Corte di Cassazione n° 8137/09 – randagismo –legittimazione passiva spetta alle Asl e non al Comune -03.04.09
“in seguito al
riordino del servizio sanitario, conseguente al
decreto_legislativo_502_19921, risulta reciso il «cordone ombelicale»
fra Comuni e Aziende Sanitarie (ex USL) con la trasformazione delle
unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento
della configurazione giuridica di queste ultime, che non sono strutture
operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali
per l’erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. Ne
consegue che la locale azienda sanitaria doveva essere considerata
soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli. Pertanto,
la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria,
succeduta alla USL e non al Comune, sul quale non può ritenersi
ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal’l evento”.
CORTE DI CASSAZIONE
Sentenza n. 8137/2009
Corte di Cassazione – Sezione Terza – Sentenza del 03.04.2009, n. 8137
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. Con
sentenza in data 25-3/30-5-2005, il giudice di pace di Pozzuoli –
decidendo sulla domanda proposta da V. D. L. e M. A. per il
risarcimento dei danni subiti dal figlio minore A. D. L. a seguito del
morso di un cane randagio, avvenuto in data omissis in una strada del
comune di POZZUOLI (Na) – dichiarava la responsabilità in solido dei
convenuti Comune di POZZUOLI e ASL NA2 distretto 54 in ordine alla
causazione dell’evento dannoso in oggetto e, a titolo di risarcimento
danni, li condannava, con riparto nella misura del 50% ciascuno,
manlevando ASL NA2 per il titolo di garanzia prestato dalla R.A.S.
s.p.a., a pagare in favore di V. D. L. e M. A., nella qualità di
esercenti la potestà genitoriale, la somma di euro 1.500,00 oltre
interessi legali dall’evento al soddisfo, nonché al rimborso delle
spese del giudizio.
Per quanto qui interessa il giudice di pace motivava il proprio convincimento sulla base delle seguenti considerazioni:nella
specie ricorreva una situazione di randagismo, regolata dalla legge n.
281 del 14 agosto 1991 che demanda alle regioni di emanare proprie
leggi per l’istituzione dell’anagrafe canina, per il risanamento dei
canili comunali e per l’adozione di un programma per il randagismo; in
particolare preposto alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente
era il Servizio Sanitario delle USL, oggi ASL; le ASL, dopo il riordino
della disciplina in materia sanitaria, erano diventate soggetti
giuridici autonomi, inseriti nell’organizzazione sanitaria regionale,
pur non avendo completamente reciso i legami con l’ente territoriale
nel cui ambito operavano; infatti residuavano in capo al comune, ai
sensi dell’art. 3 comma 14 del decreto_legislativo_502_1992, la
definizione delle linee di indirizzo nell’ambito della programmazione
regionale e la verifica dell’andamento generale dell’attività di
vigilanza da parte del sindaco, il quale operava come rappresentante
dell’organo territoriale e non quale ufficiale del governo; di modo che
andava affermata la responsabilità del Comune di Pozzuoli accanto a
quello della ASL NA2 distretto 54, nel cui ambito territoriale si era
svolto l’evento dannoso.
1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di POZZUOLI svolgendo due motivi.Si è costituita la R.A.S., depositando controricorso, peraltro notificato tardivamente.Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso della R.A.S..
Invero il ricorso introduttivo risulta notificato all’intimata
compagnia di assicurazione presso il difensore costituito nel giudizio
di merito (avv. Giovanni Feola) in data 13-7-2006 ed è pertanto da
questa data che decorre il termine di cui all’art. 370 c. 1 c.p.c.
Risulta, invece, che il controricorso è stato consegnato per la
notifica all’ufficiale giudiziario in data 19-10-2006 e, quindi,
successivamente alla scadenza di detto termine, pur avuto riguardo alla
sospensione per il periodo feriale.Tuttavia la resistente ha partecipato alla discussione orale in udienza.
3.1. Con il
primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5
e 6 della legge regionale della Campania n. 16 del 24-11-2001 in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione
della legge n. 281 del 14-8-1991 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.;
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria
motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare il
ricorrente Comune rileva la propria carenza di legittimazione rispetto
all’azione risarcitoria, atteso che, in base alla normativa regionale
della Campania, il controllo del randagismo è affidato ai servizi
veterinari della ASL competente per territorio; lamenta, quindi, che la
statuizione, oltre a presentare una motivazione assolutamente
insufficiente, sia del tutto errata.
