Contenzioso tributario: inammissibile l’appello nel caso di contumacia Cassazione civile , sez. tributaria, sentenza 22.01.2010 n° 1174
In materia tributaria è inammissibile l’appello nel caso di contumacia dell’appellato.
Con
la sentenza n. 1174, depositata il 22 gennaio 2010, la Cassazione si
pone in aperto contrasto con una precedente recentissima decisione
della stessa sezione.
Per fare un po’ di chiarezza è
bene ricordare che in tema di contenzioso tributario, per il deposito
in commissione tributaria, sia del ricorso introduttivo del giudizio
sia del ricorso in appello, valgono le stesse regole previste
dell’articolo 22, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546:
- consegna diretta o spedizione a mezzo del servizio postale;
- attestazione di conformità, da parte del ricorrente, dell’atto depositato a quello consegnato o spedito;
- inammissibilità del ricorso rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Quanto
all’attestazione di conformità, secondo un indirizzo ben consolidato
nella giurisprudenza delle Commissioni tributarie, confermato da quella
della Cassazione, costituisce causa d’inammissibilità non la mancata attestazione, da parte dell’appellante, della conformità tra il documento depositato ed il documento notificato, ma solo la loro “effettiva” difformità.
In
altri termini, la mera mancanza d’attestazione, da parte del
ricorrente, della conformità tra l’atto depositato e quello notificato,
è stata costantemente ritenuta insufficiente a far dichiarare
l’inammissibilità dell’atto processuale in mancanza dell’effettiva
difformità accertata d’ufficio dal giudice.
L’applicazione di tale principio non ha lasciato dubbi, ma solo nel caso di costituzione del resistente o dell’appellato,
posto che, in tale situazione, la difformità tra i due esemplari di
ricorso è suscettibile di essere contestata dalla parte costituita e
agevolmente rilevabile dal giudice, attraverso il diretto raffronto del
ricorso depositato con quello notificato trattandosi d’atti acquisiti
in giudizio.
Nel caso di contumacia del resistente o dell’appellato,
per l’inammissibilità dell’appello si sono pronunciati i giudici di
Cassazione nel 2008, motivando che in tale situazione, la parte è
impossibilitata a riscontrare e denunciare la difformità ed il giudice
non potrebbe verificare la prescritta conformità, attraverso la diretta
comparazione dell’esemplare depositato con quello notificato, dato che
la contumacia del resistente o dell’appellato preclude l’acquisizione,
del secondo esemplare, agli atti del giudizio.
La
sentenza n. 1174/2010, si uniforma perfettamente a tale precedente
decisione, che nel confermare l’inammissibilità per l’effettiva
difformità, ha tuttavia aggiunto: ”Qualora, però, l’appellato
sia rimasto contumace, venendo a mancare in radice la possibilità di
riscontrare e denunciare la difformità, si impone la declaratoria
dell’inammissibilità dell’appello, in quanto, in caso contrario,
nell’ipotesi “de qua” la prescritta formalità risulterebbe priva di
qualsiasi reale funzione”. (Cass. civ., Sez. V, sent. 22 febbraio 2008, n. 4615).
Si
tratta quindi di una conferma del fatto che in difetto di costituzione
dell’intimato destinatario dell’atto, costituisce causa
d’inammissibilità del ricorso in prime cure o dell’atto d’appello
l’omessa attestazione di conformità all’originale notificato della
copia depositata presso la segreteria del giudice di primo grado o del
gravame.
La decisione ha tuttavia suscitato molte perplessità in quanto il collegio ha testualmente dichiarato dare continuità “all’indirizzo ancora di recente ribadito e precisato da Cass., 5^, 4615/2008”,
senza considerare che la stessa V sezione, con successiva decisione
emessa nel 2009, si era pronunciata per la presunzione di conformità
dell’atto d’impugnazione notificato rispetto a quello depositato “sia
quando l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al
riguardo, sia quando non si costituisca, così rinunciando a sollevare
l’eccezione predetta” (Cass. civ., Sez. V, sent. 20 marzo 2009, n. 6780).
