Danno erariale da "monnezza": condannati gli amministratori locali
Corte dei conti, sez. giur. regione Campania, sentenza n. 1492 del 12 novembre 2009
Le massime
Rifiuti –
Raccolta differenziata – Mancata o insufficiente – Responsabilità per
danno erariale – Del sindaco e di tre dipendenti del comune – Nei
confronti del comune e dell’erario – Sussiste
Per quel che concerne la fattispecie all’esame del Collegio deve
senz’altro concludersi positivamente in punto di valutazione della
sussistenza del danno pubblico patrimoniale materiale determinato dalla
mancata o insufficiente realizzazione della raccolta differenziata, con
i requisiti della certezza, della concretezza e dell’attualità. Il
nocumento alle finanze del comune di M. e dell’erario si evidenzia
quale risultato del comportamento violativo dei propri obblighi di
servizio posto in essere, seppur con diverso rilievo, dal sindaco del
comune di M., dal dirigente del settore urbanistica, ambiente, ecologia
e tutela del territorio, dal capo servizio ambiente, ecologia e tutela
del territorio e dal responsabile dell’ufficio gestione rifiuti. I
convenuti, ognuno con riferimento alla parte di propria competenza,
hanno agito, infatti, in difformità da norme di legge e di corretto
svolgimento dell’azione amministrativa, non operando per la prescritta
attivazione della raccolta differenziata dei rifiuti, a dispetto
dell’insieme delle disposizioni contenute in tal senso in norme di
legge, in ordinanze pcm e commissariali, nonché nel regolamento
comunale del 1997.
Rifiuti –
Raccolta differenziata – Mancata o insufficiente – Danno erariale – Nei
confronti del comune e dell’erario – Quantificazione – In via
equitativa – Ammissibilità
Il danno pubblico patrimoniale, determinato dalla mancata o
insufficiente realizzazione della raccolta differenziata, si è
manifestato sotto vari profili, che vede quali soggetti danneggiati ora
il comune, ora l’erario. In particolare, un primo profilo di danno, che
vede quale ente che lo ha subito il comune, è rappresentato
dall’ingiustificato costo sostenuto a titolo di tariffa smaltimento
rifiuti per il conferimento del “tal quale” (rifiuto indifferenziato)
presso gli impianti di produzione di Cdr. Ancora il comune è il
soggetto interessato dal secondo profilo di danno, costituito dal
mancato introito derivante dalla cessione del materiale recuperato.
Infine, sia il comune e sia l’erario sono stati interessati dal terzo
profilo di nocumento, derivante dal collasso del piano integrato dei
rifiuti e dei costi emergenziali. Con riferimento alla quantificazione
del danno pubblico, la domanda attrice, in cui il requirente ha
individuato le tre voci di nocumento patrimoniale il cui importo è
stato determinato sulla base di una inevitabile valutazione di tipo
equitativo ex art. 1226 c.c., distinta per soggetti danneggiati e cioè
il comune e l’arario, risulta fondata.
Il commento
giurisdizionale dell’intervento che la Corte dei conti in riferimento
alle gravi responsabilità delle amministrazioni territoriali nella
genesi e nella gestione dell’emergenza permanente nel settore dello
smaltimento dei rifiuti determinatasi in Campania nell’ultimo
quindicennio. La presente pronuncia della sezione giurisdizionale per
la Campania, concernente il servizio di gestione dei rifiuti nel comune
di M. (n. 1492/2009), segue infatti di pochi mesi un’altra sentenza
relativa al comune capoluogo C. (n. 386/2009).
Gli elementi di
principale differenziazione tra la sentenza n. 386 e la sentenza n.
