Corte di Cassazione – omessa manutenzione stradale – art. 2051 c.c. -02.02.07 n° 2308
più recente giurisprudenza di questa Corte (Cassazione 3651/06) ha
chiarito che la disciplina di cui all’articolo 2051 Cc si applica anche
in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva od omessa
manutenzione dell’autostrada da parte del concessionario, in ragione
del particolare rapporto con la cosa che ad esso deriva dai poteri
effettivi di disponibilità e controllo sulla medesima, salvo che dalla
responsabilità presunta a suo carico il concessionario si liberi dando
la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell’
interruzione del nesso di causalitá determinato da elementi esterni o
dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del
danneggiato o del terzo), bensì anche nella dimostrazione ‑in
applicazione del principio di cd. vicinanza alla prova‑ di avere
espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della
cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le
attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in
base a specifiche disposizioni normative e gia del principio generale
del neminem laedere, di modo che. pertanto, il sinistro appaia verificato per un fatto non ascrivibile a sua colpa”.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 2 febbraio 2007, n. 2308 – Pres. Fiduccia – est. Trifone
Svolgimento del processo
Con
citazione innanzi al tribunale di Torino del 3 aprile 1997 Roberto
Cravetto conveniva in giudizio la società Autostrada Torino‑Milano Spa
per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al
sinistro occorsogli in data 8 marzo 1996, nel quale alla guida della
sua autovettura, nel tentativo di evitare di investire un cane che gli
si era improvvisamente parato davanti, aveva perduto il controllo del
veicolo e, sbattendo contro il cordolo di cemento alla destra della
corsia di immissione in un’area di servizio, si era ribaltato più
volte, riportando lesioni personali.
La società convenuta si
costituiva e contrastava la domanda, che il tribunale rigettava con
sentenza depositata il 10 maggio 2000.
Sull’impugnazione del
soccombente provvedeva la Ca di Torino con la sentenza pubblicata il 27
giugno 2002, che, in accoglimento del gravame, condannava la società a
risarcire all’appellante i danni all’autovettura ed alla persona, con
rivalutazione ed interessi, ed a pagare le spese del doppio grado del
giudizio.
I giudici di secondo grado, premesso che l’atto
d’appello conteneva tutti gli elemento idonei per individuare l’oggetto
dell’impugnazione ed i motivi del gravame, consideravano, nel merito,
che, sebbene l’attore con la citazione introduttiva del giudizio avesse
fondato la responsabilità della società convenuta sulla norma di cui
all’articolo 2043 Cc, non poteva dirsi preclusa la possibilità di
valutare la fattispecie alla stregua del parametro di cui all’articolo
2051 Cc, dato che la modifica del titolo costitutivo della domanda
costituisce una mera emendatio, consentita qualora i fatti allegati
rimangano immutati, potendo il giudice, nell’esercizio del potere che
gli spetta di inquadrare la fattispecie nell’esatta sua disciplina
giuridica, dare al rapporto controverso una qualificazione giuridica
diversa da quella prospettata dalle parti.
La Corte di merito,
di conseguenza, riteneva l’operatività nella specie dell’articolo 2051
Cc per la considerazione che l’attore non aveva allegato a sostegno
dell’azione fatti diversi da quelli indicati in citazione.
Rilevava
che la società proprietaria dell’autostrada aveva il preciso obbligo di
munirne il percorso di una rete di protezione e di curarne la
manutenzione con controlli diretti ad evitare danni ingiusti ai terzi,
per cui, non essendo contestato il fatto che l’attore aveva perduto il
controllo dell’autovettura per la presenza del cane sulla carreggiata,
considerava detta circostanza, inconciliabile con la conformazione
strutturale della rete autostradale, come una chiara violazione del
dovere di custodia previsto dalla norma dell’articolo 2051 Cc, con la
conseguenza che, non avendo la società appellata fornito la prova che
la presenza dell’animale sulla sede autostradale fosse riconducibile al
fortuito ovvero al fatto del terzo, essa dovesse rispondere dei danni
derivati all’appellante.
