Decreto di espulsione va tradotto salvo l’attestazione motivata della impossibilità
Un cittadino brasiliano può essere espulso dal territorio italiano
se non conosce la lingua spagnola (tenuto conto del fatto che la lingua
ufficiale del Brasile è il portoghese)?
Sul quesito si è espressa recentemente la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21357 depositata il 7 ottobre u.s.
La natura del provvedimento di espulsione
Il
provvedimento di espulsione, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato
sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è
tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento
dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione,
i quali consistono nella mancata richiesta in assenza di cause di
giustificazione del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od
annullamento o nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne
abbia comportato il diniego.
Non è invece consentita al giudice
investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione alcuna
valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia
rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne
abbia negato il rinnovo poichè tale sindacato spetta al giudice
amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un
antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione.
Sull’argomento,
la giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005, n. 20125;
Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2005, n. 28869; Cass. civ., sez. un.,
16 ottobre 2006, n. 22217; Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2006, n.
22663) ritiene che il giudice dell’espulsione è tenuto solo a
verificare la carenza di un titolo che giustifichi la presenza dello
“straniero” sul territorio nazionale, non anche la regolarità
dell’azione amministrativa svolta al riguardo, le cui carenze non
possono essere dedotte come motivo di impugnazione dell’espulsione.
Ne
consegue che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice
amministrativo per l’impugnazione dei predetti provvedimenti negativi
non giustifica la sospensione e la cessazione del processo instaurato
dinanzi al giudice ordinario con l’impugnazione del decreto di
espulsione del prefetto attesa la carenza di pregiudizialità giuridica
necessaria tra il processo amministrativo e quello civile (Contra Cass. civ., 20 giugno 2000, n. 8381).
Traduzione del decreto di espulsione ed art. 13, comma 7, del D.Lgs. 286/1998
In
punto di fatto è il caso di osservare che l’Ufficio territoriale del
Governo di Savona, in persona del Prefetto pro-tempore, ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 26 febbraio 2007 con
cui il Giudice di pace di Savona, in accoglimento dell’opposizione
proposta dalla cittadina brasiliana, ha annullato il provvedimento di
espulsione emesso, nei suoi confronti, dal Prefetto di Savona il 10
maggio 2006.
Secondo i giudici di legittimità, il
provvedimento del questore notificato non risultava redatto in una
lingua conosciuta dalla straniera, così come richiede il D.Lgs. n. 286 del 1998,
art. 13, comma 7, ma, stante l’impossibilità di reperire un traduttore
di lingua portoghese, lingua ufficiale del Brasile, era stato redatto
in lingua italiana e spagnola, sulla presunzione che l’espellenda
conoscesse tali idiomi. Inoltre, la giustificazione dell’impossibilità
della immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale
nella lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di
essa a rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in
cassazione, non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di
merito.
Di qui l’illegittimità del provvedimento per difetto di
motivazione in ordine alla scelta di una delle lingue di redazione
dell’atto (l’art. 13, comma 7 prescrive infatti che l’ordine del
questore deve essere tradotto allo straniero “in una lingua da lui
conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese inglese o
spagnola”).
Ciò premesso, si osserva che il comma 7, dell’art. 13 del D.Lgs. 286/1998
pone una norma di civiltà giuridica, affermando che il decreto di
espulsione – come pure il provvedimento con cui lo straniero viene
introdotto temporaneamente in un centro di accoglienza (art. 14, comma
1), nonchè ogni altro atto concernente l’ingresso in Italia, il
soggiorno o l’espulsione – devono essere comunicati all’interessato,
unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e a una
traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia
possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.
Dalla
disposizione in esame si evince che l’obbligo di traduzione del
provvedimento del questore in una lingua conosciuta dallo straniero non
è assoluto, ma è derogabile tutte le volte in cui l’autorità
amministrativa attesti e specifichi le ragioni tecnico-organizzative
per le quali tale traduzione non sia possibile e si imponga per
l’effetto la traduzione in una delle tre lingue predeterminate dalla
norma (francese, inglese, spagnolo).