1492 sono rinvenibili, in particolare, nella specificità del fondamento
oggettivo della richiesta di risarcimento del danno erariale nella
sentenza qui commentata. Nel primo caso (sentenza n. 386/2009),
infatti, la responsabilità amministrativa dei convenuti risultava
riconducibile con immediatezza al consolidato genus della “trascuratezza degli obblighi istituzionali” (prioritariamente imposti dalla Costituzione,agli artt. 54 e 97,con efficaci richiami a “disciplina e onore nell’esercizio di funzioni pubbliche” nonché a “buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa”),
in quanto gli amministratori locali del comune di Caserta non solo non
avevano tempestivamente ed adeguatamente contestato e fatto valere
reiterati inadempimenti del soggetto gestore del servizio di igiene
urbana, ma avevano altresì aderito a richieste di adeguamento dei
corrispettivi e a proposte di transazione migliorativa pervenute dal
medesimo gestore.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte nella
pronuncia n. 1492/2009, per altro verso, il danno pubblico sarebbe
derivato, secondo la Procura, dal mancato rispetto degli obblighi
inerenti il raggiungimento da parte del comune di M. delle percentuali
minime di raccolta differenziata, con riferimento agli anni 2003, 2004
e 2005. I convenuti sono stati condannati complessivamente al pagamento
della somma complessiva di circa € 450.000, di cui € 405.000 in favore
del comune di M. ed € 45.000 in favore dell’erario.
Le accusa della procura
Al fine di descrivere l’essenzialità della raccolta differenziata – definita come “raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee”
(art. 6 Dlgs n. 22/1997) – nella gestione del ciclo dei rifiuti, la
Procura aveva ricordato, in primo luogo, il Dlgs n. 22/1997 (c.d.
decreto “Ronchi”), oltre alle ordinanze del ministero dell’Interno
riguardanti l’emergenza rifiuti nella regione Campania (nn. 2948/1999,
3100/2000 e 3479/2005), con le quali era stato stabilito che, nel
periodo in considerazione, i comuni della regione Campania avrebbero
dovuto attuare una percentuale minima di raccolta differenziata
(rispetto al totale ammontare della quantità di rifiuti prodotta) pari
al 30% per il 2003-2004 ed al 35% per il 2005. La tariffa a carico dei
comuni per gli oneri gestionali della raccolta dei rifiuti avrebbe
subito progressive maggiorazioni in misura direttamente proporzionale
all’entità della violazione delle disposizioni riguardanti la
percentuale minima di raccolta differenziata da realizzare entro le
varie scadenze prestabilite.
La Procura ha posto in rilievo come
l’inadempimento delle disposizioni dettate nella materia di che
trattasi abbia contribuito in maniera determinante alla crisi del ciclo
dei rifiuti, richiamando, in proposito, la “Relazione territoriale
sulla Campania” della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo
dei rifiuti trasmessa alle Camere il 1° febbraio 2006. Ai maggiori
costi complessivamente sostenuti per la mancata differenziazione dei
rifiuti devono poi essere aggiunte le considerevoli spese (quali quelle
relative al trasporto fuori regione o all’estero dei rifiuti, con quote
di materiali da separare) derivanti dalle ripetute situazioni di acute
crisi del settore (rifiuti non raccolti nelle strade), largamente
incise dalla scarsa percentuale di raccolta differenziata.
Sul
punto, la Procura aveva riportato i risultati dell’analisi della spesa
per interventi effettuati in materia di emergenza rifiuti contenuti
nella relazione della sezione centrale di controllo sulla gestione
delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti riguardante “La gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai Commissari del Governo”
approvata con deliberazione n. 6/2007/G, secondo cui ammonterebbero ad
oltre 550 milioni di euro le risorse spese dal Commissariato rifiuti
campano per l’emergenza fino all’anno 2005.
In base ai dati
rappresentati nell’adeguamento del piano regionale dei rifiuti
approvato dal Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella
regione Campania con l’ordinanza n. 77/2006, nell’anno 2004 il comune
di M. risultava aver raggiunto la percentuale di raccolta differenziata
del solo 6,17.
In particolare, l’Ufficio requirente aveva
individuato, con riferimento alla specifica fattispecie oggetto del
giudizio, quattro distinte voci di danno:
1)
l’ingiustificato costo sostenuto dal comune di M. a titolo di tariffa
smaltimento rifiuti per il conferimento presso gli impianti di
produzione di C.D.R. del “tal quale” (rifiuto indifferenziato, una
parte del quale avrebbe dovuto essere debitamente separato in sede di
effettuazione della raccolta);
2) il
costo sostenuto per le situazioni emergenziali dal comune di M. nel
2004 e nel 2005, il cui 10% avrebbe dovuto ad avviso della Procura
essere addebitato alle responsabilità connesse con la molto ridotta
raccolta differenziata;
3) il
nocumento derivante dal collasso del piano integrato dei rifiuti e dei
costi emergenziali, significativamente inciso dalla raccolta
differenziata e da ritenere gravante – visto il pluriennale intervento
governativo mediante gli organi straordinari ed i finanziamenti erogati
dal bilancio statale – sull’erario, da calcolare in via equitativa in
base alla somma fra le spese sostenute negli anni 2004 e 2005 per il
trasporto fuori regione dei rifiuti solidi urbani, calcolate in
percentuale uguale a quella corrispondente al totale degli r.s.u.