2.2.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c..
A tal riguardo il ricorrente lamenta che la decisione impugnata abbia
deciso ultra petita, dal momento che nell’atto introduttivo del
giudizio la domanda risultava limitata alla somma di euro 1.032,21 e,
comunque, «secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sign.
Giudice di Pace adito ai sensi dell’art. 113 c.p.c. II comma».
4.1. Va
preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, giacché esso
propone una questione che si rivela strettamente connessa alla
preliminare verifica dell’ammissibilità dell’impugnazione e dei limiti
del sindacato consentito in questa sede. Invero
– per quanto la condanna sia stata pronunciata per l’importo di euro
1.500,00 oltre interessi legali dall’evento al soddisfo – nella specie
si versa in ipotesi di giudizio secondo equità pronunciato dal giudice
di pace a norma dell’art. 113 co. 2 c.p.c.. Si rammenta, in conformità
alla consolidata giurisprudenza di questa S.C., che per determinare il
valore di una causa incardinata dinanzi al giudice di pace, al fine di
stabilire se debba essere decisa secondo equità, ai sensi dell’art. 113
c.p.c., in quanto non eccedente l’importo di euro 1.100,00 (in
precedenza, lire 2.000.000), occorre avere riguardo alle norme che
disciplinano la competenza per valore contenute negli articoli da 10 a
14 e 16, 17 c.p.c. (ex plurimis, Cass. civ., Sez. II, 28/08/2000, n.
11203; Cass. civ., Sez. III, 22/01/2003, n. 968).Orbene,
nel caso di specie, non solo il petitum originario (cui ex art. 5
c.p.c. occorre fare riferimento ai fini della determinazione della
competenza) risultava espressamente limitato alla somma di euro
1.032,21 e, comunque, alla somma da determinarsi «secondo il prudente
ed equitativo apprezzamento del sign. Giudice di Pace adito ai sensi
dell’art. 113 c.p.c. II comma», ma anche le conclusioni finali – come
riportate nell’epigrafe della impugnata sentenza – confermano che la
domanda era circoscritta entro il limite normativamente affidato al
criterio equitativo del giudice di pace, stante l’espressa richiesta di
«pagamento della somma di euro 1.100,00» e dovendo la richiesta
alternativa di «quell’altra (somma) ritenuta di giustizia» intendersi
riferita all’importo inferiore, altrimenti ritenuto di spettanza. Da
tale premessa deriva un duplice ordine di conseguenze. Invero –
trattandosi di sentenza pronunciata prima dell’entrata in vigore del
d.lgs. 2-2-2006 n. 40 su una domanda espressamente contenuta entro il
limite di valore di cui all’art. 113 co. 2 c.p.c. – da un lato, l’unico
mezzo ordinario di impugnazione è il ricorso per cassazione, oltre che
per i motivi previsti dai numeri uno e due dell’art. 360 c.p.c., anche
(con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della
Costituzione, delle norme comunitarie di rango superiore, dei principi
generali dell’ordinamento e della legge processuale (con riferimento
all’art. 360 c.p.c., n. 4), nonché, a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della
materia (Cass. civ., Sez. Unite, 16/03/2007, n. 6074); dall’altro lato,
essendo stata la stessa sentenza emessa per un importo eccedente tale
limite, avuto riguardo all’importo della sorte capitale e al cumulo
degli interessi ante causam, risulta ammissibile e fondato il motivo di
ricorso, con cui si deduce il vizio di ultrapetizione.Valga
considerare che il giudizio di equità attiene alle regole sostanziali
da applicare alla controversia, restando, invece, fermo l’obbligo di
osservanza delle norme processuali. In particolare costituisce ius
receptum che il giudizio di equità ex art. 113 co. 2 c.p.c. non può
sottrarsi all’osservanza del principio di carattere processuale
espresso dall’art. 112 c.p.c. non solo con riferimento alla domanda, ma
anche alle eccezioni sulle quali il giudice non può pronunciarsi
d’ufficio qualora si tratti di eccezioni in senso proprio. Pertanto
l’inosservanza da parte del detto giudice del principio procedimentale
di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.)
integra un vizio della sentenza denunciabile con il ricorso per
cassazione (Cass. civ., Sez. III, 03/09/1998, n. 8762; conf., con
riguardo al giudizio di equità del conciliatore, Cass. 4 maggio 1992 n.
