la prevalenza dell’attività di ristorazione rispetto a quella
di intrattenimento o di gioco svolta nei locali del circolo. Ma si
tratta di rilievo che, da un lato, non risulta corredato dalla
riproduzione delle deposizioni assunte nel corso del giudizio di primo
grado o della consulenza tecnica d’ufficio, del pari espletata nel
corso di quel giudizio, che attesterebbero la indicata prevalenza;
dall’altro, si risolve in una inammissibile richiesta di diversa
valutazione di circostanze di fatto, tutte considerate dal giudice di
merito e apprezzate sulla base di una motivazione logica ed immune da
lacune.Si deve solo aggiungere che la censura svolta dai
ricorrenti, e in modo particolare dalla difesa del D., secondo cui la
Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che nello stabile
condominiale vi era un bar, e che quindi la volontà espressa nel
regolamento condominiale non poteva essere quella di considerare
vietate attività di ristorazione, quale quella svolta prevalentemente
nei locali del circolo, non tiene a sua volta conto della diversità tra
le attività che possono essere svolte dal circolo privato, sulla base
del suo statuto, e quelle tipiche svolte da un bar, rientrante nella
tipologia dell’esercizio pubblico, oggetto di regolamentazione da parte
delle autorità competenti, sicché la mancata previsione, nella norma
regolamentare, tra le attività vietate, di quelle degli esercizi
pubblici, correttamente è stata implicitamente ritenuta dalla Corte
d’appello non conducente né ai fini della interpretazione della stessa
disposizione regolamentare, né ai fini della valutazione delle
risultanze della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio.Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati.
Non avendo l’intimato Condominio svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.