prodotti dal comune di M. rispetto a quelli dell’intera regione;
4) il
danno per la gravissima lesione dell’immagine dell’intera regione
Campania dato dall’enorme risonanza nella pubblica opinione
dell’emergenza rifiuti, da considerarsi inciso – sempre mediante
l’utilizzo di criteri equitativi – almeno per un quinto dalla difettosa
raccolta differenziata, e da calcolare, per il comune di M. – seguendo
il medesimo criterio proporzionale del rapporto tra i rifiuti prodotti
in Campania e quelli del comune in precedenza utilizzato sub 3).
Per
quanto concerne l’individuazione delle responsabilità individuali
produttive del danno pubblico la Procura attrice, premesso che “la
violazione delle prescrizioni normative è da addebitare ai soggetti cui
ne competeva l’attuazione, e che, con un comportamento doloso o
gravemente colposo, non hanno curato l’attività necessaria per
garantirne il rispetto”, ha posto in rilievo che nel comune di
M. sono rimaste inattuate le previsioni regolamentari comunali e
contrattuali del capitolato speciale d’appalto regolanti il rapporto
con la ditta affidataria della gestione integrata dei rifiuti urbani e
dell’igiene urbana, perché le ordinanze sindacali adottate non hanno
previsto alcunché in punto di istituzione e di avvio della raccolta
differenziata dei rifiuti; il che ha impedito il sorgere dell’obbligo
per i cittadini di procedere al conferimento separato delle varie
frazioni, con conseguente impossibilità da parte degli agenti
municipali di poter contestare le eventuali infrazioni e, nel contempo,
inipotizzabilità di inadempimenti contrattuali da parte della società
affidataria del servizio. La responsabilità per tale negligenza è stata
dalla Procura in primo luogo addebitata al sindaco, ed inoltre al
dirigente comunale del settore urbanistica, ambiente, ecologia e tutela
del territorio, al capo servizio ambiente, ecologia e tutela del
territorio ed al responsabile dell’ufficio gestione rifiuti.
I punti chiave della sentenza: il danno pubblico
Ampia e approfondita risulta l’argomentazione della Corte in
riferimento alla valutazione della sussistenza dell’elemento oggettivo
del danno pubblico, che ricostruisce le disposizioni normative che
impongono, come noto, alle amministrazioni locali di ridurre la
quantità di rifiuti mediante il reimpiego e il riciclaggio e
garantiscono incentivi alle aziende che utilizzano prodotti realizzati
con materiale riciclato.
Il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.
22 (c.d. decreto Ronchi) ha costituito la normativa quadro sulla
gestione dei rifiuti fino all’entrata in vigore del decreto legislativo
3 aprile 2006 n. 152, di attuazione della delega contenuta nella legge
15 dicembre 2004, n. 308, per il riordino, il coordinamento e
l’integrazione della legislazione in materia ambientale. Per quanto
concerne la raccolta differenziata, il Dlgs n. 22/1997 prevede che i
comuni stabiliscano “le
modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto
dei rifiuti urbani al fine di garantire una distinta gestione delle
diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi”
(art. 21, comma 1°, lettera c). All’art. 24 sono previste le
percentuali minime di raccolta differenziata dei rifiuti urbani
rispetto al totale dei rifiuti prodotti, da realizzare entro
determinate scadenze. A tali previsioni hanno fatto seguito le citate
ordinanze commissariali del 1999, del 2000 e del 2005.
