Demansionamento: al lavoratore intransigente spetta solo il 50 per cento del risarcimento
Una programmista regista, inquadrata nel 1° livello classe A quadro del contratto collettivo di categoria, lamentava dinanzi al Giudice territoriale competente che a decorrere dalla soppressione dell’ultimo programma da lei ideato e curato era stata ridotta in condizione di inattività e, pertanto, chiedeva che venisse accertato il perdurante demansionamento con condanna della società a reintegrarla in mansioni identiche e al risarcimento del danno.
La società ribatteva di aver provveduto a riorganizzare l’attività lavorativa in modo tale da far confluire sotto la direzione della lavoratrice il programma da lei ideato anche se con ridimensionamento delle rubriche e riformulazione dell’intera fascia mattutina, invitando, inoltre, la regista a proporre nuovi programmi.
La lavoratrice non aveva aderito a tale invito e continuava a chiedere che le venisse offerta l’assegnazione a mansioni equivalenti a quelle precedentemente assolte. Il giudice di primo grado accoglieva le doglianze della lavoratrice confermando il demansionamento e ritenendo provato il danno alla professionalità arrecato dalla società.
Avverso tale decisione ricorreva per Cassazione la S.p.a..
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte – con la sentenza n. 15679 depositata il 24 giugno 2013 – ha affermato che “deve ritenersi sussistente il demansionamento del dipendente, laddove i nuovi incarichi attribuiti, per quanto corrispondenti alla declaratoria contrattuale dell’interessato, risultino comunque riduttivi in base ai compiti disimpegnati nel passato dal lavoratore e il datore non riesca a provarne l’equivalenza”. Non solo, la Corte ha anche precisato che “deve ritenersi equa la liquidazione del risarcimento del danno nella misura del 50 per cento della retribuzione per l’atteggiamento intransigente mostrato dal lavoratore, prossimo alla pensione, nel ricollocarsi dopo la ristrutturazione aziendale”.
Fonte: www.fiscopiu.it