Condominio, tabelle, modifiche, precisazioni Cassazione civile , sez. II, sentenza 10.02.2010 n° 3001
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 12 novembre 2009 – 10 febbraio 2010, n. 3001
(Presidente Triola – Relatore Oddo)
Svolgimento del processo
Il
Tribunale di Torino con sentenza 3 giugno 2002 rigettò la domanda
proposta da M. A., condomino dell’edificio al corso Cosenza n. 33, di
Torino, nei confronti degli altri condomini del medesimo edificio per
l’accertamento dell’erroneità delle tabelle millesimali di riparto
delle spese condominiali e la condanna dei convenuti alla restituzione
delle somme che in conseguenza dell’errore egli aveva indebitamente
versato al condominio dal 1988.
La decisione, gravata dall’A.,
venne confermata il 28 giugno 2004 dalla Corte di appello di Torino, la
quale, premesso che l’errore rilevante ai fini dell’art. 69, disp.
att., c.c., deve avere carattere oggettivo ed essere causa di
un’apprezzabile divergenza tra il valore attribuito nelle tabelle alle
unità immobiliari e quello effettivo, rigettò l’impugnazione,
osservando che l’attore non aveva indicato, né tanto meno dimostrato,
con la dovuta specificità l’errore o gli errori oggettivamente
verificabili dai quali erano affette le tabelle e l’erroneità di esse
non poteva trarsi dalla loro divergenza da quelle formate nel giudizio
dal c.t.u. in base a criteri e coefficienti di valutazione e di calcolo
utilizzati nell’attualità; aggiunse che “quand’anche l’errore rilevante
potesse essere costituito dalla scelta o valorizzazione di parametri di
valutazione, difformi da quelli comunemente utilizzati”, e non solo
dalla loro inesatta o disomogenea applicazione alle singole unità
immobiliari, la parte non aveva fornito la prova “di quali fossero
stati i criteri di calcolo e di valutazione concretamente utilizzati
per la formazione delle tabelle originarie” e la loro coincidenza con
quelli utilizzati dal c.t.u. per giungere alla formazione di tabelle
difformi.
L’A. è ricorso con due motivi per la cassazione della sentenza ed i condomini [VARI] hanno resistito con controricorso.
Non hanno svolto attività in giudizio i condomini [VARI], anche quali procuratori di [VARI].
Motivi della decisione
Il
primo motivo di ricorso, denunciando in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 69, disp. att.,
c.c., e 1123 e 2697, c.c., deduce che la nullità della sentenza
impugnata in quanto, ritenendo che:
a) l’esattezza delle tabelle
millesimali andava verificata con riferimento agli elementi oggettivi
ed ai criteri di calcolo e di valutazione scelti per la stima delle
unità immobiliari, e non già ai criteri correnti nel momento della
verifica, ha eluso la funzione delle tabelle di esprimere un valore
proporzionale della proprietà di ciascun condomino rapportato a quello
di mercato;
b) l’attore, anziché i convenuti, era gravato della
dimostrazione che la divergenza delle tabelle redatte dal c.t.u. non
era dovuta ad una diversità dei criteri soggettivi utilizzati, ha fatto
applicazione inversa del principio dell’onere della prova.
Il
secondo motivo, lamentando in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5,
c.p.c., l’insufficiente e contraddittoria motivazione, si duole che la
sentenza abbia ritenuto inesistenti e non dimostrati fatti pacifici,
costituiti dalla: a) specifica indicazione nell’atto di citazione delle
ragioni e degli errori che caratterizzavano le tabelle impugnate; b)
attribuzione nelle tabelle ai singoli piani dell’edificio di valori
decrescenti in relazione all’altezza, risultante dalla c.t.u. e ammessa
dai convenuti; c) vigenza già negli anni ‘70 – ai quali risalivano le
tabelle – del criterio del valore crescente dei piani in relazione
all’altezza, documentato dalla circolare del Ministero dei Lavori
Pubblici 12480/1966; d) omessa considerazione nella formazione delle
tabelle delle cantine e delle soffitte, riconosciuta anche dai
convenuti.
Il primo motivo è infondato.
A norma degli artt. 68 e 69, disp. att., c.c., il
regolamento di condominio deve precisare i valori proporzionali di
ciascun piano o delle porzioni di piano spettanti in proprietà
esclusiva ai singoli condomini e detti valori, che devono essere
ragguagliati in millesimi a quello dell’intero edificio ed espressi in
una apposita tabella allegata al regolamento, possono essere riveduti e
modificati, anche nell’interesse di un solo condomino: a) quando
risulta che sono conseguenza di un errore; b) quando per le mutate
condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della
sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di
innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto
originario tra i loro valori.