La Corte ha
peraltro rilevato che la relazione del 2006 della Commissione
parlamentare d’inchiesta della XIV Legislatura aveva segnalato come le
percentuali di raccolta differenziata realizzate in talune zone della
regione Campania siano estremamente elevate, registrando la presenza di
comuni particolarmente virtuosi, con la conseguenza che non può “invocarsi
a comoda, quanto superficiale, giustificazione una sorta di invincibile
ritardo culturale che segna le comunità campane; se è vero, come è
vero, che vi sono molteplici comuni in cui le percentuali di raccolta
differenziata viaggiano stabilmente al di sopra dei parametri indicati
dal decreto Ronchi” (si vedano inoltre i dati riportati dalla predetta relazione del 2007 della sezione centrale contabile di controllo).
Con
specifico riferimento al comune di M., la Corte ha segnalato che nulla
era stato previsto, mediante l’adozione delle necessarie ordinanze
sindacali, per la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani. In
assenza di tali disposizioni – la sezione ha osservato – da un lato,
non è sorto l’obbligo per i cittadini di procedere al conferimento
separato delle varie tipologie di rifiuti, con conseguente
impossibilità da parte degli agenti municipali di poter contestare le
eventuali infrazioni in proposito; dall’altro lato, sono rimaste
inattuate le clausole del contratto d’appalto stipulato con la società
affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti, concernenti la
raccolta differenziata, nonostante che il corrispettivo contrattuale
fosse stato determinato in funzione di un servizio strutturato
soprattutto sull’espletamento di tale tipologia di raccolta.
La quantificazione del danno, il nesso causale e la colpa
La corte ha così concluso positivamente in punto di valutazione
della sussistenza del danno pubblico patrimoniale materiale determinato
dalla mancata o insufficiente realizzazione della raccolta
differenziata con i requisiti della certezza, della concretezza e
dell’attualità: tale nocumento patrimoniale in parola si è manifestato
sotto vari profili, che vede quali soggetti danneggiati il comune e
l’erario.
Sotto il profilo della quantificazione del danno, per
quanto concerne la prima voce (ingiustificato costo sostenuto a titolo
di tariffa smaltimento rifiuti per il conferimento dei rifiuti
indifferenziati presso gli impianti di produzione di Cdr), essa è stata
concretamente quantificata dalla Corte moltiplicando la differenza tra
la percentuale concretamente raggiunta e quella che doveva essere
realizzata per rispettare il limite normativo della raccolta
differenziata in ciascuno degli anni del triennio in considerazione,
per la tariffa per impianti di Cdr.
In riferimento alla seconda voce
di danno (esborso per le situazioni emergenziali), è stato addebitato
ai convenuti il 10% delle spese effettuate per la realizzazione e
gestione di siti provvisori, per smaltimento percolato, per rimozione
dei rifiuti dal sito provvisorio. Anche con riguardo alla terza voce di
danno, arrecato la Corte ha avvalorato i criteri proposti dalla
Procura, “proporzionali
applicati alle sole spese erogate per il trasporto fuori regione,
direttamente influenzati dall’insufficiente differenziazione, e
riposanti sul rapporto tra i rifiuti prodotti in Campania e quelli del
comune in esame”.
Per quanto attiene al quarto profilo di
danno prospettato, il danno all’immagine dell’amministrazione, la Corte
ha sospeso la decisione nel merito del giudizio sollevando con separata
ordinanza la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17,
comma 30ter, del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con
modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102 (c.d. lodo Bernardo),
come modificato dall’articolo 1, comma 3, del decreto legge 3 agosto
2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre
2009, n. 141, periodi secondo e terzo e quarto, in quanto ritenuta
rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata, con
riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 103 della Costituzione.
Quanto alla sussistenza del nesso di causalità, ad avviso del
Collegio, la mancata adozione dell’ordinanza sindacale ha costituito la
“causa prioritaria della sostanziale insussistenza della raccolta differenziata”
dei rifiuti presso il comune di M., registrandosi, a fronte delle basse
percentuali di raccolta differenziata effettuata nel triennio
2003-2005, una persistente inerzia dell’ente nell’assunzione delle
iniziative necessarie per l’esame e la risoluzione delle eventuali
problematiche, contrattuali e non, che conducevano al manifesto
inadempimento degli obblighi di legge ivi compresa l’omessa
rimodulazione della relativa tassa o tariffa, al fine di assicurare la
copertura dei costi di gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti.