Va da sè che tale
attestazione deve riguardare la lingua conosciuta dallo straniero
espellendo, una lingua evidentemente diversa da una di quelle cd.
internazionali (francese, inglese, spagnolo). Ciò significa che
l’autorità amministrativa, nel disporre la traduzione del provvedimento
in una delle tre lingue specificamente indicate come obbligatorie, deve
accertare preventivamente quale di queste tre lingue sia conosciuta
dallo straniero, qualora non sia possibile eseguire la traduzione nella
sua lingua madre.
Una traduzione in una delle tre lingue
comuni e più diffuse come quelle indicate (francese, inglese, spagnolo)
che non sia accompagnata da alcun accertamento preventivo sul punto è
destinato ad inficiare la regolarità della traduzione e quindi del
provvedimento amministrativo, e questo perchè la ratio della norma è
proprio quella di assicurare allo straniero la comprensione della
misura e l’apprestamento della sua difesa (Cass. civ., Sez. 1, 7 luglio
2000, n. 9078).
Esplicita sul punto si è mostrata anche la
Corte costituzionale che, pur dichiarando manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7 nella
parte in cui non prevede l’obbligatorietà della traduzione del decreto
di espulsione notificato allo straniero nella sua lingua madre, ha
tuttavia evidenziato che spetta al giudice di merito verificare se il
provvedimento di espulsione sia stato tradotto in una lingua conosciuta
o conoscibile dallo straniero, al fine di accertare se l’atto ha
raggiunto o meno lo scopo cui è preordinato (Corte Cost., 8-21 luglio
2004, n. 257).
Ne consegue che la traduzione si configura come
condizione di validità del provvedimento e che l’emissione del
provvedimento in lingua italiana accompagnato dalla traduzione in una
delle tre lingue dianzi indicate (francese, inglese, spagnolo)
presuppone, a pena di invalidità del decreto, l’acquisizione della
prova della conoscenza da parte dello straniero di una di queste lingue.
SEZIONE I CIVILE
Ordinanza 22 maggio – 7 ottobre 2009, n. 21357
(Presidente Salmè – Relatore Giusti)
Ritenuto
che il relatore designato, nella relazione depositata il 13 febbraio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:
“L’Ufficio
territoriale del Governo di Savona, in persona del Prefetto
pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in
data 26 febbraio 2007 con cui il Giudice di pace di Savona, in
accoglimento dell’opposizione proposta dalla cittadina brasiliana S. C.
A. P., ha annullato il provvedimento di espulsione emesso, nei suoi
confronti, dal Prefetto di Savona il 10 maggio 2006.
Il ricorso dell’Ufficio territoriale è affidato a quattro motivi di censura.
L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il
primo ed il quarto motivo sono manifestamente fondati. Per un verso,
non rileva la circostanza, valorizzata invece dal giudice a quo, che la
straniera, durante la sua breve permanenza in Italia, abbia espletato
una attività lavorativa e condotto una vita dignitosa: secondo la
giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 25 febbraio 2004, n. 3746),
nell’ipotesi di espulsione dello straniero che si trattenga nel
territorio dello Stato senza avere chiesto il permesso di soggiorno nel
termine prescritto, il decreto di espulsione costituisce un atto a
carattere vincolato, la cui adozione non richiede dunque l’accertamento
e la valutazione da parte del prefetto della ricorrenza di ulteriori
ragioni giustificative dell’adozione della misura. Per l’altro verso,
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, all’omessa consegna
al cittadino straniero, al momento del suo ingresso in territorio
italiano, della nota scritta illustrativa dei suoi diritti e dei suoi
doveri relativi all’ingresso ed al soggiorno in Italia, prevista
dall’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, non è espressamente
collegato alcun effetto sanzionatorio e deve escludersi che da tale
violazione possa inferirsi l’efficacia sanante della condizione
d’irregolarità del soggiorno in Italia dello straniero privo di
regolare permesso, giacché la scelta dello straniero di fare ingresso
in Italia per motivi di turismo comporta l’insorgenza, a carico del
medesimo, dell’onere di assumere informazioni circa la normativa
vigente in Italia (cfr. Cass., Sez. I, 16 marzo 2006, n. 5825).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato.
