Corte di Cassazione SS.UU n° 1850/09 – risarcimento danni –perdita di chance –onere della prova -29.01.09
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza in oggetto ha stabilito che:”il
creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute,
anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta
ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene,
non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé
stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma
valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o
secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di
alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e
impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile
dev’essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno
2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752,
m. 578787).”
CORTE DI CASSAZIONE
SS.UU. SENTENZA N° 1850 DEL 29.01.09.
Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell’art. 335 c.p.c., va esaminato
innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni
pregiudiziali.
2.1 – Con il
primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti l’eccezione di
difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi
di merito. Sostiene
che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi
dell’autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto
illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i
provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento
provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato,
non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E
ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici
essenziali qual è quello di autoscuola, che l’art. 7 della legge 21
luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Con
il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del
giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale.
Infatti l’unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo,
nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era
concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e
mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più
essere rimessa in discussione.
2.2 – Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al
primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica
amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica
proposta prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998,
modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione
di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto
soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser
fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento
del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m.
599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere
direttamente ad accertare l’illegittimità del provvedimento
amministrativo nell’ambito della verifica della qualificabilità del
fatto controverso come illecito a norma dell’art. 2043 c.c., “non
essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento
dell’atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente
affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all’emersione del
diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui
lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass.,
sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25
agosto 2006, n. 18486, m. 592067). Né
la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata
ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto
che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi
dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il
potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15
febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto
dell’atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale
(Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al
secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché
la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal
ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse
il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l’autorizzazione
lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di
interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla
legittimità dell’atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006,
n. 143).
3.1 – Con il
primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione
degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione
impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d’ufficio che
aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da
mancato guadagno. Sostiene che il consulente d’ufficio: a)
avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla
documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o
inidonea in quanto non ufficiale; b)
avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di
autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa
all’anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per
determinare l’importo dei ricavi medi; c)
avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti
dell’autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l’anno
1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta
indispensabile; d)
avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie
informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia,
indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva
attività della scuola, in quanto l’attore avrebbe potuto anche
rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per
questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni
precedenti.
Con il
secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa
applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l’omessa
determinazione equitativa dell’entità del danno da mancato guadagno. Sostiene
che, essendo certa l’esistenza del danno, l’incertezza ineliminabile
sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione
equitativa.
Con il terzo
motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella
valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa
relativa alla sistemazione dei locali da destinare all’autoscuola. Sostiene
che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero
giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno,
arbitrariamente esclusa dalla corte d’appello.
3.2 – Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati. Secondo
la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia
ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni
derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta ed effettiva
occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera
aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante,
giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione –
ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un
calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito
dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere
conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n.
16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in
esame l’attore C., che gestiva anche un’altra autoscuola in un diverso
comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di
Cazzano di Sant’Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al
consulente d’ufficio tutta la documentazione necessaria alla
liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta
dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel
ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché
ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti
all’autoscuola, prodotto solo con riferimento all’anno 1992, era
inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti
risultava insufficiente a coprire le spese di gestione. Ciò
nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto
autonomamente all’acquisizione delle informazioni necessarie. Ma
la consulenza tecnica d’ufficio non può essere destinata a supplire
alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l’onere
probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n.
24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314).
Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta
l’omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca
difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per
ovviare all’inadempimento della parte agli oneri probatori che le
incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216,
Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126). Sicché
risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai
giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da
mancato guadagno.
Quanto alle
spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici
del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente
eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si
lamenta in ricorso la mancata valutazione. I
giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di
prova dell’effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si
riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al
proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto
con riferimento a tale giustificazione della decisione. Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il
rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza
delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di
questo grado del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta
entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.