Quanto
all’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa contestata,
il Collegio ha ritenuto ascrivibile la medesima responsabilità a titolo
di colpa grave nei confronti di tutti in convenuti evidenziando, in
particolare, che nel caso di specie era rimasto macroscopicamente
violato l’art. 50 del Dlgs 267/2000, il quale, intitolato “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”,
prevede che il sindaco, in quanto organo responsabile
dell’amministrazione del comune (comma 1°), esercita le funzioni
attribuitegli “dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti”
(comma 3°), poiché il sindaco aveva omesso, sia di assumere iniziative
finalizzate all’incremento della raccolta differenziata dei rifiuti
nonostante l’urgenza dell’attivazione da parte delle amministrazioni
anche locali per la diffusione e l’incremento della raccolta
differenziata dei rifiuti, fosse già ben nota. Le ulteriori posizioni
di responsabilità, di grado minore rispetto a quella del sindaco, sono
state ascritte a carico dei dirigenti e funzionari, responsabili
amministrativi della vigilanza e del controllo dei servizi gestiti
dalla ditta appaltatrice.
Conclusioni
Nel caso esaminato, alla rigorosa ricostruzione dei vari profili di
danno pubblico “da monnezza” connesso alla mancata realizzazione degli
obiettivi stabiliti dalla legge in materia di raccolta differenziata,
fa da contraltare l’integrale ascrizione a carico di quattro soli
soggetti di tale danno “ambientale” per intero, e per un ammontare
(oltre 450mila euro!) non distante dal totale delle retribuzioni
presumibilmente percepite dai medesimi soggetti negli anni di
riferimento (si noti, peraltro, che il parametro retributivo non è
stato minimamente preso in considerazione né dalla Procura né dal
Collegio).
Si tratta peraltro di un percorso argomentativo che,
partendo da solide argomentazioni (la mancata raccolta differenziata
produce danni “ambientali” e finanziari rilevanti; i convenuti non
hanno adottato le iniziative doverose per garantirne l’avvio e il
perseguimento; non è tollerabile la diffusa situazione di “impunità”
per comportamento omissivi di pubblici amministratori che mettono a
repentaglio le finanze, l’ambiente e la salute pubblica della propria
cittadinanza) giunge a conseguenze molto rilevanti e innovative (la
condanna dei convenuti al risarcimento dell’intero “danno ambientale”
per il comune di Marcianise e della relativa quota per l’erario)
omettendo passaggi motivazionali, in specie sotto il profilo del nesso
causale, che sarebbero stati importanti ai fini della completa
giustificazione della condanna nel suo quantum.
La responsabilità
politica degli amministratori (e dei loro principali collaboratori
dipendenti del comune) – unitamente all’ombra di collusioni con i
soggetti gestori del servizio di igiene ambientale, principali
beneficiari dell’immobilismo comunale, e con esponenti della
criminalità organizzata – appaiono in qualche modo saldarsi
impropriamente, nella sentenza in commento, alla responsabilità
erariale a loro carico sollevata.
Sembra, infatti, provare troppo
l’argomento, in qualche misura implicitamente avvalorato dalla Corte,
secondo il quale la discrepanza tra le percentuali di raccolta
differenziata del comune di M. e le percentuali dei comuni “virtuosi”
sarebbe di fatto (e nelle sue intere conseguenze finanziarie)
ascrivibile unicamente alle omissioni e negligenze degli
amministratori.
Ed infatti, una questione è verificare l’omissione
delle iniziative (in primis, le ordinanze sindacali) che avrebbero
permesso di attivare una diffusa consapevolezza della cittadinanza
verso la raccolta differenziata preparando d’altra parte le strutture
amministrative alla gestione della situazione dei rifiuti: tali
omissioni ben possono rientrare nel predetto genus della “trascuratezza
degli obblighi istituzionali” come evidenziato dalla Corte nella
sentenza n. 386/2009.
Appare meno convincente affermare la
riconducibilità diretta ed integrale del danno “ambientale” da
“monnezza”, come calcolato dalla Corte, alle omissioni dei convenuti.