Per la cassazione della sentenza ha
proposto ricorso la società Autostrada Torino‑Milano Spa, che ha
affidato l’accoglimento dell’impugnazione a tre motivi.
Ha resistito con controricorso Roberto Cavetto.
La società ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Con
il primo motivo dell’impugnazione ‑ deducendo la violazione e la falsa
applicazione di legge per error in procedendo in relazione alle norme
di cui agli articoli 132, 158 e 161 Cpc e 97 delle disposizioni di
attuazione dello stesso codice nonché l’omessa, inesatta e
contraddittoria ‘motivazione su un punto decisivo della controversia‑
la società ricorrente denuncia l’inesistenza, l’inammissibilità ovvero
la nullità insanabile dell’atto di appello, che, per l’impossibilità di
identificare senza incertezze il provvedimento impugnato ed il giudice
di primo grado che lo aveva emesso, avrebbe perciò impedito di porre in
essere il necessario esame di raffronto tra la pronuncia ed i motivi
del gravame.
La censura è infondata.
il giudice di
secondo grado, invero, in motivazione adeguata ed immune da vizi
logici, ha spiegato, a fronte della relativa eccezione, le ragioni per
le quali non vi era assolutamente incertezza circa l’individuazione
della sentenza appellata (della quale erano indicati i nomi delle
parti, il riferimento alla decisione del giudice di primo grado,
l’oggetto della domanda proposta dall’attore con l’atto introduttivo
del giudizio, le difese della parte convenuta).
La Corte
territoriale ha anche precisato che l’atto drappello aveva riassunto in
maniera dettagliata i fatti di causa e l’iter argomentativo della
sentenza del tribunale, aggiungendo anche che erano precise e
specifiche le censure che l’appellante muoveva alla decisione di primo
grado, di cui era stata prodotta copia autentica, sicché tanto bastava
a fare ritenere soddisfatti i requisiti di validità dell’impugnazione,
richiesti dalla norma dell’articolo 342 Cpc.
Di conseguenza
‑poiché l’interpretazione del contenuto dell’atto di appello, che è
demandata istituzionalmente al giudice del merito e non è denunciabile
in cassazione se congruamente motivata, è soggetta alle regole generali
di ermeneutica e non può essere limitata alle espressioni letterali
usate, ma deve tener conto delle sostanziali finalità perseguite dalla
parte deve escludersi. sulla scorta delle circostanze evidenziate dal
giudice di secondo grado, la pretesa inammissibilitá per genericità
della citazione in appello e, ancor prima, la dedotta sua inesistenza,
certamente non ravvisabile in presenza di atto idoneo a produrre gli
effetti suoi propri.
Con il secondo motivo dell’impugnazione –
deducendo la tardiva mutatio libelli e la violazione di norme di
diritto in relazione agli articoli 2907 Cc, 101, 112, 113 e 183 Cpc e 3
e 24 Costituzione ‑ la società ricorrente assume che, avendo l’attore
specificato in primo grado che l’azione da lui proposta era quella
aquiliana ex articolo 2043 Cc, la domanda di risarcimento dei danni, in
quanto basata sulla previsione diversa di cui alla fattispecie
dell’articolo 2051 Cc, introdotta con la comparsa conclusionale in
primo grado e in ordine alla quale non vi era stata accettazione del
contraddittorio, costituiva domanda nuova preclusa in appello.
Il motivo non può essere accolto.
La
questione relativa alla sussistenza o meno della mutatio libelli nel
caso in cui, proposta domanda di responsabilità per danni ai sensi
dell’articolo 2043 Cc, il giudice pronunci, invece, condanna al
risarcimento dei danni per la diversa ipotesi di responsabilitá
prevista dall’articolo 2051 Cc, deve senz’altro, in tesi, essere
risolta in senso positivo.
