Crocifisso nelle scuole: la Corte Europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia
L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche comporta la
violazione del dovere dello Stato di rispettare la neutralità
nell’esercizio del servizio pubblico, in particolare nel campo
dell’istruzione, violando il diritto dei genitori di educare i loro
figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o
non credere.
Con queste conclusioni la Corte Europea dei diritti
dell’uomo di Strasburgo, all’unanimità dei giudici componenti, nella
decisione n. 30814/06, del 3 novembre 2009, ha condannato lo Stato
Italiano per la violazione dell’art. 2, del protocollo n. 1, rivisto
nel combinato disposto con l’art. 9, della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La
vicenda ha visto protagonista una mamma che ha intrapreso una lunga
battaglia contro l’esposizione del crocefisso nell’aula scolastica
frequentata dai propri figli.
L’interessata, impugnando la
decisione della scuola di lasciare i crocifissi nelle aule, ha
sostenuto, nei diversi gradi di giudizio, la violazione del principio
di laicità, ma è sempre stata soccombente. La questione era giunta
anche all’attenzione della Corte Costituzionale, sollevata dal TAR del
Veneto, la quale, senza entrare nel merito si è dichiarata incompetente
in quanto l’oggetto dell’impugnazione riguardava un regolamento
scolastico, quindi, non avente la forza di legge e, pertanto, sottratto
al giudizio della stessa Corte.
Ultima strada rimasta alla mamma
è stata proprio il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che
ha deciso con la sentenza in argomento.
Il Governo italiano nel
corso del giudizio si è difeso sostenendo che certamente la croce è un
simbolo religioso ma ha anche altri significati, primo tra tutti quello
etico, che comprende una serie di principi che possono essere condivisi
al di fuori della fede cristiana, quale la non-violenza, la pari
dignità di tutti gli esseri umani, la giustizia, l’importanza della
libertà di scelta, la separazione della politica dalla religione,
l’amore del prossimo e il perdono dei nemici.
Pertanto, ad
avviso dello Stato Italiano, il messaggio di cui la croce era
portatrice sarebbe un messaggio umanista, che può essere letto
indipendentemente dalla sua dimensione religiosa, costituita da un
insieme di principi e di valori che rappresentano la base delle nostre
democrazie.
L’esposizione di un simbolo religioso nei luoghi
pubblici, per il Governo, rientrerebbe nel margine di discrezionalità
lasciato agli Stati in materia così complessa e delicata, strettamente
legati alla cultura e alla storia.
La Corte ha, tuttavia, respinto queste argomentazioni.
Invero,
i giudici europei, nel richiamare i principi giurisprudenziali in
merito, hanno affermato che nelle funzioni che lo Stato assume nel
campo dell’educazione e dell’insegnamento si deve tener conto del
diritto dei genitori di rispettare le loro convinzioni religiose e
filosofiche, occasione in cui la scuola non dovrebbe essere la scena di
proselitismo o di predicazione, ma piuttosto un luogo di incontro di
diverse religioni e convinzioni filosofiche, dove gli studenti possono
conoscere i loro pensieri e le tradizioni.
Tali premesse,
secondo la Corte, sono quelle che garantiscono il pieno rispetto del
dovere di neutralità e imparzialità dello Stato, e, dunque sono
incompatibili con qualsiasi potere discrezionale sulla legittimità
delle credenze religiose.
La Corte, comunque non nega le
affermazioni del Governo Italiano secondo cui la croce avrebbe altri
valori, diversi da quello prettamente religioso, tuttavia, proprio
quest’ultimo ha una particolare natura e il suo impatto sugli studenti
sin dalla giovane età, soprattutto se bambini, può essere
condizionante, costituendo una pressione su coloro che eventualmente
non praticano tale religione o che aderiscono a un’altra religione.
In
definitiva, la Corte ritiene che la presenza dei crocifissi nelle aule
– che ha una pluralità di significati, tra cui rappresentare dei
simboli in specifici contesti sociali e storici – è tuttavia
predominante come simbolo religioso, che può anche essere incoraggiante
per alcuni studenti credenti, ma diventare emotivamente inquietante per
gli studenti di altre religioni o per coloro che non professano alcuna
religione.
Per tali motivazione la Corte di Strasburgo ha
accolto il ricorso della mamma interessata, contestando al Governo
Italiano la violazione dell’art. 2, del protocollo n.1, rivisto nel
combinato disposto con l’art. 9, della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e condannandolo al
pagamento di un danno patrimoniale nella misura di euro 5000 da versare
alla ricorrente entro tre mesi dalla presente decisione.