Danno da vacanza rovinata: sufficiente provare l’inadempimento
In tema di danno non patrimoniale “da vacanza rovinata”, inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell’attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della “finalità turistica” (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.
E’ questo il principio di diritto in tema di danno da vacanza rovinata, individuato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7256.
Nel caso in questione, due coniugi convenivano in giudizio la società organizzatrice il loro viaggio di nozze ed il Tour operator a cui si erano rivolti, chiedendo la condanna in solido dei danni subiti per servizi non goduti e per le somme spese durante il viaggio stesso, comprendendo anche il danno non patrimoniale da vacanza rovinata. Il Giudice di Pace condannava il Tour operator al pagamento della somma di € 738 e le spese processuali. Il condannato proponeva ricorso principale, mentre i due coniugi proponevano a loro volta appello incidentale: questa volta il Tribunale, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, condannava in solido l’organizzatrice e il Tour operator al pagamento della somma di € 697 oltre accessori.
In sede di ricorso cassazione gli aspetti che qui interessano investono anche una ulteriore questione centrale: se, nell’ipotesi di inadempimento o inesatta esecuzione del contratto rientrante nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i “pacchetti turistici” il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, in senso stretto, quale pregiudizio conseguente alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del viaggio organizzato come occasione di piacere e di riposo, e quindi, quando non vengano in rilievo lesioni all’integrità psicofisica tutelate dall’art. 32 Cost., sia risarcibile, ex art. 2059 cod. civ., che, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, stante il carattere tipico della tutela di interessi non connotati da rilevanza economica, necessita di una fonte normativa ordinaria espressa, o del fondamento costituzionale, in riferimento ai diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost., 4, 13, 29, 30), e al diritto alla salute (art. 32 Cost.), o di una fonte comunitaria, in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno.
Gli Ermellini offrono una risposta positiva alla questione facendo riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed alla dottrina prevalente.
In particolare, si ritiene che le espressioni generiche contenute nel d.lgs. n. 111 del 1995 siano comprensive anche del danno non patrimoniale. D’altra parte, in una visione di insieme che faccia riferimento anche al recente c.d. Codice del Turismo – anche se non applicabile nel caso in questione ratione temporis – non può dimenticarsi che si prevede espressamente all’art. 47 il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In particolare, si prevede che, qualora l’inadempimento “non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre e indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”.
Altra questione collegata è se nel caso di inesatta esecuzione del contratto, la lesione dell’interesse alla vacanza contrattualmente pattuita, che trova riconoscimento nella disciplina normativa del pacchetto turistico, posta a tutela del consumatore, debba o meno avere il carattere della gravità, nel senso che l’offesa di tale interesse, per essere risarcibile, debba superare una soglia minima di tollerabilità.
I giudici del Palazzaccio, anche se, a stretto rigore normativo, non possono far altro che evidenziare l’insussistenza di limiti normativi ed ermeneutici, tuttavia ritengono che limiti discendano – anche s e con caratterizzazione diversa – dall’art. 2 della Costituzione. Infatti – si legge nella sentenza -, in riferimento ai diritti inviolabili della persona, la necessità della gravità della lesione dell’interesse, che per essere risarcibile deve superare una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nel dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., che impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza e, quindi, in riferimento al rapporto tra singolo individuo e singoli, ma indifferenziati, individui componenti la società civile. Per quanto riguarda il diritto alla vacanza contrattualmente pattuita, la necessità della gravità della lesione dell’interesse e il superamento di una soglia minima di tollerabilità, trova fondamento nella sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che accompagna il contratto in ogni sua fase; regola specificativa – nel contesto del rapporto obbligatorio tra soggetti determinati – degli inderogabili doveri di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., e la cui violazione può essere indice rivelatore dell’abuso del diritto, nella elaborazione teorica e giurisprudenziale.
La richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali – chiosano i giudici di Piazza Cavour – per disagi e fastidi da qualificarsi minimi, avuto presente la causa in concreto del contratto, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi contrattualmente pattuiti, e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore/creditore.
In mancanza di delimitazioni normative, spetta al giudice del merito individuare il superamento o meno di tale soglia, avuto riguardo alla causa in concreto – costituita dalla “finalità turistica”, che qualifica il contratto “determinando l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero emergente dal complessivo assetto contrattuale, e considerando l’autonoma valutabilità dell’interesse allo svago e riposo rispetto al danno patrimoniale subito, atteso che il primo, a seconda del peso della prestazione contrattuale non adempiuta, può ben superare il secondo e non può appiattirsi su questo.
Nella specie, il giudizio sul superamento della soglia minima di lesione è implicito nella sentenza di merito, in considerazione della irripetibilità della vicenda trattata riferendosi ad un viaggio di nozze. Da ciò il rigetto dei ricorsi e la compensazione della spese.