Crisi, pagano i più giovani 400 mila espulsi dal mercato
il contagocce, contratti di collaborazione non rinnovati e tante
prospettive in fumo. E dire che neppure negli anni scorsi se la
passavano bene. Ora però le cose, se possibile, vanno ancora peggio. La
crisi di fatto li sta colpendo in modo più acuto di quanto non stia
facendo con altre fasce d’età più tutelate.
Il 15 ottobre il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, parlando
alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha spiegato che la
riduzione occupazionale, registrata nel secondo trimestre (556 mila), è
dovuta soprattutto ai “figli” e ha interessato 404 mila persone. A
confronto con loro, rischiano di sembrare pochi persino i 152 mila
posti perduti dai genitori.
La crisi dei giovanissimi.
Quelli che stanno andando peggio sono i più piccoli. Alla fine di
giugno, dicono i dati trimestrali dell’Istat, il tasso di
disoccupazione per il segmento tra 15 e 24 anni è arrivato al 24 per
cento. Quasi quattro punti percentuali in più rispetto allo stesso
periodo dell’anno scorso. Un ragazzo su quattro, insomma, è alla
ricerca di un lavoro (vedi tabella).
Più del triplo della media nazionale che, nel complesso, ha raggiunto
il 7,4 per cento. Il peggioramento ha interessato in particolare i
ragazzi, il cui tasso disoccupazione è cresciuto del 4,2 per cento
mentre quello delle loro coetanee è salito di poco più della metà
(+2,5%).
La caduta del Centro.
Tra le aree più aggredite dal fenomeno c’è il Mezzogiorno (ed è una
conferma) dove la quota dei “senza lavoro” ha toccato i picchi: 35,3
per cento. Ma se si mette a confronto la media nazionale con il
segmento giovanile, ci si accorge (ed è una sorpresa) che il
peggioramento più significativo si è manifestato nelle regioni del
centro d’Italia. L’incremento da queste parti è stato di 5,5 punti
percentuali in un anno (vedi tabella)
mentre quello medio è rimasto pressoché stabile. In queste regioni, in
un anno, il rapporto tra il tasso di disoccupazione dei giovanissimi e
quello nazionale è passato da poco meno di due volte e mezzo a quasi
tre volte e mezzo (vedi tabella).
E’ probabile che a molti di questi ragazzi, relegati ai confini del
mercato del lavoro, la recente dichiarazione del ministero
dell’Economia Giulio Tremonti a favore del “posto fisso” sia sembrata beffarda.
Quelli con il diploma.
Non se la passano bene neppure i loro fratelli maggiori. A giugno
dell’anno scorso, tra quelli che hanno tra 25 e 34 anni, che in Italia
sono ancora costretti ad essere “figli”, l’8,7 per cento non aveva un
impiego. Oggi sono il 10,1 per cento. A fare i conti con la perdita di
un impiego sono soprattutto i diplomati. Per loro nel giro di un anno
le cose sono andate peggiorando in maniera significativa. La
disoccupazione degli under 35 con un diploma da 4-5 anni è salita, in
un anno, dal 7,2 per cento al 9,2 per cento (vedi tabella).
Quella di chi ha un diploma da 2-3 anni è cresciuta del 2,3 per cento.
I laureati hanno mostrato un incremento minore (+1,0 per cento).
Altrettanto male è andata a quei giovanissimi con la licenza media il
cui tasso di disoccupazione è passato dal 11,2 al 12 per cento.
Le speranze deluse.
La maggioranza degli italiani, dice il Rapporto Italia 2009 di
Eurispes, è convinto che le misure legislative adottate nell’ultimo
decennio abbiano peggiorato le possibilità occupazionali dei giovani.
Ora le imprese hanno ridotto drasticamente le nuove assunzioni
indirizzate a loro. Hanno tagliato le collaborazioni e, quando li
assumono, li impiegano con mansioni e condizioni economiche sempre meno
gratificanti. Emarginati e relegati a ruoli eternamente precari anche
nella ricerca universitaria, non sorprende che i laureati italiani –
come confermano i recentissimi risultati dell’indagine europea
realizzata da un istituto di ricerca di Berlino – siano purtroppo
quelli che in tutta Europa credono meno alla possibilità di realizzare
se stessi nel mondo del lavoro.