Danno biologico e licenziamento illegittimo Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 22.03.2010 n° 6847
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 22 marzo 2010, n. 6847
Svolgimento del processo
1.
Con sentenza non definitiva del 2 ottobre 2006 la Corte d’appello di
Ancona, in parziale riforma della decisione di primo grado emessa dal
Tribunale di Ascoli Piceno, dichiarava l’illegittimità del
licenziamento intimato dal Consorzio Agrario Piceno s.c.r.l. al
dirigente D.F.L.R. e determinava in euro 60.000 l’indennità
supplementare prevista dalla contrattazione collettiva;
dichiarava,
altresì, che il Consorzio aveva posto in essere un illegittimo
demansionamento del predetto dirigente dal maggio 2002 sino al 31
luglio 2002; peraltro, escludeva il diritto del D. F. a conseguire
alcun risarcimento per danno professionale ed esistenziale, riservando
invece al prosieguo del giudizio l’indagine relativa al risarcimento
per il danno biologico derivante dall’illegittima condotta datoriale.
2.
Con successiva sentenza dell’11 aprile 2007 la stessa Corte
territoriale definiva la controversia riconoscendo al D.F. un danno
biologico liquidato in Euro 6.300,00. 3. La complessiva decisione dei
giudici di appello si fonda sulla considerazione che: a) il
licenziamento, intervenuto, formalmente, per necessità di
riorganizzazione dell’area commerciale della cooperativa alla quale il
dirigente era addetto, si rivelava pretestuoso e contrario a buona
fede, essendo emerso dalle stesse determinazioni datoriali che il
recesso era da ascriversi alla perdita di fiducia nei confronti del
dipendente, e, inoltre, dovendosi qualificare come licenziamento
ontologicamente disciplinare (secondo la relativa prospettazione del
D.F. che, ancorchè non contenuta nel ricorso introduttivo, era stata
implicitamente autorizzata dal giudice di primo grado che l’aveva
disattesa nel merito), era anche illegittimo per inosservanza delle
procedure di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7; b) il demansionamento
risultava dalla accertata estromissione del dirigente dalla conclusione
di accordi commerciali con la clientela da lui prima curata e con
l’affidamento di tali incombenze ad altro dipendente del Consorzio;
c)
la sussistenza del danno biologico, conseguente all’illegittimo recesso
e al demansionamento, era rimasta accertata in base alla c.t.u.
appositamente espletata in giudizio.
4. Il Consorzio
Agrario ha proposto distinti ricorsi per cassazione avverso le due
predette sentenze, deducendo quattro motivi di impugnazione in
relazione alla decisione non definitiva e un unico motivo in relazione
alla decisione definitiva. Il D.F. ha resistito ad entrambi i ricorsi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.
In via preliminare, i due ricorsi (n. 32099/06 e n. 16794/07) vanno
riuniti, in quanto proposti avverso sentenze pronunciate nella stessa
controversia (cfr. Cass. n. 13800 del 2003; n. 9377 del 2001).
2. Il ricorso avverso la sentenza non definitiva si articola in quattro motivi.
2.1.
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 414, 416, 420 e 437 c.p.c., si lamenta che la Corte di merito
abbia ritenuto implicitamente autorizzata dal giudice di primo grado la
modifica della domanda originaria e abbia così, erroneamente, ritenuto
ammissibile la nuova causa petendi fondata sulla natura disciplinare
del licenziamento.
2.2. Con il secondo motivo,
denunciando la violazione della disciplina legale e contrattuale
relativa al licenziamento dei dirigenti, il Consorzio ricorrente si
duole che la sentenza impugnata – pure riconoscendo la sussistenza
delle esigenze aziendali che avevano originato il recesso datoriale –
abbia erroneamente valorizzato supposte e concorrenti ragioni,
meramente incidentali, quale il venir meno della fiducia della
cooperativa verso il proprio dirigente.
2.3. Il terzo
motivo denuncia vizi di procedimento e di motivazione, nonchè
violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c..
Si
critica la sentenza impugnata per avere ritenuto il demansionamento del
D.F. in base a circostanze non provate e puntualmente contestate e,
peraltro, senza consentire al convenuto Consorzio di dimostrarne la
insussistenza.
2.4. Con il quarto motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2103 c.c. e degli
artt. 2 e 42 Cost., nonchè vizio di motivazione, si lamenta che la
sentenza impugnata non abbia considerato che le dirette iniziative
della direzione del Consorzio nel settore della commercializzazione di
determinati macchinari fossero determinate dall’inerzia del D.F., e non
da intenti di demansionamento del medesimo.
