Corte UE: sì alle tariffe massime degli avvocati
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha respinto il ricorso presentato dalla Commisssione verso la normativa italiana che prevede le tariffe massime degli avvocati: non ha dimostrato che ostacolano l’accesso degli avvocati di altri Stati membri al mercato italiano dei servizi professionali. |
La Corte di giustizia UE sdogana le tariffe massime degli avvocati. La Commissione Europea che ha presentato il ricorso (respinto dalla Corte) contro le norme italiane che le prevedono non ha dimostrato che ostacolano l’accesso degli avvocati di altri Stati membri al mercato italiano dei servizi professionali. Sin dal 2005, la Commissione ha richiamato l’Italia sulla possibile incompatibilità delle tariffe delle attività stragiudiziali degli avvocati, estendendo poi la sua diffida alle tariffe giudiziali. Anche l’entrata in vigore del decreto Bersani (d.l. 248/2006) non ha soddisfatto le esigenze della Commissione. Il Decreto Bersani ha abrogato tutte le disposizioni che prevedono l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime e il divieto del cd. patto di quota-lite (compenso parametrato al raggiungimento degli obiettivi perseguiti). La Commissione ha peraltro lamentato che esso – pur abrogando le tariffe fisse o minime – ha mantenuto le tariffe massime, in nome della protezione dei consumatori. A suo parere, il complesso tariffario italiano genererebbe costi aggiuntivi, le tariffe massime impedirebbero la corretta remunerazione degli avvocati stabiliti in altri Stati membri ed infine l’impossibilita di effettuare offerte ad hoc pregiudicherebbe la libertà contrattuale degli avvocati. La Slovenia era intervenuta a sostegno della Commissione. L’Italia ha contestato il carattere vincolante delle tariffe e sottolineato le numerose deroghe alle stesse (per volontà degli avvocati e dei loro clienti, o tramite l’intervento del giudice). Ha sottolineato che il criterio principale per fissare gli onorari degli avvocati risiede nel contratto concluso tra avvocato e cliente nell’esercizio della loro autonomia contrattuale (art. 2233 c.c.), mentre il ricorso alle tariffe costituisce soltanto un criterio sussidiario. Ha insistito sulla possibilità di calcolare gli onorari su base oraria e sull’abolizione del divieto di concludere il patto di quota lite. Infine, in tutte le cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, si possono convenire aumenti fino al doppio o al quadruplo delle tariffe, senza che sia necessario alcun parere del consiglio dell’ordine degli avvocati. La Corte riconosce che dall’insieme delle norme italiane risulta ancora l’esistenza di tariffe massime, che continuano ad essere obbligatorie per il caso in cui, fra avvocato e clienti, non sia concluso un patto. La Corte ricorda che, anche se indistintamente applicabili, le misure che pregiudicano l’accesso al mercato da parte di operatori di un altro Stato membro possono costituire delle restrizioni alla libertà di stabilimento o di prestazione dei servizi. In concreto, esse si configurano se questi avvocati non possono penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci. Peraltro, la normativa di uno Stato membro non è da considerare restrittiva per il solo fatto che altri Stati applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio. La Corte constata che la disciplina italiana sugli onorari presenta una flessibilità che sembra permettere il corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione. |