Le
maggiori perplessità nascono dal fatto che la decisione del 2009
(intermedia), ha ampiamente motivato l’ammissibilità dell’appello
facendo ritenere superata la necessità di distinguere il caso di
mancata costituzione dell’appellato in quanto aveva chiaramente escluso
la necessità di dichiarare l’inammissibilità anche nel caso di
contumacia dell’appellato.
Secondo la decisione
“ignorata” dal Collegio, l’effettiva difformità tra i due esemplari del
ricorso, deve essere accertata con la collaborazione del destinatario
del ricorso stesso, il quale, se intende farla valere, “è gravato
dell’onere di costituirsi in giudizio, senza che la sola sua mancata
costituzione in giudizio e l’impossibilità da parte del giudice di
riscontrare e rilevare la difformità tra i due esemplari del ricorso
comporti la declaratoria d’ufficio della sua inammissibilità”.
L’odierna
pronuncia fa registrare, com’è evidente, un passo indietro e si pone in
netto contrasto rispetto all’ultima interpretazione (della stessa
sezione!) secondo cui, essendo onere dell’appellato di eccepire
l’effettiva difformità, si presuppone verificata la conformità sia
quando l’appellato si sia costituito in giudizio e non abbia sollevato
eccezione al riguardo sia quando l’appellato non si sia costituito ed
abbia, perciò, rinunciato a sollevarla.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTRIA
Sentenza 22 gennaio 2010, n. 1174
Svolgimento del processo
– che:
B.G.
ricorre con un motivo, illustrato da memorie, avverso la sentenza della
Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, che
ha dichiarato inammissibile l’appello del contribuente avverso la
decisione con cui la Commissione tributaria provinciale di Torino aveva
respinto il ricorso del medesimo – esercente attività di medico –
contro il silenzio rifiuto delle istanze di rimborso dell’IRAP versata
per gli anni 1998-2001: si fonda, la sentenza impugnata, sulla mancata
attestazione, nell’atto di appello depositato, della conformità a
quello consegnato all’Ufficio, nella contumacia di quest’ultimo.
Deducendo
“violazione di legge e falsa o errata applicazione delle norme
procedurali di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 22 e
conseguente eccesso di potere sotto il profilo della illogicità e la
manifesta violazione del diritto del contribuente”, il ricorrente
censura la sentenza in quanto non è la mera mancata attestazione di
conformità a determinare la inammissibilità del ricorso, sibbene la
reale non conformità della copia consegnata rispetto a quella
depositata; e, d’altronde, non essendo – in caso di notifica a mezzo
posta – quella depositata una copia, ma un vero e proprio originale,
alla verifica della conformità si sarebbe potuto facilmente ovviare
“sia chiedendo al ricorrente di completare il ricorso con la
dichiarazione di conformità e sia chiedendo all’Agenzia delle entrate
di depositare copia conforme del ricorso consegnatole”, non essendo
consentita una immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso, per manifesta infondatezza.
Motivi della decisione
– che:
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il
collegio intende dare continuità all’indirizzo ancora di recente
ribadito e precisato da Cass., 5^, 4615/2008, secondo cui “in tema di
contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3 –
richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 53 – che disciplina
il deposito in segreteria della commissione tributaria adita della
copia del ricorso notificato mediante consegna o spedizione a mezzo del
servizio postale, va interpretato nel senso che costituisce causa di
inammissibilità non la mancata attestazione, da parte dell’appellante,
della conformità tra il documento depositato e quello notificato, ma
solo la loro effettiva difformità, accertata d’ufficio dal giudice in
caso di detta mancanza. Qualora, però, l’appellato sia rimasto
contumace, venendo a mancare in radice la possibilità di riscontrare e
denunciare la difformità, si impone la declaratoria
dell’inammissibilità dell’appello, in quanto, in caso contrario,
nell’ipotesi de qua la prescritta formalità risulterebbe priva di
qualsiasi reale funzione”.
La seconda parte della
massima contiene la ragione del superamento di tutte le deduzioni di
segno contrario del ricorrente, che in realtà intenderebbe superare la
sanzione alla mancata attestazione di cui si discute attraverso una
disciplina del tutto innovativa, peraltro incoerente con quella
codificata.
Di qui il rigetto del ricorso.
Non conseguono statuizioni sulle spese, per mancanza di attività difensiva dell’Agenzia intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010.