La giurisprudenza di questa Corte,
infatti, nel rapporto che intercorre tra azione di responsabilità per
danni a norma dell’articolo 2043 cod. civ. ed azione di responsabilità
a norma dell’articolo 2051 stesso codice, ha già chiarito (Cassazione,
Su, 10893/01; 7938/01; 12329/04) che l’applicabilità dell’una o
dell’altra norma implica, sul piano eziologico e probatorio, richiede
diversi accertamenti e coinvolge distinti temi d’indagine, trattandosi
di accertare, nel primo caso, se sia stato attuato un comportamento
commissivo od omissivo, dal quale è derivato un pregiudizio a terzi, e
dovendosi prescindere, invece, nel caso di responsabilità per danni da
cosa in custodia, dal profilo del comportamento del custode, che è
elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui
all’articolo 2051 Cc, nella quale il fondamento della responsabilità è
costituito dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti
dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito (ex plurimis:
Cassazione, n. 584/2001).
Tanto premesso, essendo evidente che a
fronte di un determinato evento di danno diversa è la causa petendi
dell’azione risarcitoria a seconda che si tratti di responsabilità del
convenuto ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ. ovvero della diversa
sua responsabilità ex articolo 2051 stesso codice, il problema, nella
specie, consiste nello stabilire se le due azioni siano state proposte
entrambe, ancorché l’una subordinatamente al mancato accoglimento
dell’altra, ovvero se R. C. abbia inteso proporne una soltanto in primo
grado.
Al riguardo il giudice del merito ha affermato che, pure
avendo l’attore in citazione richiamato a fondamento della sua pretesa
la responsabilità della società convenuta ai sensi dell’articolo 2043
Cc, non era, tuttavia, da escludere che i fatti esposti a sostegno
della pretesa consentissero di qualificare l’azione proposta come
ipotesi di responsabilità ai sensi dell’articolo 2051 Cc, giacché
rientrava nei suoi compiti dare al rapporto controverso una
qualificazione diversa da quella indicata, con il solo limite di
lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre
nel tema in contestazione nuovi elementi di fatti.
Di
conseguenza, la Corte territoriale ha ritenuto che l’attore C. non
aveva allegato a fondamento della domanda fatti diversi, essendo
rimasti immutati quelli originariamente prospettati nella citazione.
In
tale situazione, nella quale il petitum e la causa petendi venivano a
concretare indifferentemente lo schema sia della responsabilità ex
articolo 2043 che di quella ex articolo 2051 Cc, le due azioni
risultavano proposte entrambe in via alternativa, per cui non è
censurabile sul punto la decisione adottata.
Questa Corte, infatti,
afferma, in indirizzo costante (da ultimo Cassazione 11039/06), che il
principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato
(articolo 112 Cpc) non osta a che il giudice renda la pronuncia
richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti, autonoma rispetto a
quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione
giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all’applicazione di una
norma giuridica, diversa da quella invocata dall’istante; ma implica
soltanto il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene
della vita diverso da quello richiesto del petitum mediato oppure di
emettere qualsiasi pronuncia ‑su domanda nuova, quanto a causa petendi‑
che non si fondi, cioè, sui fatti ritualmente dedotti o, comunque,
acquisiti al processo, bensì su elementi di fatto, che non siano stati,
invece, ritualmente acquisiti come oggetto del contraddittorio.
Con
il terzo motivo dell’impugnazione ‑deducendo la violazione e la falsa
applicazione delle norme di cui agli articoli 2043, 2051 e 2697 Cc e
115 Cpc nonché l’omessa, contraddittoria e perplessa motivazione su un
punto decisivo della controversia‑ la società ricorrente critica
l’impugnata sentenza e denuncia che il giudice del merito:
a) si
sarebbe discostato dall’indirizzo interpretativo che, in tema di danni
subiti dall’utente di autostrada, esclude la responsabilità ai sensi
dell’articolo 2051 Cc dell’ente proprietario o concessionario per la
impossibilità di esercitare un controllo continuo ed efficace, che
valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi;
b)
avrebbe esposto una motivazione solo apparente circa l’operatività
della norma di cui all’articolo 2051 Cc per avere considerato che la
rete di recinzione non facesse parte dell’autostrada e per avere omesso
di considerare che circostanze ben specifiche (quali, in particolare,
il fatto che l’incidente si sia verificato nei pressi dell’area di
servizio, il mancato riscontro da parte delle polizia della strada di
varchi nella rete di recinzione nel tratto dei dieci chilometri
antecedenti e successivi dell’autostrada in entrambe le direzioni, la
probabile provenienza del cane dall’area di servizio) avrebbero dovuto
far concludere per la sussistenza del caso fortuito e la conseguente
esclusione della responsabilità della società concessionaria anche ai
sensi dell’articolo 2043 Cc.
