Corte di Cassazione n° 3284/08 – risarcimento danni – danno alla serenità ed alla sicurezza – 12.02.08
La Corte
di Cassazione, nel caso di specie, avente ad oggetto una richiesta di
risarcimento danni derivante dalla lesione alla serenità ed alla
sicurezza formulata da un cittadino, a causa dell’apposizione da parte
del comune di un palo di illuminazione pubblica nell’immediata
vicinanza della propria abitazione, ha effettuato una distinzione netta
tra il danno esistenziale ed il danno biologico
precisando che, se lo stress psicologico da timore è al più
riconducibile al danno biologico, la serenità e la sicurezza in sé
stesse considerate non costituiscono diritti fondamentali di rango
costituzionali inerenti alla persona, la cui lesione consenta il
ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III CivileSentenza n. 3284/2008
Svolgimento del processo
1.
Nel gennaio del 1996 P. A. – in esito al provvedimento di tutela
cautelare innominata che ne aveva accolto parzialmente l’istanza –
convenne in giudizio il comune di Reggio Calabria innanzi al locale
tribunale chiedendone la condanna alla rimozione di un palo portante un
lampada di illuminazione pubblica (lampione) apposto nel settembre del
1995 nell’immediata vicinanza della facciata del palazzo nel quale
abitava, a distanza – affermò – talmente ravvicinata dal suo
appartamento da renderne possibile l’accesso a qualunque
malintenzionato, così pregiudicando il suo diritto “alla salute ed alla
sicurezza della persona”, tanto più in relazione ai possibili pericoli
connessi alla sua qualità di magistrato.
Domandò anche la condanna del convenuto al risarcimento del “danno patito e patendo”. Il comune convenuto resistette.
Con
sentenza n. 606 del 29.6.2001 il tribunale di Reggio Calabria rigettò
la domanda e compensò le spese sui rilievi che non erano ravvisabili
profili di illegittimità nell’operato dell’ente convenuto; che
“mancava qualsiasi allegazione di un effettivo danno biologico o, più’
genericamente, alla persona in tutte le sue possibili estrinsecazioni”;
che era stata piuttosto addotta una mera “potenzialità di danno”; che
conclusivamente, mancava “1’illegittimità della condotta della
pubblica amministrazione e persino il diritto tutelabile”.
2.
La sentenza è stata totalmente riformata dalla corte d’appello di
Reggio Calabria con sentenza n. 168/04 del 16.8.2004 che, in
accoglimento dell’appello del soccombente, ha condannato il comune alla
rimozione del palo ed al risarcimento del danno “esistenziale” nella
misura di € 4.000,00, oltre al pagamento delle spese del doppio grado
(rispettivamente liquidate in € 7.585,64 ed in € 4.127,84).
3. Avverso la sentenza ricorre per cassazione il comune, affidandosi a cinque motivi cui resiste con controricorso l’A….
Motivi della decisione
1.
Va premesso che, dei cinque motivi di ricorso del Comune ricorrente, il
quarto concerne la motivazione della sentenza impugnata in punto di
ravvisata pericolosità del palo o lampione, il primo attiene al capo
della sentenza d’appello nella parte in cui ne ha ordinato la rimozione
(già eseguita, secondo quanto affermato dal controricorrente A.), e gli
altri tre la statuizione relativa alla condanna dell’ente territoriale
al risarcimento del danno, qualificato dalla corte d’appello come
“esistenziale”.
2.
Il quarto motivo – il cui esame è logicamente preliminare – è
inammissibile in quanto, al di là del vizio di motivazione solo
formalmente prospettato, viene in realtà censurato un apprezzamento di
fatto, non reiterabile in questa sede di legittimità.
3.
Col primo motivo il ricorrente assume che soltanto in fase di gravame
l’attrice aveva chiesto la rimozione ovvero lo spostamento del palo non
quale risarcimento in forma specifica della lesione subita, ma quale
strumento di prevenzione al fine di scongiurare eventuali pericoli alla
vita ed all’ incolumità propria e della famiglia, dolendosi che la
corte non abbia per questo ritenuto che la domanda di rimozione
proposta in appello fosse nuova, e come tale vietata dall’art. 345
c.p.c. 3.1. La doglianza è manifestamente infondata, com’è reso chiaro,
prim’ancora che dal contenuto dell’atto di citazione in primo grado,
dalla considerazione che la richiesta di eliminazione di una situazione
di pericolo è, per sua natura, volta solo al futuro, essendo del tutto
privo di senso logico che se ne domandi l’eliminazione stessa quale
reintegrazione in forma specifica di un danno da rischio già corso.
