Dai controlli via Facebook solo indizi da «riscontrare»
Il mondo è ormai fatto così: la piazza virtuale rappresenta la vita delle persone più di quella reale. Però le informazioni raccolte sulle persone in questo modo valgono un po’ come le voci che girano in piazza: l’amministrazione finanziaria che intende avvalersi di Facebook per scoprire qualcosa in più sulle spese tenute nascoste al fisco sarà in questo modo solo all’inizio dell’opera.
È quanto emerge da un rapido confronto con alcuni esperti dei settori interessati a vario titolo dall’annuncio delle Entrate di voler rintracciare le spese attraverso la rete. L’utilizzo di Facebook da parte dell’amministrazione per guardare le spese degli italiani è vista come un fatto quasi inevitabile da Giuliano Noci, vicedirettore del Mip-Politecnico di Milano, economista ed esperto di web 2.0. «Si tratta di un utilizzo legittimo – afferma Noci – perché ormai la piazza virtuale rappresenta la risposta al bisogno di protagonismo individuale. E Facebook è ormai il luogo per eccellenza in cui rappresentare a beneficio degli amici la propria vita personale. Da questo punto di vista anche Twitter sta crescendo in maniera significativa». Ricorda Noci: «Anche le imprese fanno sempre più spesso ricerche di mercato utilizzando le piattaforme informatiche dove gli individui passano sempre più parte del loro tempo».
Ma cosa fare dei dati raccolti via Facebook? Non ci sono dubbi per Francesco Tesauro, ordinario di diritto tributario all’Università Bicocca di Milano: «Sono dati che potranno essere utilizzati solo come modalità di innesco di ulteriori indagini e accertamenti, non certo come fonti di prova. Per queste occorrono riscontri oggettivi e, in caso di accertamento sintetico, occorre invitare il contribuente al contraddittorio». Inoltre – ricorda Tesauro – non è la prima volta che incursioni di questo genere vengono effettuate: «In passato sono stati utilizzati mezzi come street view di Google per accertarsi che in un certo luogo ci fossero capannoni industriali in luoghi dove non erano dichiarate attività».
In fondo anche i professionisti non sembrano del tutto ostili alle incursioni via Facebook. Afferma, infatti, Enrico Zanetti, responsabile dell’ufficio studi del Consiglio nazionale dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili: «Si tratta di indagini anche invasive, ma in fondo l’Agenzia delle Entrate ci sta anche per fare questo. Meglio però quando fa delle indagini, sia pure invasive, piuttosto che quando scarica sui cittadini adempimenti su adempimenti». E Zanetti spiega: «È ovvio che si tratta di un mero riscontro, non si possono ipotizzare nuove presunzioni o automatismi nella formazione delle prove. Ma è da escludere che la stessa Agenzia pensi questo».