Contro l’indagine bancaria occorre fornire una prova
L’onere della prova per neutralizzare le presunzioni basate sulle
indagini bancarie ricade sul contribuente. Se quest’ultimo non la
fornisce, può essere ritenuta legittima la rettifica dei redditi
operata dall’ufficio. È quanto deciso dalla Ctr Puglia, con la sentenza
n. 24/8/10.
Nel caso in questione risalente agli anni Novanta, il contribuente,
esercente l’attività di odontotecnico, subiva una verifica da parte del
fisco. Veniva accertato un reddito d’impresa superiore a quello
dichiarato nel l’anno precedente, sulla base di maggiori ricavi
corrispondenti alla quota capitale annua degli esborsi monetari (flussi
di cassa in uscita) e ai relativi versamenti bancari più significativi.
In particolare, l’amministrazione finanziaria chiedeva al contribuente
di giustificare gli esborsi monetari e i relativi versamenti bancari,
corrispondenti a presunte forniture di protesi dentarie non
contabilizzate. Tuttavia, l’odontotecnico non forniva alcuna
giustificazione sia nel contradditorio sia nel processo tributario.
Il contribuente, poi, ricorreva contro il verbale di constatazione
dell’ufficio in Ctp, che accoglieva l’istanza, affermando che i
verificatori erano giunti alle loro conclusioni con presunzioni fondate
su fatti incerti e privi delle indispensabili caratteristiche di
gravità, precisione e concordanza. L’ufficio propone appello. E la Ctr
pugliese, facendo riferimento alla normativa vigente ratione temporis
al l’epoca dei fatti, ha ritenuto che «la presunzione posta
dall’articolo 32 del Dpr 600/73 importa l’inversione dell’onere
probatorio, ponendolo a carico del contribuente anche in riferimento ai
conti correnti bancari in relazione ai quali abbia disponibilità
operativa».
Sul punto, diverse sono le letture della giurisprudenza. La Ctp
Bari con la sentenza n. 172/2/09 ha sostenuto che «nella presunzione
legale di equiparazione dei prelievi ai ricavi è insita la deduzione
che a un costo non registrato corrisponda un ricavo non registrato, e
tale deduzione si assume fondata sul l’ipotesi che i prelevamenti
ingiustificati siano sintomatici di acquisti di beni e servizi in
evasione d’imposta, preordinati a produrre ricavi sottratti a
tassazione in quanto prodotti a seguito della vendita in nero dei
medesimi beni e servizi».
Allo stesso tempo, però, va ricordato che la Ctp Enna, nella
sentenza n. 84/3/10 del 15 febbraio, ha affermato che «i dati bancari
sono, invece, semplici presunzioni suscettibili di assumere il ruolo
della certezza, gravità e precisione solo mediante un logico, deduttivo
e provocato abbinamento con altrettanti fatti contestati». In
conclusione, la Ctp siciliana precisa che «l’incasso o il pagamento di
una somma, presunzione di per sé semplice, assume la necessaria qualità
grave, precisa e concordante solo allorquando venga abbinato ad altro
documento o fatto, anch’esso di per sé presunzione semplice,
concernente il medesimo importo e dal quale sia possibile arguire la
causale dell’operazione. In mancanza di tali requisiti, i dati bancari
non supportano l’accertamento impugnato».