Posto,
invero, che il danno lamentato si assumeva integrato dallo stress
psicologico da situazione pericolosa costituita dalla presenza del
palo, è palese che il danno da stress passato non avrebbe mai potuto
essere eliso dalla rimozione del palo, necessariamente destinata ad
incidere, escludendolo, solo sul rischio e sul conseguente turbamento
psichico ancora da venire.
4.
Col secondo e col terzo motivo la sentenza è censurata per non aver
ritenuto che fosse nuova, e dunque inammissibile, la domanda relativa
al risarcimento del danno “esistenziale”, anch’esso domandato solo in
appello, essendo stato in primo grado richiesto soltanto il
risarcimento del danno biologico, escluso dal tribunale.
4.1. Le censure sono fondate.
Dall’atto
di citazione risulta che la presenza del palo era stata prospettata
come “gravissimo e perenne attentato alla sicurezza, nel senso di vera
e propria lesione dell’ integrità psicofsica dell’ istante e dei suoi
familiari” (a pagina 1) ; che era stato invocato “il diritto
costituzionalmente garantito dell’ istante alla salute” (art. 32)” {a
pagina 7); che si era lamentata la lesione “del diritto soggettivo,
costituzionalmente garantito, alla tutela e salvaguardia della propria
salute, come più volte sin qui ribadito, intesa come vera e propria
sicurezza, integrità ed inviolabilità della persona” (alle pagine 11 e
12).
Non
è dunque revocabile in dubbio che il diritto di cui era stata lamentata
la lesione in primo grado fosse quello alla salute, o lato sensu
biologico, di cui all’art. 32 della Costituzione, ontologicamente
diverso dal danno da lesione di un diverso diritto costituzionalmente
protetto, secondo quanto reiteratamente chiarito da questa Corte a
partire dalle coeve sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003.
La
corte d’appello ha, invece ritenuto che il danno esistenziale rientra
nel più ampio concetto del danno biologico, costituendo una delle sue
possibili estrinsecazioni”, così incorrendo in un fuorviante errore di
fondo, che l’ha portata ad affermare che il “danno esistenziale
concreto e non potenziale per il dott. A…” sussistesse “poiché il
fondato timore che taluno possa introdursi nella sua abitazione crea in
lui uno stress psicologico che fa venire meno la propria serenità e
rappresenta un vulnus per la sua sicurezza” (così la sentenza
impugnata, a pagina 11, in fine) . Va
in contrario rilevato, per un verso, che lo stress psicologico da
timore è solo una conseguenza della lesione di un possibile interesse
protetto, il quale va tuttavia previamente individuato perché possa
anche solo venire in considerazione il danno in ipotesi derivato dalla
lesione dello stesso; e, per altro verso, che né la serenità né la
sicurezza costituiscono, in se stesse considerate, diritti fondamentali
di rango costituzionale inerenti alla persona, la cui lesione consente
il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale.
In
definitiva, la corte d’appello ha omesso di individuare il diritto
fondamentale della persona costituzionalmente garantito che ha tuttavia
ritenuto leso dal comportamento del comune convenuto, erroneamente
assumendo che la richiesta di risarcimento di un danno necessariamente
diverso da quello alla salute fosse tuttavia in esso ricompreso, per
questo escludendo che la domanda per la per la prima volta proposta in
appello fosse nuova, e dunque inammissibile ex art. 345 c.pc..
5.
Assorbito il quinto motivo, che attiene alla prova del danno intesa
come conseguenza della lesione dell’interesse, la sentenza va dunque
cassata nella parte in cui ha statuito su una domanda inammissibile.
Non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in parte qua, la
causa va decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c, con la declaratoria di
inammissibilità della domanda di risarcimento del danno “esistenziale”,
siccome proposta per la prima volta in appello.
6. Le spese del primo grado possono essere compensate. Quelle del grado di appello e del giudizio di legittimità seguono la prevalente soccombenza del resistente .
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta
il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, dichiara
inammissibile il quarto ed assorbito il quinto, cassa la sentenza
impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito,
dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno
esistenziale proposta da P. A. in appello; compensa
tra le parti le spese del primo grado e condanna L’A. a rimborsare al
Comune di Reggio Calabria le spese del giudizio di appello, che liquida
in € 4.000 per onorari, e quelle del giudizio di cassazione, che
liquida in € 4.500, di cui € 4.400 per onorari, oltre alle spese
generali ed agli accessori dovuti per legge.