5240).Nella
specie risulta da quanto sopra esposto che il giudice di pace ha
violato la indicata regola procedimentale, non essendosi mantenuto
nell’ambito della precisa richiesta della parte.
L’esposto motivo va, pertanto, accolto.
2.2. Le
considerazioni che precedono – siccome limitate al profilo della
quantificazione del danno -non esonerano dall’esame dell’altro motivo
di ricorso: questo, infatti, seppure inammissibile per la parte che
denuncia l’insufficienza della motivazione, può e, anzi, deve trovare
ingresso in questa sede, nella misura in cui – attraverso la formale
deduzione della violazione della normativa in materia di randagismo –
pone in discussione, non tanto l’imputabilità concreta del fatto
dedotto in giudizio, quanto piuttosto la sussistenza di una condizione,
per così dire «a monte», rispetto alla trattazione del merito della
causa, attinente alla legitimatio ad causam.Si
rammenta che, mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva
titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere
dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse
dal giudice di pace ai sensi dell’art. 113 co. 2 c.p.c., comportando
una disamina ed una decisione attinente al merito della controversia,
il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile d’ufficio in
ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell’accertare se, secondo
la prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, questi ed
il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il
potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a
subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam appunto) è
deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le sentenze
emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto giudice
tenuto (come detto) all’osservanza delle norme processuali ed alla
verifica in specie della regolare costituzione del relativo rapporto
(cfr. Cass. civ., Sez. I, 20/11/2003, n. 17606; Cass. civ., Sez. III,
01/03/2004, n. 4121).Ciò
posto, si osserva che, nella specie, si verte, secondo la
prospettazione attorea, in un’ipotesi di risarcimento danni conseguente
ad un fenomeno di randagismo. Trattasi di materia regolata nell’ambito
della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 28 (come, peraltro, evidenziato
nella stessa sentenza impugnata) da leggi regionali; in particolare la
legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania ha affidato le
relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente
dell’art. 5 lett. c) della legge regionale, «attivano il servizio di
accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i
canili pubblici»).
Va aggiunto
che l’impugnata sentenza non ha individuato una specifica
responsabilità del Comune di Pozzuoli in relazione al fatto concreto,
ma, piuttosto, ha fatto discendere la legittimazione del medesimo
comune da un generico «legame» con la ASL operante nel territorio,
desumendolo dai compiti assegnati al sindaco ex art. 3, co. 14 del
d.lgs. n. 502 del 1992 «al fine di corrispondere alle esigenze
sanitarie della popolazione» di definizione, nell’ambito della
programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l’impostazione
programmatica e di verifica dell’andamento generale dell’attività.Senonché,
in seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al d.lgs. n.
502 del 1992, risulta reciso il «cordone ombelicale» fra Comuni e USL
(così Corte cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle
unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento
della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture
operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali
per l’erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. Ne
consegue che la locale azienda sanitaria doveva essere considerata
soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli.
In tale
prospettiva questa stessa sezione – con riferimento ad una controversia
di risarcimento danni verificatisi successivamente alla soppressione
delle USL e fondata sull’omessa vigilanza sui cani randagi, affidata
dall’art. 6 della L.R. 3 aprile 1985, n. 12, regione Puglia alla
competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali – ha già
avuto modo di affermare (con sentenza in data 7 dicembre 2005, n.
27001) il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso
all’esame, secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale
azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale,
perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei
danni dipendenti dal suddetto evento.L’accoglimento
anche del primo motivo e, quindi, dell’intero ricorso comporta la
cassazione dell’impugnata sentenza e il rinvio della causa ad altro
giudice di pace di Pozzuoli, che provvederà anche sulle spese del
presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia
anche per le spese del giudizio di cassazione ad altro giudice di pace
di Pozzuoli.