Crisi finanziarie, depressione e tentativi di suicidio. Il rapporto c’è e colpisce sia le persone a reddito più basso sia quelle a reddito medio-alto, a causa delle perdite finanziarie. E per la prima volta viene documentato in uno studio pubblicato da World Psychiatry, la rivista della World Psychiatric Association(Società mondiale di psichiatria), di cui è presidente l’italiano Mario Maj, docente a Napoli. È la prima ricerca sull’andamento della frequenza della depressione e dei tentativi di suicidio nel corso di 10 anni (dal 1998 al 2007), in rapporto alle fasce di reddito in un intero paese (la Corea del Sud). È il tema dominante anche al congresso della Società italiana di Psicopatologia (Sopsi), che si apre a Roma martedì 15 febbraio.
RISCHIO DISOCCUPAZIONE – Spiega Maj, che è anche presidente in carica della Sopsi: «È stato documentato l’incremento della frequenza della depressione e dei tentativi di suicidio durante il periodo di crisi finanziaria. Il tasso dei tentativi di suicidio è aumentato da 13,6 per 100.000 abitanti nel 1997 a 18,8 nel 1998, anno di inizio della crisi. La disuguaglianza nella frequenza, in rapporto al reddito, è andata poi progressivamente aumentando durante il decennio. Il divario tra fasce di reddito più basso e più alto è raddoppiato tra il 1998 e il 2007». L’incremento della disuguaglianza si è osservato anche per la salute fisica, ma è risultato molto più pronunciato per la salute mentale. In un’altra ricerca, condotta in 26 paesi europei, si è anche visto che per ogni aumento dell’1% del tasso di disoccupazione si è verificato un aumento dello 0,79% dell’incidenza del suicidio nei soggetti di età inferiore ai 65 anni. In particolare in Inghilterra, le persone indebitate sono risultate essere due volte più inclini delle altre a pensieri suicidi.
RESPONSABILITÀ – Nel corso del 2010 sono, inoltre, comparsi i primi studi sulle conseguenze della crisi mondiale iniziata nel settembre 2008, dopo la bancarotta della Lehman Brothers Holdings negli Stati Uniti. Una ricerca condotta a Hong Kong ha confrontato la frequenza della depressione maggiore nel 2005, nel 2007 e nell’aprile-maggio 2009. È risultata, rispettivamente, dell’8,3%, dell’8,5% e del 12,5%. L’aumento nel 2009 si è riscontrato sia negli uomini che nelle donne ed è stato maggiore nei soggetti tra i 55 e i 65 anni e in quelli che avevano famiglia (suggerendo un rapporto con il carico di responsabilità dal punto di vista finanziario). L’aumento di frequenza ha colpito sia le persone della fascia di reddito più basso sia quelle della fascia medio-alta. Quest’ultima a causa della perdita di denaro investito. Tra i soggetti con le perdite più significative la frequenza della depressione maggiore è risultata essere del 20,3%.
DEBITI E PSICHE – Un altro studio, svoltosi in Gran Bretagna, ha individuato due gruppi di persone ad alto rischio di depressione a causa della crisi: quelle insicure sul mantenimento della propria occupazione e quelle indebitate. In questi due gruppi, la frequenza è risultata più che raddoppiata rispetto agli altri soggetti esaminati. «Vero – aggiunge Maj -. È stato documentato che la disoccupazione si associa ad un rischio aumentato di depressione, disturbi ansiosi e quadri psicosomatici, con un tasso complessivo di problemi psicologici del 34% tra i disoccupati contro il 16% negli occupati. Quanto più lungo è il periodo di disoccupazione, tanto maggiori sono le conseguenze sulla salute mentale. Inoltre, l’impatto della disoccupazione sulla psiche risulta maggiore nei paesi meno sviluppati sul piano economico, in quelli in cui la distribuzione del reddito è più disomogenea e in quelli in cui i sistemi di protezione dei disoccupati sono più deboli».
«RINFORZARE IL SOSTEGNO» – Sempre gli inglesi hanno visto, in un altro studio, che il rischio di depressione e di disturbi d’ansia risultava aumentato nei soggetti che avevano perso il lavoro recentemente (durante l’ultimo anno) e in quelli che erano stati senza lavoro per più di tre anni. Il rischio di sviluppare disturbi mentali non era ridotto in coloro che ricevevano un sussidio. Infine, i disturbi d’ansia. Confrontando il periodo della crisi (2008-2009) con quello precedente (2005-2007), ricercatori australiani hanno verificato un aumento dei disturbi d’ansia nei soggetti con lavoro precario, ma non in quelli con lavoro stabile. Conclude Maj, lanciando un appello ai governi come Società mondiale di psichiatria: «Occorre rinforzare i servizi di salute mentale quando c’è crisi finanziaria piuttosto che sottoporli a tagli drastici, come purtroppo sta adesso accadendo in molti Paesi compreso il nostro. E mi appello alle aziende: almeno le grandi sviluppino o rinforzino sistemi di supporto psicologico per i dipendenti».