Consumi in caduta, prezzi no. «Urgono saldi liberalizzati»
Le vendite del commercio fisso al dettaglio calano, tra agosto e
settembre, dello 0,2% per gli alimentari e dello 0,1% per i non
alimentari. Se si confronta settembre 2007 (pre crisi) con settembre
2009, l’indice destagionalizzato delle vendite si è ridotto per oltre
il -2,9% (-1,35% gli alimentari, -3,61% i non alimentari). Se, invece,
si confronta il dato medio dei primi nove mesi del 2008 con
l’equivalente periodo del 2009, emerge una contrazione di oltre il -2%
(-1,7% gli alimentari, addirittura -2,2% i non alimentari).
Medesime variazioni possono essere calcolate per l’indice dei
prezzi. Se si considera l’indice dei prezzi al consumo per l’intera
collettività, e si confronta la media dei primi nove mesi del 2008 con
l’equivalente periodo del 2009, ne risulta un aumento di oltre il +0,8
per cento. Se si considera, invece, l’indice dei prezzi armonizzato
europeo, l’aumento diviene di poco meno di +0,8 per cento. Se il
confronto venisse fatto sul 2007 (il pre crisi), la variazione dei due
indici dei prezzi sarebbe più consistente.
In termini reali, tra i primi nove mesi del 2008 e i primi nove del
2009, le vendite hanno subito una flessione per quasi il 3%. E dietro
questo numero si nasconde la contrazione dei consumi delle famiglie
che, 2009 su 2008, ha riguardato gli alimentari in proporzione non
molto diversa dai non alimentari (dopo un 2007 in cui i consumi di
alimentari avevano tenuto).
Se il fatturato e gli ordinativi industria di settembre hanno fatto
registrare timidi segnali di recupero, sul fronte delle vendite al
dettaglio – che rappresentano la fase finale della filiera di
produzione/distribuzione/consumo – i dati Istat descrivono una
situazione ancora molto difficile, soprattutto se si considera che
stiamo osservando contrazioni che si innestano su una caduta in atto
almeno dalla fine del 2007.
In questa fase di ciclo l’anomalia che balza agli occhi è quella
dei prezzi al consumo, che hanno continuato indisturbati la loro
crescita. Anche mentre i prezzi alla produzione subivano correzioni
significative. Anche mentre il potere di acquisto delle famiglie si
indeboliva. Aanche mentre gli effetti della crisi si abbattevano sul
mercato del lavoro. Anche mentre le stesse vendite al dettaglio
cedevano terreno. È una anomalia che, in queste proporzioni, appartiene
solo all’Italia, a confronto sia con i partner Ue che con gli Stati
Uniti.
Bisognerebbe attivarsi subito per liberalizzare i saldi di stagione, senza nessun vincolo di timing e
di proporzioni degli sconti. Sarebbe un intervento anticiclico
praticabile per decreto legge e poi inseribile a fine anno in
Finanziaria. Più concorrenza tra i commercianti concorrerebbe a ridurre
i prezzi, con stimolo sia per la domanda delle famiglie che per la
produzione.
Una boccata d’ossigeno a costo zero per l’Erario (anzi a costo
negativo, se si considera il gettito Iva), che giungerebbe proprio
quando la produzione sta tentando di risalire la china, e le famiglie
aspettano sostegni che difficilmente potranno passare per una
detassazione delle tredicesime troppo costosa, in questo frangente, per
le finanze pubbliche (non darebbe, oltretutto, la stessa garanzia di
incidere sul circuito consumi/produzione/redditi/consumi).
Affinché la liberalizzazione dei saldi possa generare effetti
significativi, è necessario compiere questo passo il prima possibile,
eliminando una categoria, quella dei “saldi stagionali concertati e
coordinati”, che appare antistorica soprattutto nelle condizioni di
difficoltà in cui si muove l’economia e la società.