CONGEDI DAL LAVORO – TUTTO QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE
E’ legittimo il licenziamento in caso di assenze
ingiustificate per permessi
fruiti dal lavoratore senza il consenso
del datore di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 2803 del 2015, secondo la quale il congedo dal lavoro può essere
fruito solo con il permesso del datore di lavoro, tranne alcune eccezioni, e
solo per gravi motivi (e qui si tratta dei tre
giorni di permesso retribuiti che spettano di diritto ogni anno ai
lavoratori subordinati).
Ma quando scatta il cosiddetto congedo automatico? Solo in caso di decesso o di infermità grave e documentata del coniuge, anche se
legalmente separato; di un parente entro il secondo
grado, anche non convivente; di un soggetto componente la famiglia anagrafica. In tutti questi casi, però, la documentazione deve essere presentata entro 5 giorni.
In casi diversi da quelli sopra elencati, qualsiasi congedo può essere concesso solo con il permesso dell’azienda e secondo precise regole. Innanzitutto il lavoratore deve comunicare
preventivamente l’evento per il quale richiede il
permesso e i giorni nei quali intende utilizzarlo. Il datore di lavoro dovrà
fornire entro 10 giorni dalla
richiesta di congedo le sue valutazioni,
comunicando l’esito al dipendente. Il consenso può essere negato per ragioni organizzative o produttive che non consentono di sostituire il dipendente.
Ed è su questo punto che interviene la Cassazione, chiarendo che se il lavoratore ricorre ai permessi senza darne preventiva comunicazione, e senza aver ricevuto l’assenso dal datore di lavoro, il licenziamento è legittimo.
In pratica, a parte i casi in cui il congedo scatta
in automatico, negli altri casi «il lavoratore – si legge nella sentenza – non può assentarsi senza che il
datore sia messo nella condizione di verificare l’effettiva sussistenza delle
giustificazioni ed eventualmente di negare il permesso o proporre il
differimento del congedo o di fruirlo in modo parziale. Il motivo è che la
fruizione dei congedi lasciata al mero
arbitrio del lavoratore impedirebbe l’esercizio del potere di direzione
e di organizzazione dell’impresa, che spetta al datore di lavoro, con
pregiudizio anche per gli altri lavoratori».