3. Con
l’unico motivo del ricorso proposto contro la sentenza definitiva si
deduce che – alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza –
l’inosservanza della procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7,
non può comunque comportare risarcimenti ulteriori, quale il danno
biologico, rispetto alla indennità supplementare riconosciuta dalla
contrattazione collettiva.
4. I primi due motivi del ricorso n. 32099/06, da esaminare congiuntamente, non sono fondati.
La
valutazione della Corte di merito in ordine alla pretestuosità dei
motivi organizzativi, addotti formalmente per il licenziamento, si
fonda su una ricostruzione analitica degli stessi atti posti in essere
dal Consorzio, dai quali è stata desunta, puntualmente, la sussistenza
delle effettive ragioni del recesso, rinvenibili in una documentata
situazione di contrasto fra la direzione del Consorzio e il dirigente
e, in particolare, nella perdita di fiducia nei confronti di
quest’ultimo che aveva comportato, fra l’altro, l’assunzione da parte
della stessa direzione di iniziative imprenditoriali proprie del
settore della commercializzazione, curato dal D.F.. Ciò vale ad
escludere le censure mosse dal Consorzio circa una asserita marginalità
di tali effettive ragioni di recesso, essendosene ravvisata, al
contrario, la centralità e decisività nell’ambito di un comportamento
datoriale ritenuto incoerente e, altresì, contrario alla buona fede, in
applicazione del principio generale per cui l’ingiustificatezza del
recesso datoriale può evincersi da una incompleta o inveritiera
comunicazione dei motivi di licenziamento ovvero da un’infondata
contestazione degli addebiti, potendo tali condotte rendere almeno più
disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile
a condotte discriminatorie, ovvero prive di adeguatezza sociale (cfr.
Cass. n. 27197 del 2006); nè, d’altra parte, sono qui ammissibili
diverse valutazioni basate su differenti ricostruzioni “storielle”,
contrapposte, in via di mero fatto, a quelle operate dal giudice di
merito.
La ingiustificatezza del recesso – conseguente
alla predetta pretestuosità dei motivi – priva di ogni rilievo le
censure relative alla ammissibilità, o meno, della mutatio libelli, con
cui è stata inserita nella controversia la “ulteriore” questione della
inosservanza della procedura prescritta per il licenziamento
disciplinare; ed invero la illegittimità del recesso datoriale, da cui
consegue l’obbligo di corrispondere la indennità supplementare,
consegue ex se all’accertamento di insussistenza dei motivi, che
costituisce, nella sentenza impugnata, autonoma ratio decidendi idonea
a sorreggere la decisione.
5. Non fondati sono anche i restanti motivi del medesimo ricorso.
L’accertamento
del demansionamento operato dal Consorzio è fondato, nella decisione
della Corte d’appello, su circostanze concorrenti e specifiche, che
hanno evidenziato il graduale “svuotamento” del ruolo del D.F. mediante
la sua sostituzione con altri dipendenti in rilevanti iniziative e, fra
l’altro, mediante il trasferimento degli uffici del servizio di cui
egli era dirigente: tutte circostanze che la sentenza impugnata ha
ritenuto come ammesse dal Consorzio, in assenza di specifiche
contestazioni, secondo una valutazione che appare corretta anche alla
stregua delle osservazioni riproposte in questa sede, inerenti a
circostanze – quali alcuni contrasti fra nuova direzione del Consorzio
e D.F. circa la gestione aziendale e la proposta di quest’ultimo di un
“gemellaggio” con altro consorzio – del tutto generiche e, peraltro,
per niente contrastanti con quelle riferite dal dipendente e
valorizzate dalla Corte territoriale, e comunque inidonee a inficiare
la complessiva valutazione di merito riguardo all’operata privazione
del dipendente dei suoi compiti dirigenziali. Quanto alla
giustificazione delle iniziative della direzione, siccome dirette a
supportare una asserita inerzia del dirigente, le censure del Consorzio
si risolvono in deduzioni di fatto – già oggetto di esame da parte del
giudice di merito – qui inammissibilmente ribadite mediante la mera
contrapposizione di una diversa valutazione, la quale, peraltro, non
toglie decisività alla principale argomentazione dei giudici d’appello
secondo cui ogni contrasto sulla gestione e sui comportamenti del
dirigente doveva essere risolto – nell’ambito dei poteri di iniziativa
e di organizzazione riservati alla direzione del Consorzio – mediante
determinazioni precise e chiare, e non mediante comportamenti intesi
allo “svuotamento” sostanziale dei compiti del dipendente
“all’insaputa” del medesimo.
6. Le censure contenute nel
secondo ricorso – limitate al riconoscimento del danno biologico come
conseguenza del licenziamento – sono parimenti infondate.
