Corte di Cassazione n° 8703/09 – danno non patrimoniale – 17.03.09
“Come
e noto le SS.UU. con quattro contestuali sentenze di contenuto identico
(nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno di recente
proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del disposto
dell’art.2059 c.c., ritenuto principio informatore del diritto, come
tale vincolante anche nel giudizio di equita’, da leggersi – non gia’
come disciplina di un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di
danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all’art.2043 c.c. –
bensi’ come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilita’
dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva,
all’interno della quale non e’ possibile individuare, se non con
funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul
presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’
illecito richiesti dall’ art. 2043 c.c. e cioe’: la condotta illecita,
l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso
causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto
pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.In tale prospettiva
la peculiarita’ del danno non patrimoniale viene individuata nella sua
tipicita’, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 cit., quale norma
di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti
reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore
ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti
costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima
risarcitoria, con la precisazione, in quest’ultimo caso, che la
rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il
pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilita’ del
pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresi’, che la lesione sia
grave (e, cioe’, superi la soglia minima di tollerabilita’, imposto dai
doveri di solidarieta’ sociale) e che il danno non sia futile, (vale a
dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura
meramente immaginario).”
CORTE DI CASSAZIONE
III Sezione civile
17 marzo 2009, n° 8703
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 4-11-2004 …. conveniva in giudizio
innanzi al giudice di pace di Catania l’Agenzia delle Entrate di
Catania, per sentirla condannare al risarcimento dei danni morali e da
stress, subiti a seguito delle lungaggini dell’iter burocratico
affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute. Precisava che
aveva proposto istanza per l’annullamento della cartella esattoriale in
data 17-2-2004, ottenendone l’accoglimento solo a sei mesi di distanza,
dopo numerose richieste e reiterati solleciti, visite allo sportello e
ingiustificati rinvii e dinieghi.
Resisteva
l’Agenzia delle Entratedi Catania, la quale deduceva, tra l’altro, la
propria carenza di legittimazione passiva, in quanto ufficio periferico.
Con sentenza
in data 7 aprile 2005, il giudice di pace di Catania dichiarava
l’Agenzia delle Entratedi Catania responsabile del danno non
patrimoniale provocato al …. e, per l’effetto, la condannava al
risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella somma di €
300,00, nonche’ al pagamento delle spese processuali. Avverso
detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle
Entrate, in persona del direttore, svolgendo due motivi, cui ha
resistito …. depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo parte ricorrente censura la decisione
impugnata, nel punto in cui ha rigettato l’eccezione di carenza di
legittimazione passiva sollevata dall’Agenzia delle Entrate di Catania,
ritenendo il vizio sanato ex art.156 c.p.c. a seguito della
costituzione in giudizio dell’ufficio periferico.
A tal
riguardo la ricorrente Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt.156 co. 3, 166 e segg. c.p.c., 10 d.Lgs. n.546/1992 e deduce
l’”inesistenza giuridica” del soggetto convenuto in relazione
all’art.360 n.4 c.p.c., lamentando che sia stata fraintesa la portata
dell’eccezione, con la quale si sosteneva il difetto di legittimazione
rispetto alla domanda risarcitoria, in considerazione del carattere
eccezionale della norma di cui all’art.10 d.Lgs. n. 546/1992 che, nella
materia del contenzioso tributario, attribuisce la legittimazione agli
uffici periferici, peraltro esclusivamente nelle fasi di merito.
Sulla base
di tale premessa la ricorrente assume che l’Agenzia delle Entrate con
sede in Roma era l’unico soggetto destinatario della vocatio in ius e
che l’evocazione in giudizio di un soggetto giuridico “inesistente ai
fini del processo civile”, quale l’ufficio periferico, si e’ concretata
in una causa di nullita’ assoluta e insanabile.
