Cortile condominiale: qual è l’uso consentito?
Nuova luce in merito alla distinzione tra uso consentito e utilizzo
indebito del cortile condominiale, alla stregua dei criteri indicati
dagli articoli 1102 e 1122 del Codice civile.
La Corte di
Cassazione, con la sentenza n. 21256 del 5 ottobre 2009, si è espressa,
in particolare, sulla possibilità, o meno, di usare un accesso in
origine pedonale (viottolo), come passaggio veicolare per entrare in un
box-garage che faceva parte in origine di un più ampio locale destinato
a tipografia.
Ad avviso della Corte territoriale, la
destinazione del cortile al transito esclusivamente pedonale non poteva
ritenersi compatibile con l’apertura di un accesso veicolare “in
quanto l’ingresso e la sosta dei veicoli nell’area, impedendo o
intralciando l’uso della stessa agli altri condomini, esorbiterebbe
dall’ambito di un uso più intenso e più esteso della cosa comune, per
rientrare in quello delle innovazioni vietate ai sensi dell’art. 1120
cod. civ.”.
Il ricorso per Cassazione basato sulla denuncia
di violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 1120 e 1139 del
Codice civile è stato ritenuto ammissibile, fondato e quindi accolto.
Com’è
stato più volte rilevato da dottrina e giurisprudenza, il primo comma
dell’articolo 1102 del Codice civile pone due limiti all’utilizzazione
da parte del singolo condomino della cosa comune: l’uno, di carattere
quantitativo, che impone di consentire agli altri condomini “il pari
uso” del bene; l’altro, di natura qualitativa, che prescrive la non
alterazione della normale destinazione della cosa.
In tale prospettiva, la nuova pronuncia richiama il consolidato orientamento secondo cui la nozione di “pari uso” “non
va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi
conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà
di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione
che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i
rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale
richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di
tutti i partecipanti alla comunione”.
Pertanto il
singolo condomino può considerarsi autorizzato alla modificazione del
bene comune al fine di ottenere un più intenso vantaggio a favore della
sua proprietà esclusiva, in quanto proprio questa è la finalità
dell’uso delle parti comuni rispetto alle proprietà individuali:
rendere più agevole e funzionale il godimento di queste ultime.
Ovviamente,
devono essere rispettati i limiti legali, in applicazione del principio
secondo il quale ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene
comune un’utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente
in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la
destinazione o compromesso il diritto al pari uso.
Il Collegio
richiama una recente decisione della stessa Corte per confermare che
invece, lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo
condomino, tale da impedire la simultanea fruizione degli altri e non è
riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene
comune la più intensa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo
in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i
rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e
gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. civ. Sez.
II, sentenza 24-06-2008, n. 17208).
In sostanza, anche in questo caso deve valere quanto la stessa Corte ha già stabilito: “l’uso
paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile
con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto
faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della
identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e
astratta essi ne potrebbero fare” (Cass. civ. Sez. II, 27-02-2007, n. 4617).
In particolare, quanto al transito con mezzi meccanici si è pure affermato che “tra
gli usi propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la
possibilità, per i partecipanti alla comunione, di accedere ai
rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le
attività – anche diverse rispetto a quelle compiute in passato – che
non siano vietate dal regolamento condominiale, poiché tale uso non può
ritenersi condizionato ne dalla natura dell’attività legittimamente
svolta né dall’eventuale, più limitata forma di godimento del cortile
comune praticata nel passato” (Cass. civ. Sez. II, 16-03-2006, n. 5848).
La
Corte d’Appello pur condividendo i suesposti principi ha invece
ritenuto l’uso della cosa comune richiesto dai ricorrenti (possibilità
di accedere con un autoveicolo alla rimessa di loro esclusiva
proprietà) incompatibile con il concorrente uso della medesima cosa
comune da parte degli altri condomini.
In primo luogo,
meritevole di censura è stata ritenuta l’affermazione della Corte
d’appello secondo cui la destinazione della cosa comune al transito
anche veicolare in favore dei ricorrenti avrebbe determinato
un’innovazione vietata ai sensi dell’articolo 1120 del Codice civile.
In
proposito, è stata richiamata la decisione con la quale era stato
escluso che costituisse un’innovazione vietata il restringimento di un
viale d’accesso pedonale, considerato che esso non integrava una
sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della
cosa comune, non la rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per
uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua
funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la
destinazione originaria.
E’ stato quindi ricordato come secondo la giurisprudenza della stessa Corte, “la
distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all’entità e
qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla
destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso
tecnico – giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o
modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione
materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere
più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la
consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti
interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso
suddetto”. (Cass. civ. Sez. II, 23-10-1999, n. 11936; Cass. civ. Sez. II, 05-11-2002, n. 15460).
Il ricorso è stato accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata anche per un’evidente contraddizione.
La
motivazione della decisione impugnata è stata ritenuta contraddittoria
perché la Corte d’appello ha giudicato incompatibile il passaggio
dell’auto non solo con la consolidata destinazione della cosa comune al
passaggio pedonale, ma anche con il contemporaneo transito veicolare da
parte degli altri condomini, quanto meno al fine di eseguire operazioni
di carico e di scarico di merci, senza spiegare le ragioni per le quali
quello che potrebbe costituire il pari uso della cosa comune sarebbe
consentito agli altri condomini e non anche ai ricorrenti, i quali, in
aggiunta alla posizione di comproprietari della cosa comune, rivestono
la qualità di proprietari esclusivi dei locali che si aprono sulla cosa
comune.
Se dunque un simile uso della cosa comune è stato
ipotizzato dalla Corte d’appello a favore dei condomini, che potrebbero
accedere all’androne condominiale non solo a piedi ma anche con
autoveicoli per effettuare operazioni di carico e di scarico, non si
vede perché l’uso analogo da parte dei ricorrenti sarebbe lesivo del
pari uso della cosa comune e riconducibile alla nozione di innovazione
vietata.
La cassazione della sentenza impugnata ha comportato il
rinvio a diversa sezione della Corte d’appello di Napoli, la quale
dovrà provvedere ad un nuovo esame dell’appello proposto dal
Condominio, alla luce degli enunciati principi.