Come
questa Corte ha precisato, il dirigente che, in conseguenza della
risoluzione del rapporto con il suo datore di lavoro causata dal
recesso ingiustificato di quest’ultimo, rivendica il risarcimento del
danno biologico riconducibile alla condotta datoriale è tenuto a
provare i fatti posti a fondamento della relativa domanda, non
derivando gli effetti risarcitori automaticamente dall’accertata
illegittimità del suddetto recesso (a cui è, invece, correlato
direttamente il diritto all’ottenimento dell’indennità supplementare di
preavviso), e, pertanto, deve assolvere all’onere di riscontrare il
verificarsi dei comportamenti datoriali cui ha addebitato, in ragione
della loro gravità, la lesione del decoro e della sua integrità
psico-fisica, che devono essere supportati dall’elemento soggettivo
della colpa grave o del dolo dello stesso datore di lavoro, senza che
possa al riguardo operare, ai sensi dell’art. 1229 c.c., comma 1,
alcuna clausola escludente in via preventiva tale responsabilità a
carico del debitore-imprenditore, che, se prevista, sarebbe da
considerarsi nulla (cfr. Cass. 27197 del 2006).
Nella
specie, la prova e l’entità del danno biologico sono scaturiti da un
puntuale accertamento che è rimasto privo di adeguate censure in questa
sede, fondandosi il motivo di ricorso, esclusivamente, sulla
enunciazione di una asserita inammissibilità del danno biologico, in
aggiunta all’indennità supplementare, che è esclusa esplicitamente
dalla richiamata giurisprudenza (e non trova supporto nella sentenza
delle Sezioni unite n. 7880 del 2007, indicata dal ricorrente, che si
limita ad equiparare gli effetti del licenziamento disciplinare
irrogato in violazione delle garanzia procedimentali a quelli del
licenziamento ingiustificato “non potendosi per motivi, oltre che
giuridici, logico-sistematici assegnare all’inosservanza delle garanzie
procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa
contrattazione fa scaturire dall’accertamento della sussistenza
dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del
recesso”).
7. In conclusione, i ricorsi, come sopra
riuniti, devono essere respinti. Il Consorzio ricorrente va condannato
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, con liquidazione
come in dispositivo, stante la sua prevalente soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi nn. 32099/06 e 16794/07 e li rigetta.
Condanna
il Consorzio ricorrente al pagamento delle spese del giudizio,
liquidate in Euro 41,00 per esborsi e in Euro quattromila per onorari,
oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010.
Il dirigente sottoposto a licenziamento
illegittimo, il quale lamenti la lesione alla propria integrità
psico-fisica, può ottenere il risarcimento del danno solamente nel caso
in cui dimostri il dolo o la colpa grave del datore di lavoro.
La dequalificazione non implica, di per sè, il danno biologico.
E’
quanto hanno stabilito i giudici di legittimità, della sezione lavoro,
con la recente sentenza 6847/2010, i quali, in merito all’onere della
prova, hanno, altresì, precisato che “L’accertamento
dell’illegittimità del licenziamento fa scattare automaticamente il
diritto alla sola indennità supplementare di preavviso”.
Per
quanto concerne il resto, infatti, il ricorrente dovrà dimostrare tutti
i fatti posti a fondamento della propria domanda di risarcimento del
danno alla salute.
In particolare dovrà fornire
al giudice tutti i mezzi idonei a riscontrare quei comportamenti
dell’azienda da cui il dipendente sostiene che scaturisca la lesione
del decoro e della sua integrità pisco-fisica (cfr. Cass. 3677/2009).
Perché
possa scattare la responsabilità è necessario l’elemento soggettivo da
parte del datore di lavoro, e, quindi, il dolo oppure la colpa grave;
qualsiasi altra clausola contrattuale che possa escludere a priori ogni
tipo di responsabilità del debitore – imprenditore sarà nulla (al
riguardo cfr. Cass. 27197/2006; Cass. 20980/2009).
Come si legge testualmente nella sentenza in commento, “la
prova e l’entità del danno biologico sono scaturiti da un puntuale
accertamento che è rimasto privo di adeguate censure in questa sede,
fondandosi il motivo di ricorso, esclusivamente, sulla enunciazione di
una asserita inammissibilità del danno biologico, in aggiunta
all’indennità supplementare, che è esclusa esplicitamente dalla
richiamata giurisprudenza (e non trova supporto nella sentenza delle
Sezioni unite n. 7880 del 2007,
indicata dal ricorrente, che si limita ad equiparare gli effetti del
licenziamento disciplinare irrogato in violazione delle garanzia
procedimentali a quelli del licenziamento ingiustificato “non potendosi
per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare
all’inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da
quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall’accertamento
della sussistenza dell’illecito disciplinare o di fatti in altro modo
giustificativi del recesso”)”.