Danno esistenziale, non rientra né nel danno biologico né nel danno morale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA 6 febbraio 2007, n. 2546
Svolgimento del processo
Con citazione del 31.12.1993 M.D., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sul fi­glio minore G.F., ha agito per il risarci­mento dei danni conseguenti al decesso del coniuge A.F., verificatosi il 7.10.1985 a causa del­le lesioni riportate nello scontro tra il ciclomotore condotto dalla vittima e l’autocarro di proprietà di G.R., condotto da C.R., non coperto da assicurazione.
Il Tribunale di Torre Annunziata ha condannato i R. e le Assicurazioni Generali s. p. a. , quest’ ultima quale impresa designata dal F.G.V.S., al pagamento in solido della somma di lire 240.000.000 a titolo di ri­sarcimento del danno morale.
La sentenza è stata appellata in via principale da Generali Assicurazioni s.p.a., che ha dedotto di dover rispondere nei limiti del massimale previsto di lire 100.000.000, e in via incidentale dalla D., la quale ha altresì domandato la condanna della compagnia di assicurazioni e dei R. al risarcimento del danno biologico, del danno patrimoniale e del danno esisten­ziale, nonché al pagamento delle spese del giudizio in misura maggiore di quella liquidata dal primo giudice. Quanto al massimale, la D. ha controdedotto che il limite previsto dalla legge era di 150.000.000, e non di 100.000.00, e che, in ogni caso, lo stesso pote­va essere nella specie superato per mala gestio della società.
La Corte d’appello di Napoli ha escluso la mala ge­stio e, rilevato che il massimale di lire 150.000.000, pur rispondente alle previsioni di legge, non aveva formato oggetto di motivo specifico di impugnazione da parte della D., che mancava la prova del danno biologico e del danno patrimoniale, che la domanda re­lativa al danno esistenziale, diversamente dalle quelle concernenti gli altri danni, era stata proposta per la prima volta in appello, sicché era inammissibile, e che, infine, la censura relativa alle spese era generi­ca, ha limitato la condanna delle Generali a lire 100.000.000 ed ha rigettato l’appello incidentale.
Avverso quest’ultima decisione la D. in proprio e nella qualità ha proposto ricorso per cassa­zione affidandolo a tre motivi.
Generali Assicurazioni s.p.a. ha resistito con con­troricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi, ex art. 335 c.p.c.
Col primo motivo (violazione dell’art. 343 c.p.c.) la ricorrente principale ha dedotto che la Corte di me­rito ha errato nel ritenere che avrebbe dovuto proporre appello incidentale per far valere il maggior massimale dì lire 150.000.000 in luogo di quello di lire 100.000.000 dedotto dalle Generali quale limite della propria responsabilità, essendole stato liquidato in primo grado l’importo di lire 240.000.000 ed essendo pertanto risultata in tale grado e su tale punto total­mente vittoriosa.
La censura è fondata.
A parte che spetta al giudice accertare d’ufficio i limiti dei massimali di legge ai fini dell’applicazione degli artt.19 e 21 della legge n.990 del 1969, avendo i decreti con i quali tali limiti vengono fissati o modi­ficati natura di atti normativi, sebbene di rango non primario, sicché gli stessi non hanno bisogno di essere né provati né fatti oggetto di specifiche deduzioni (Cass. n. 4016 del 2006); allorquando, come nella spe­cie, il giudice di primo grado liquidi un importo che superi il limite di legge fatto valere dall’impresa de­signata dal FGVS, la parte che si è vista attribuire tale maggiore importo, da considerare per ciò stesso vittoriosa sul punto, non ha l’onere di proporre appel­lo incidentale per far valere un diverso limite di leg­ge, maggiore di quello dedotto dall’impresa ma inferio­re all’importo liquidato, essendo a tal fine sufficien­te una mera controdeduzione o difesa.
Col secondo motivo (omessa insufficiente e contrad­dittoria motivazione su un punto decisivo della contro­versia, nonché violazione e falsa applicazione della legge 990/69) la ricorrente principale ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la società era incorsa in mala gestio, per cui avrebbe dovuto rispondere oltre il limite del massima­le.
La censura è inammissibile.
La valutazione del comportamento dell’assicuratore ai fini della configurabilità di una responsabilità per mala, gestio si risolve in un giudizio di mero fatto, riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente mo­tivato con riferimento alla messa a disposizione del massimale di legge, da parte dell’ impresa designata, attese le concorrenti pretese del datore di lavoro della vittima per il rimborso di somme erogate al­la famiglia in conseguenza del decesso, mediante depo­sito fruttifero in banca a favore dell’avente di­ritto.
Né rileva, come pure prospettato dalla ricorrente, che per giurisprudenza di questa o di altra Corte il datore di lavoro della vittima non potesse far valere alcun diritto sulle somme dovute al lavoratore o ai suoi eredi a titolo di risarcimento del danno morale (o biologico): la valutazione della condotta dell’assicuratore va sì effettuata ex ante, ma secondo un parametro di diligenza media, che certamente non contempla la conoscenza della giurisprudenza.
Col terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art.1226 ce, nonché del d.p.r. n.585/94) la ri­corrente principale ha dedotto che: contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, il danno biolo­gico e il danno patrimoniale per la morte di un con­giunto in conseguenza del fatto illecito altrui sono in re ipsa., discendendo dal fatto in sé, sicché, quand’anche non provati nel loro esatto ammontare, van­no riconosciuti e liquidati in via equitativa; che il danno esistenziale deve ritenersi sempre ricompreso nella domanda introduttiva di risarcimento dei danni, per cui è da escludere che la richiesta esplicitata in appello possa considerarsi nuova e inammissibile; che la doglianza relativa alle spese del primo grado non era affatto generica.
Le prime tre censure sono infondate.
E’ configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi. Il risarcimen­to, perciò, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass. n. 1442 del 2002).
Del pari, non essendo configurabile un danno patri­moniale “in re ipsa”, il diritto al risarcimento di ta­le danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex art. 2043 ce., ri­chiede l’accertamento che i medesimi siano stati priva­ti di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass. n. 12597/2001, n. 3549/2004 e n. 4980/2006) .
Il danno esistenziale, da intendere come ogni pre­giudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducen­dolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass.6572/2006), non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un auto­nomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratte­ristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art, 345.
La quarta censura, concernente il rigetto dell’appello sul punto della liquidazione delle spese fatta dal primo giudice, è inammissibile, essendo rima­sta anche in questo grado su un piano di assoluta gene­ricità.
Col proprio mezzo la ricorrente incidentale ha de­dotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il massimale di legge era all’epoca del si­nistro di lire 100.000.000 e non di lire 150.000.000.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale. Sarà il giudice di rinvio ad accertare l’ammontare del massimale di legge previsto per singolo danneggiato.
In conclusione: va accolto il primo motivo del ri­corso principale, vanno rigettati gli altri motivi del medesimo ricorso e, assorbito il ricorso incidentale, va cassata in relazione la sentenza impugnata e la cau­sa va rinviata anche per le spese ad altra sezione del­la Corte d’appello di Napoli.
P.Q.M.
la Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo mo­tivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi del medesimo ricorso, assorbito il ricorso incidentale, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.