Condotta non finalizzata all’atto amministrativo: escluso il reato di violenza a p.u.
Per la sussistenza del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) è necessario il rapporto finalistico tra l’azione minacciosa e l’atto amministrativo.
E’ quanto ha stabilito il Tribunale di Caltanissetta con la sentenza del 17 ottobre 2012, il quale ha evidenziato come, trattandosi di reato plurioffensivo, la lesione deve involgere non solo la sfera di autonomia riconosciuta al pubblico ufficiale, ma anche ,e necessariamente, l’amministrazione pubblica e la discrezionalità amministrativa ad essa riconnessa.
Il caso vedeva una persona aggredire, in uno stato d’ira deterrminato dalla mancata concessione di una sovvenzione da parte di un dipendente comunale, un pubblico ufficiale che si trovava in servizio nello stesso luogo. Il pubblico ufficiale, nella specie un ispettore in servizio presso il Comando di Polizia Municipale, riportava lesioni consistenti in trauma contusivo nella regione lombare destra e algia lombare zona destra e orecchio sinistro, con prognosi di tre giorni.
Secondo la Corte territoriale, non può configurarsi, nella fattispecie, il delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, in quanto, per la sussistenza del medesimo, è necessario il rapporto finalistico tra l’azione violenta o minacciosa e l’atto amministrativo. Come confermato dall’orientamento giurisprudenziale di legittimità richiamato dai giudici “non integrano il reato di minaccia a pubblico ufficiale le espressioni minacciose rivolte nei confronti di un pubblico ufficiale come reazione alla pregressa attività dello stesso, in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto di ufficio, ovvero quella di influire comunque su di esso“.
La norma, infatti, prevede la punibilità di chiunque usi violenza a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio.
Al tempo stesso la Corte ritiene ammissibile il reato di lesione aggravata dalla qualifica di pubblico ufficiale della vittima, ai sensi dell’art. 576, numero 5-bis, c.p. (aggiunto dalla lettera b-sexies del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125), richiamato dall’art. 576 c.p., ai sensi del quale la pena è aumentata se il fatto è commesso contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio.
Come confermato dall’orientamento dominante, infatti, l’aggressione ad un soggetto qualificato può costituire circostanza aggravante se non sia elemento costitutivo di altro reato e se sia assente, come nella specie, la finalizzazione della condotta rispetto all’azione amministrativa.