Il
Giudice di pace ha annullato il provvedimento prefettizio – tradotto in
spagnolo – per mancata traduzione nella lingua madre (il portoghese)
dell’espulsa. Il Giudice di pace non ha preso in considerazione
l’attestazione dell’Amministrazione circa l’impossibilità di reperire
in tempi brevi un interprete di lingua conosciuta dalla persona
straniera. Il Giudice di pace si è cosi allontanato dal principio di
diritto – costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, 29
novembre 2006, n. 25362) – secondo cui, in tema di espulsione
amministrativa dello straniero, l’obbligo dell’autorità procedente di
tradurre la copia del relativo decreto nella lingua conosciuta dallo
straniero stesso è derogabile tutte le volte in cui detta autorità
attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia
impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate
dalla norma di cui all’art. 13, comma 7, del d.lgs. 286 del 1998
(francese, inglese, spagnolo), atteso che tale attestazione è nel
contempo, condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il
decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità senza che il
giudice di merito possa ritenersi autorizzato a sindacare le scelte
della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate
traduzioni nella lingua dell’espellendo. In particolare, come chiarito
dall’art. 3 del d.P.R. n. 334 del 2004, che detta norme regolamentari e
di attuazione del citato art. 13, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998,
sempre che il giudice non accerti la sufficiente conoscenza da parte
dello straniero della lingua italiana, l’attestazione da parte
dell’autorità procedente della indisponibilità di personale idoneo alla
traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero della sintesi del
contenuto del decreto di espulsione è condizione sufficiente per la
validità della traduzione in una delle predette tre lingue, per le
quali l’interessato abbia indicato preferenza.
Anche il terzo
motivo appare manifestamente fondato, perché il provvedimento del
questore di intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro
cinque giorni non è soggetto a convalida da parte del giudice
ordinario. È costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un.,
18 ottobre 2005, n. 20121) il principio secondo cui il provvedimento
con il quale il questore, ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis, del
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ordina allo straniero colpito da
provvedimento prefettizio di espulsione di lasciare il territorio dello
Stato entro cinque giorni, non è suscettibile di autonoma impugnazione
davanti all’autorità giudiziaria ordinaria con il procedimento previsto
per l’opposizione all’espulsione dall’art. 13 del medesimo d.lgs., non
essendo ammissibile una indeterminata espansione dei mezzi di tutela
tassativamente indicati dalla legge. Né ciò comporta una carenza di
tutela giurisdizionale, in quanto, da un lato, la predetta intimazione
non incide sulla liberta personale dell’espulso (non ristretto presso
un centro di permanenza temporanea, né sottoposto all’accompagnamento
coattivo alla frontiera) e, pertanto, non comporta l’adozione degli
strumenti giurisdizionali di controllo espressamente previsti per le
convalide delle misure restrittive; dall’altro, il controllo sulla
sussistenza dei presupposti per adottare l’intimazione è demandato al
giudice penale nell’ambito del giudizio sull’imputazione ascritta al
soggetto espulso che si sia trattenuto senza giustificato motivo nel
territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal
questore, potendo, in quella sede, l’autorità giudiziaria disapplicare,
ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l’atto
presupposto che sia stato assunto illegittimamente”.
Considerato
che il Collegio non condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione depositata;
che,
in particolare, con riferimento alla questione della mancata
traduzione, articolata con il secondo motivo, il Giudice di pace ha
rilevato che il decreto prefettizio è stato redatto in lingua italiana
e spagnola, sulla presunzione che l’espellenda conoscesse tali idiomi,
mentre la lingua conosciuta dalla stessa risulta essere quella
portoghese, lingua ufficiale del Brasile;
che la questione della
presenza, nella relata di notifica del decreto di espulsione, di una
attestazione della Amministrazione nel senso della impossibilità della
immediata disponibilità di un traduttore ed interprete ufficiale nella
lingua madre della cittadina straniera, e della sufficienza di essa a
rendere valido il decreto, è proposta per la prima volta in cassazione,
non risultando che di essa si sia discusso nel giudizio di merito;
che, quindi, il motivo che veicola detta censura è inammissibile;
che,
pertanto, poiché nell’ordinanza del Giudice di pace la mancata
traduzione del decreto di espulsione è ragione sufficiente della
invalidità dello stesso e, in questa parte, la pronuncia impugnata si
sottrae alla censura dell’Amministrazione, il ricorso, nel suo
complesso, va respinto, restando assorbito l’esame delle altre
doglianze;
che nessuna pronuncia sulle spese deve essere emessa, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.