Ne consegue che momento
normativo di individuazione dei valori delle unità immobiliari di
proprietà esclusiva ai singoli condomini, e del loro proporzionale
ragguaglio in millesimi a quello dell’edificio, è quello di adozione
del regolamento e che la tabella che li esprime è soggetta ad emenda
soltanto in relazione ad errori, di fatto o di diritto, che attengano
alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore
delle singole unità immobiliari, ovvero a circostanze sopravvenute
attinenti alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che
incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.
In
ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei
singoli condomini, fissati dalle tabelle millesimali, sono escluse,
dunque, sia la revisione che la modifica delle tabelle tanto per errori
nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli
elementi necessari al suo calcolo, quanto per mutamenti successivi dei
criteri di stima della proprietà immobiliare, quand’anche abbiano
comportato una rivalutazione disomogenea delle singole unità
dell’edificio od alterato, comunque, il rapporto originario tra il
valore delle singole unità del condominio e tra queste e l’edificio.
Nel
caso in cui venga chiesta la revisione delle tabelle, l’errore o gli
errori lamentati devono, dunque, oltre che essere causa di una
divergenza apprezzabile tra i valori posti a base della redazione delle
tabelle e quello allora effettivo, risultare anche oggettivamente
verificabili in base agli elementi sui quali il valore in quel momento
doveva essere calcolato (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 24 gennaio
1997, n. 6222).
A tali principi si è adeguata la sentenza
impugnata, in quanto, precisato che momento rilevante ai fini della
verifica di un errore nelle tabelle era quello della loro formazione e
dato anche per ammesso che un errore nella valutazione delle singole
unità immobiliari poteva derivare dalla scelta o valorizzazione di
parametri di valutazione difformi da quelli all’epoca comunemente
utilizzati, ha escluso, con un apprezzamento in fatto non sindacabile
per violazione di legge, la sussistenza della denunciata “perversione
del criterio del piano” in ragione della mancanza di prova che: a) il
coefficiente del piano fosse stato applicato con le modalità affermate
dall’attore; b) all’epoca della formazione delle tabelle il valore
degli immobili fosse direttamente proporzionale al piano; c) la
divergenza fra i valori indicati nelle tabelle e quelli rilevati dal
c.t.u. non fosse da imputare al concorrente utilizzo nella loro
formazione di ulteriori criteri e coefficienti soggettivi di
valutazione.
Non diversamente è da escludere un’inversione del
principio dell’onere della prova, giacché la Corte di appello ha
collegato la soccombenza dell’attore all’esatta considerazione che egli
doveva dimostrare l’esistenza dell’errore, o degli errori, costituenti
fondamento della sua pretesa e che i criteri in base ai quali erano
state formate le tabelle non erano stati accertati dalla c.t.u. e non
potevano essere di per sé presunti dalla discordanza dei valori attuali
delle unità immobiliari in essa indicati.
Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in altra infondato.
È inammissibile laddove denuncia l’omessa valutazione:
a)
di una circolare del Ministero dei Lavori pubblici, senza soddisfare
l’onere imposto dal principio di autosufficienza del ricorso di
indicare in quale fase processuale il documento era stato prodotto, di
trascriverne nell’atto d’impugnazione il contenuto, o la parte
significativa di essa, onde consentire il vaglio della decisività
dell’omissione, e di specificare se il suo esame fosse stato
sollecitato al giudice di appello, che di esso non ha fatto menzione
nella sentenza;
b) della circostanza che nella formazione delle
tabelle non erano state considerate le cantine e le soffitte, senza
specificare se ed in quali termini la questione fosse stata riproposta
nel giudizio di appello.
È infondato nella parte in cui concerne
la “perversione del criterio del piano”, perché attinge un
apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e che è sorretto da
una adeguata e logica motivazione sull’assenza di prova tanto
dell’esistenza al momento della formazione delle tabelle di un criterio
di diretta proporzionalità del valore dei piani alla loro altezza
quanto della sua violazione, mentre nel resto sollecita una
rivalutazione degli elementi acquisiti e degli atti processuali che è
preclusa al giudice di legittimità.
All’infondatezza od
inammissibilità dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio,
che liquida in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per spese vive, oltre
spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.
Nel caso in cui venga chiesta la revisione
delle tabelle, l’errore o gli errori lamentati devono, dunque, oltre
che essere causa di una divergenza apprezzabile tra i valori posti a
base della redazione delle tabelle e quello allora effettivo, risultare
anche oggettivamente verificabili in base agli elementi sui quali il
valore in quel momento doveva essere calcolato. (1-11)