Contratto tra avvocato e cliente: il foro è sempre quello del consumatore
Cassazione civile , sez. III, ordinanza 09.06.2011 n° 12685
La Cassazione, con l’ordinanza 9 giugno 2011, n. 12685 emessa in sede di regolamento di competenza, conferma la sentenza del 19 febbraio 2010 dove il Tribunale di Roma si dichiarava incompetente a favore del foro di Larino. Presso quest’ultimo comune era residente un insegnante che aveva promosso opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato relativamente a compensi professionali non onorati.
L’avvocato ha proposto regolamento di competenza asserendo che nella fattispecie non poteva essere applicata la normativa a tutela del consumatore. Infatti la lite in ragione della quale erano maturati i propri onorari concerneva il cliente nella sua professione di insegnante e pertanto sosteneva l’applicabilità del foro speciale alternativo per notai ed avvocati, di cui al terzo comma dell’art. 637 c.p.c.
La Cassazione ritiene infondata la tesi dell’avvocato argomentando che nel rapporto tra il foro speciale alternativo di cui al terzo comma dell’art. 637 c.p.c. ed il foro esclusivo del consumatore di cui all’art. 33, comma 2, lettera n) del d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005 prevale quest’ultimo. Richiama il proprio consolidato orientamento che ritiene esclusivo e speciale il foro del consumatore, considerando presuntivamente vessatoria, e quindi nulla, la clausola che stabilisca come sede del foro competente un luogo diverso da quello di residenza o domicilio elettivo del consumatore, pure nell’ipotesi ove il foro indicato come competente coincida con uno dei fori di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c.
La Suprema Corte smentisce pertanto l’eccezione sollevata dall’avvocato in merito alla non riconducibilità della normativa in tema di consumatori al caso di specie, in quanto, a dir della Corte, l’avvocato che conclude un contratto d’opera intellettuale rappresenta un professionista ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 206 del 2005, ricordando le definizioni fornite dal codice del consumo e dalla direttiva comunitaria da cui ha tratto origine.
La Corte infine analizza l’ulteriore questione concernente la locuzione “scopo estraneo all’attività professionale” se si riferisca o meno ad attività differenti da quelle di lavoratore dipendente. La Corte, sulla scia di alcune precedenti sentenze nelle quali il lavoratore subordinato veniva riconosciuto quale “parte debole” del rapporto contrattuale, afferma che il rapporto di lavoro subordinato non integra attività di natura professionale idonea a far ritenere sussistente la qualità di professionista e quindi escludendo la qualifica di consumatore. Ciò premettendo la Corte elimina ogni dubbio circa la prospettata qualificazione operata dal ricorrente nei confronti dell’insegnante – lavoratore dipendente, come “professionista”.