Si sarebbe infatti dovuto dimostrare, a tale scopo, che l’adozione
delle misure idonee da parte del comune avrebbe indefettibilmente, o
molto probabilmente, consentito di raggiungere nel 2003, 2004 e 2005 la
percentuale di raccolta differenziata prescritta dalla legge, ed
inoltre che la mancata realizzazione di tali performance sia idonea,
per sé sola, ceteris paribus, a determinare le conseguenze dannose
esaminate.
In tal senso, opportuna sarebbe stata un’analisi più approfondita,
che avesse tenuto in considerazione i risultati differenziali della
raccolta differenziata negli anni precedenti al 2003 e successivi al
2005, nonché le performance
di comuni con simili situazioni iniziali, in modo tale da dar conto di
un effettivo, ove esistente, “contributo negativo” apportato
dall’amministrazione convenuta.
Si tratta di aspetti che potranno
essere esaminati dalla Corte più approfonditamente nel successivo grado
di giudizio, anche onde fugare possibili impressioni di una condanna
“esemplare” ma non del tutto meditata. E tuttavia, sono profili, in
fondo, secondari della sentenza, rispetto ai principi di responsabilità
in essa affermati e se confrontati col rigore dei riferimenti per il
calcolo dell’ammontare delle varie poste di danno e per la
parametrazione della liquidazione equitativa ove necessaria. Altre
“puntate” della vicenda delle responsabilità amministrative per
l’emergenza rifiuti si annunciano, così, a breve, e non solo in
Campania.
La decisione in sintesi
Il fatto
Con atto di citazione la Procura regionale ha evocato in giudizio
il sindaco del comune di M., il dirigente del settore urbanistica,
ambiente, ecologia e tutela del territorio, il capo servizio ambiente,
ecologia e tutela del territorio e il responsabile dell’ufficio
gestione rifiuti per sentirli condannare al pagamento, pro quota, di €
405.322,25 in favore del comune di M., di € 45.077,23 in favore dello
Stato e di € 43.038,00 in favore della regione Campania – o alle
diverse somme determinate dal collegio giudicante – oltre rivalutazione
monetaria e spese di giustizia. Il danno pubblico suindicato sarebbe
derivato, secondo parte attrice, dal mancato rispetto degli obblighi
inerenti il raggiungimento da parte del comune di M. delle percentuali
minime di raccolta differenziata, con riferimento agli anni 2003, 2004
e 2005.
La decisione
La Corte dei conti campana, con la sentenza in commento, ha
condannato il sindaco di M. e i tre dipendenti del comune al
risarcimento del danno pubblico per un ammontare complessivo di oltre
450mila euro.
Secondo il collegio, infatti, Il comune non aveva
previsto, mediante l’adozione delle necessarie ordinanze sindacali, un
regime adeguato di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani. In
assenza di tali disposizioni da un lato, non è sorto l’obbligo per i
cittadini di procedere al conferimento separato delle varie tipologie
di rifiuti, con conseguente impossibilità da parte degli agenti
municipali di poter contestare le eventuali infrazioni in proposito;
dall’altro lato, sono rimaste inattuate le clausole del contratto
d’appalto stipulato con la società affidataria del servizio di raccolta
dei rifiuti, concernenti la raccolta differenziata, nonostante che il
corrispettivo contrattuale fosse stato determinato in funzione di un
servizio strutturato soprattutto sull’espletamento di tale tipologia di
raccolta. Ne sono scaturiti danni pubblici sotto tre profili distinti,
tutti accertati dalla Corte (ingiustificato costo sostenuto a titolo di
tariffa smaltimento rifiuti; esborso per le situazioni emergenziali;
nocumento derivante dal collasso del piano integrato dei rifiuti e dei
costi emergenziali).
I precedenti
Con la sentenza n. 386/2009 dell’aprile scorso, la sezione aveva
già condannato alcuni amministratori del comune di C. al risarcimento
del danno derivante dal mancato funzionamento del servizio di igiene
ambientale, per “trascuratezza degli obblighi istituzionali”, in quanto
gli stessi non avevano tempestivamente ed adeguatamente contestato e
fatto valere reiterati inadempimenti del soggetto gestore del servizio
di igiene urbana, aderendo a richieste di adeguamento dei corrispettivi
e a proposte di transazione.