Condominio, nuove regole: maggioranze ridotte in assemblea, diritto di voto agli inquilini sulle decisioni ordinarie, incarico biennale per l’amministratore
Se tutto andrà come previsto, sarà una piccola rivoluzione. Le 12
milioni di famiglie italiane che abitano in condominio vedranno
cambiare da cima a fondo le regole sulla vita in comune: maggioranze
ridotte in assemblea, diritto di voto agli inquilini sulle decisioni
ordinarie, incarico biennale per l’amministratore. E ancora:
contabilità più facile da interpretare e sempre accessibile, azione
esecutiva obbligatoria contro chi non paga le spese, limiti
all’installazione delle antenne tv.
Il disegno di legge all’esame
della commissione Giustizia del Senato punta a riscrivere buona parte
dei 23 articoli e delle 12 disposizioni di attuazione che il Codice
civile dedica al condominio. Norme rimaste immutate dal 1942, che
avrebbero bisogno di essere adeguate alla realtà dei tempi.
La
prudenza, comunque, è d’obbligo: anche nella XIV legislatura (2001-06)
la riforma era sembrata cosa fatta, salvo poi sfumare all’ultimo
minuto. La novità, questa volta, è il clima di collaborazione sbocciato
in commissione. I cinque Ddl presentati da esponenti della maggioranza
e dell’opposizione sono stati fusi in un testo unificato (si veda Il
Sole 24 Ore del 12 agosto) e la possibilità che venga concessa la
deliberante in commissione Giustizia non è del tutto infondata. Se poi
si seguisse la stessa strada alla Camera, il Ddl potrebbe diventare
legge tra qualche mese.
Per il senatore Franco Mugnai, padre di
questa riforma, il testo attuale distilla il meglio delle proposte
precedenti. «Abbiamo fatto tesoro delle osservazioni delle associazioni
degli amministratori e dei condomini fatte all’epoca», spiega. I
professionisti, però, avrebbero voluto poter dire la loro anche questa
volta. L’Anaci ha già fatto sentire pubblicamente il proprio dissenso e
anche molte altre sigle si allineano. L’Alac di Paolo Gatto ha inviato
diverse note di dissenso al Parlamento, mentre Giovanni De Pasquale,
presidente dell’Anaip, boccia le novità come «un pasticcio».
Moltissime
modifiche riguardano la figura dell’amministratore, chiamato tra
l’altro a prestare una «idonea garanzia» per un valore non inferiore
agli oneri della gestione annuale e di ogni gestione straordinaria. Il
Ddl, inoltre, prevede un elenco obbligatorio, anche se non un albo.
«Non lo si può fare e non è neppure utile – spiega Mugnai –. Utile è
invece per i condomini avere la massima trasparenza e la tracciabilità
dell’operato dell’amministratore e poter contare sull’esclusione
dall’elenco di chi si sia reso colpevole dei reati tipici di chi si
comporta disonestamente».
Le associazioni, al contrario, avrebbero
voluto un filtro maggiore all’ingresso: Giuseppe Bica (Anammi) e
Maurizio Cardaci (Agiai) criticano la scelta di non chiedere un titolo
di studio o formativo minimo agli amministratori, mentre secondo
Vittorio Fusco (Anapi) bisognerebbe introdurre anche un tariffario
base, utile per aiutare i cittadini a districarsi tra le tante tariffe
proposte dai professionisti.
Al di là di queste polemiche, il Ddl
contiene alcune disposizioni che sicuramente aumenteranno la
trasparenza gestionale. Come la redazione del rendiconto per cassa e
competenza. O come l’obbligo di avere un conto corrente condominiale.
Si è scelto, invece, di non attribuire la personalità giuridica al
condominio. «Abbiamo risolto la questione una volte per tutte – afferma
il senatore Mugnai – concludendo per la sua non proponibilità: è troppo
difficile passare con disinvoltura dal mattone all’azione, come se il
condominio fosse una Spa». Con buona pace di quanti pensano che la
soluzione opposta potrebbe «risolvere molti problemi nei rapporti
giuridici», come dice Vincenzo Nasini, del centro studi Gesticond,
associazione aderente a Confedilizia.
Il progetto di riforma,
comunque, contiene molte altre disposizioni destinate a incidere sulla
vita quotidiana dei condomini. Valga per tutti il nuovo articolo
1117-ter del Codice civile, che consentirà di «sostituire» o
«modificare la destinazione d’uso» delle parti comuni. La lettera della
norma è ambigua, ma Mugnai ci tiene a precisare che «sarà possibile
anche la cessione, se l’operazione è di indubbio vantaggio per il
condominio e previo indennizzo a chi è danneggiato. Ad esempio, si
potrà decidere di vendere il giardino comune, pagando quell’unico
inquilino che lo utilizzava».