1.2. Il
motivo e’ infondato, ancorche’ la motivazione del giudice di pace debba
essere integrata e rettificata ai sensi dell’art.384 co.4 c.p.c.. Parte
ricorrente fa riferimento a un orientamento giurisprudenziale
consolidato nel regime antecedente all’assunzione di operativita’ delle
Agenzie delle Entrate che, fondandosi sul disposto degli artt. 10 e 11
del d.Lgs. n.546 del 1992, limitava la legittimazione degli uffici
periferici dell’amministrazione finanziaria ai soli giudizi innanzi
alle commissioni tributarie, ritenendosi che, in difetto di speciale
disciplina, riprendesse vigore la regola generale (art. 11 r.d. n. 1611
del 1933) che attribuiva al Ministero delle Finanze l’esclusiva
legittimazione. Si tratta, pero’, di una ricostruzione della normativa
rilevante in materia, che e’ stata rivista alla luce della nuova
realta’ ordinamentale introdotta dal d. Lgs. 30-7-l999, n. 300 ed
operativa, secondo il d.m. 28-12-2000 a partire dal 1 gennaio 2001, che
ha comportato l’attribuzione delle funzioni statali concernenti i
tributi erariali all’Agenzia delle Entrate, quale soggetto dotato di
personalita’ giuridica di diritto pubblico, rappresentata dal direttore
(artt. 61 e 66 del cit. d.Lgs. n.300). In particolare – come chiarito
dalle SS.UU. l’attribuzione agli uffici periferici dell’Agenzia della
stessa capacita di stare in giudizio spettante, in base agli artt. 10 e
11 del d.Lgs. n.546 del 1992 agli uffici finanziari che avevano emesso
l’atto, comporta il conferimento ai medesimi uffici periferici della
capacita’ di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al
direttore, secondo un modello simile alla preposizione institoria
disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c., configurandosi detti uffici,
quali organi dell’Agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la
rappresentanza ai sensi e agli effetti dell’art. 163 co. 2 n.2 c.p.c. e
degli artt. 144 e 145 c.p.c. (cfr. sentenza 14 febbraio 2006, n.3116 in
motivazione). Senza
ripetere qui gli argomenti svolti dalle SS.UU., condivisi dal Collegio
e ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, val la pena
di precisare che la ricostruzione del rapporto tra l’Agenzia e
l’ufficio periferico negli schemi della procura institoria, con
conseguente imputabilita’ all’ente pubblico preponente dell’attivita’
posta in essere dal secondo, impone di riconoscere, secondo le regole
stabilite in via generale dal codice di procedere civile, all’ufficio
periferico la legittimazione processuale attiva e passiva concorrente
con quella dell’ente, anche nel processo innanzi al giudice ordinario,
per i rapporti sorti dagli atti compiuti da detto periferico. Ed e’
cio’ che e avvenuto nel caso di specie, in cui l’Agenzia delle
Entrate di Catania e’ stata evocata innanzi al giudice di pace, per il
risarcimento di danni asseritamente provocati da1 tardivo ritiro
dell’atto impositivo da essa posto in essere.
2. 1. Con il
secondo motivo la ricorrente censura il merito della decisione
impugnata, per avere ritenuto violato il divieto del neminem ledere, in
considerazione della lunghezza dell’iter burocratico, durato sei mesi,
con conseguente turbamento del “diritto alla tranquillita’” del ….
facendogli spendere tempo ed energie, tra visite “a vuoto” agli
sportelli, richieste e reiterati solleciti, per dimostrare che la somma
richiestagli non era dovuta. In
particolare la ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art.2043 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. – lamenta
violazione di principio informatore del diritto per difetto del
carattere dell’”ingiustizia” del danno, segnatamente evidenziando che
l’annullamento in autotutela della P.A. non si configura come un
obbligo dell’amministrazione e contestando, nel contempo, la
violazione, dei criteri di ordinaria diligenza, avuto riguardo al
limitato arco di tempo in cui intervenne il ritiro dell’atto impositivo.
2.2. Il motivo e fondato nei termini che seguono.
Cio’
precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste un’ingiustizia
costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un’ipotesi di
danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando,
piuttosto, la ritenuta lesione del “diritto alla tranquillita’”
insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli
sconvolgimenti [della] quotidianita’ “consistenti in disagi, fastidi,
disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione” (pag. 34 della
sentenza n.26972/2008).
In
conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto e, ai sensi
dell’art.384 co.2, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, posto
che, non essendo necessari accertamenti di fatto va pronunciato nel
merito e – in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. sopra
richiamati – domanda di risarcimento del …. va rigettata.
Le spese
dell’intero processo vanno integralmente compensate tra le parti, avuto
riguardo al rigetto del primo motivo, nonche’ alla relativa novita’ e
alla natura delle questioni trattate con il secondo.
P.Q.M.
La Corte rigetta primo motivo di ricorso;
accoglie il secondo motivo;
cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda di ….;
compensa interamente tra le parti le spese dell’intero processo.
Roma 17 marzo 2009