Corte Costituzionale: un altro no ai matrimoni gay
La Consulta dice no alle unioni tra persone dello stesso sesso con
l’ordinanza del n. 4 del 2011. Secondo i giudici costituzionali non
sarebbe possibile celebrare matrimoni tra soggetti dello stesso sesso.
La Corte è stata investita della questione dal tribunale di Ferrara che
ha sollevato la questione di legittimità costituzione di alcuni
articoli del codice civile (93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis
e 231) nella parte in cui non consentono che le persone dello stesso
sesso possano contrarre matrimonio. Il giudice a quo aveva sollevato la
questione eccependo che tali norme, non consentendo matrimonio
omosessuali avrebbero violato i principi contenuto negli artt. 2, 3 e
29, comma 1 della Costituzione. Degno di note è il riferimento, del
giudice rimettente, della legge 164 del 1982, (legge sulla
rettificazione dell’attribuzione sessuale), legge che si colloca
“nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta
ai valori di libertà e dignità della persona umana, valorizzando
l’orientamento psicosessuale della persona”, secondo le parole del
giudice a quo. Nel prospettare la questione, il ricorrente aveva
rilevato come, mentre il o la transgender, che subisce un’operazione e
dopo la sentenza di rettificazione di sesso sui registri anagrafici, può
contrarre matrimonio, l’omosessuale non può ancora farlo. Per questo,
– continua il giudice a quo “non appare giustificata la
discriminazione tra coloro che hanno un naturale orientamento psichico
che li spinge ad una unione omosessuale, e non vogliono effettuare
alcun intervento chirurgico di adattamento, né ottenere la
rettificazione anagrafica per conseguire un’attribuzione di sesso
contraria al sesso biologico, ai quali è precluso il matrimonio, e i
transessuali, che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo
stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare. (…) La parità
di diritti per i cittadini omosessuali potrà dirsi realizzata soltanto
se sarà loro consentito di scegliere di regolare la propria vita e i
propri rapporti giuridici e patrimoniali optando fra le stesse
alternative che sono a disposizione dei cittadini transessuali ed
eterosessuali”. La Corte, dopo aver citato altre due precedenti
sentenze in materia, la n. 138/2010 e 276/2010, (dalle quali ha
ritenuto di non doversi discostare in quanto non sono stati posti nuovi
motivi rispetto a quelli prospettati in precedenza) ha, con ordinanza,
ritenuto la questione manifestamente infondata e inammissibile. Nei
passi più salienti della sentenza i giudici hanno rilevato come “l’art.
29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice
civile come unione tra persone di sesso diverso, e questo significato
del precetto costituzionale non può essere superato per via
ermeneutica, sia perché (in ordine all’art. 3 Cost.) le unioni
omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”.