Anche l’ultimo motivo non può essere accolto per nessuno dei due profili in cui esso si articola.
Quanto
al denunciato vizio di violazione di legge, di cui sub a), occorre
rilevare che la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cassazione
3651/06) ha chiarito che la disciplina di cui all’articolo 2051 Cc si
applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva od
omessa manutenzione dell’autostrada da parte del concessionario, in
ragione del particolare rapporto con la cosa che ad esso deriva dai
poteri effettivi di disponibilità e controllo sulla medesima, salvo che
dalla responsabilità presunta a suo carico il concessionario si liberi
dando la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione
dell’ interruzione del nesso di causalitá determinato da elementi
esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il
fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche nella dimostrazione ‑in
applicazione del principio di cd. vicinanza alla prova‑ di avere
espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della
cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le
attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in
base a specifiche disposizioni normative e gia del principio generale
del neminem laedere, di modo che. pertanto, il sinistro appaia
verificato per un fatto non ascrivibile a sua colpa.
là stato
anche rilevato che la responsabilità presunta per danni da cose in
custodia è configurabile anche con riferimento ad elementi accessori e
pertinenze inerti di una strada, a prescindere dalla relativa
intrinseca dannosità o pericolosità per persone o cose – in virtù di
connaturale forza dinamica o per l’effetto di concause umane o naturali
(c.d. idoneità al nocumento) – viceversa rilevante nella diversa
ipotesi di responsabilità per danni da esercizio di attività pericolosa
ex articolo 2050 Cc, in quanto pure le cose normalmente innocue sono
suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannosa in ragione
di particolari circostanze o in conseguenza di un processo provocato da
elementi esterni.
Di conseguenza, è stato anche precisato che la
prova, che il danneggiato deve dare per ottenere il risarcimento del
danno sofferto per l’omessa o insufficiente manutenzione della strada,
consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del
suo rapporto di causalità con la cosa in custodia ed essa può derivare
anche per presunzioni, giacché la prova del danno è, di per sé, indice
della sussistenza di un risultato anomalo, e cioè dell’oggettiva
deviazione dal modello di condotta improntato all’adeguata diligenza
che normalmente evita il danno, non essendo il danneggiato, viceversa,
tenuto a dare la prova anche dell’insussistenza di impulsi causali
autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o
della condotta omissiva o commissiva di costui.
L’impugnata sentenza
ha deciso in conformità alle suddette regole di diritto, avendo essa
accertato che l’incidente si era verificato per la presenza sulla sede
autostradale di un cane, che, fuoriuscito dalla barriera che delimita
le due carreggiate, stava attraversando la corsia percorsa da Roberto
Cavetto, e che la società concessionaria (a carico della quale era il
relativo onere) non aveva a dimostrare che l’immissione del cane era
riconducibile ad ipotesi di caso fortuito, quale l’abbandono
dell’animale in una piazzola dell’autostrada ovvero il taglio vandalico
della rete di recinzione ovvero il suo abbattimento da precedente
incidente, che non era stato possibile riparare con un intervento
tempestivo.
Quanto al denunciato vizio di motivazione di cui al
profilo sub b) del motivo di impugnazione, rileva questa Corte che
trattasi di censura inammissibile in questa sede, giacché la parte
ricorrente, piuttosto che evidenziare vizi logici dell’iter
argomentativi esposto nella impugnata sentenza, tende, invece, ad
ottenere dal giudice di legittimità il non consentito riesame delle
fonti di prove per farne emergere una conclusione difforme da quella
cui è pervenuta la Corte territoriale.
Il ricorso, pertanto, è
rigettato e la soccombente società ricorrente è condannata a pagare le
spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di
cassazione, che liquida in complessivi euro 2100, di cui euro 2000 per
onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge