Depuratore di Cuma, la Procura indaga
Sono i finanziamenti il punto centrale dell’inchiesta sul depuratore di Cuma:
i soldi erogati dalla Regione alla Hydrogest per la gestione
dell’impianto flegreo finito al centro di denunce, esposti e
segnalazioni.
La Procura punta a fare presto, ad acquisire dati documentali e ad
incrociare testimonianze in grado di mettere a fuoco il reale
funzionamento della struttura di depurazione. Ampio lo spettro
dell’inchiesta.
Si va dagli aspetti contabili a quelli di natura tecnica. Il primo
punto riguarda il rapporto triangolare tra Palazzo Santa Lucia, i
vertici della società che gestisce la struttura, il versamento degli
stipendi resi in questi anni ai dipendenti. Il secondo punto da
approfondire sotto il profilo penale riguarda invece gli accordi
stabiliti tra gestori e ente pubblico per migliorare il funzionamento
di una struttura finita nel corso della precedente gestione sotto
processo: possibili, dunque, degli accertamenti sugli accordi messi
nero su bianco all’esito della gara d’appalto, in relazione alla
necessità di apportare modifiche e miglioramenti a un depuratore che
copre un’ampia fetta di costa regionale.
Nelle ultime ore, la Procura ha acquisito le sentenze delle condanne
nei processi (per disastro ambientale) datati nel 2003 sulla precedente
gestione. Diversi gli interrogativi affrontati in seno al pool
ecologia, guidato dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara: quali sono
stati gli standard di funzionamento del depuratore sotto la gestione
Hydrogest? Cosa prevedeva il contratto in caso di un servizio non
all’altezza delle aspettative? Da Palazzo Santa Lucia che strategia è
stata adottata in caso di cattivo funzionamento della struttura
flegrea? Dopo le indagini sugli impianti di cdr, ritenuti dai pm
incapaci di assicurare le ecoballe richieste dal contratto, si passa a
scavare su un nuovo versante del rapporto tra pubblica amministrazione
e soggetto privato.
Un’inchiesta che ha preciso momento di partenza, con il racconto fatto
ai carabinieri da un potenziale testimone. E che ha già un passaggio
obbligato, per quanto marginale: con l’iscrizione nel registro degli
indagati – l’accusa è di interruzione di pubblico servizio – dei
lavoratori che qualche giorno fa hanno sollevato il caso Cuma
incrociando le braccia.