Dequalificazione: no al danno biologico anche senza perizia se un medico attesta che è il lavoratore a essere depresso
È l’azienda che fa mobbing o il dipendente che
somatizza? Certo è che il lavoratore si sente dequalificato e si
dimette, chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale. Ma
invano. Corretta la valutazione della Corte d’appello che esclude il
danno biologico senza una consulenza medico-legale: al dipendente
dimissionario è sì diagnosticata una sindrome depressiva, che tuttavia
è fondata sulla sua personale percezione delle vicende lavorative. È
quanto emerge dalla sentenza 9379/10, emessa dalla sezione lavoro della
Cassazione.
Il caso
Il lavoratore lamenta una
dequalificazione sfociata in una forzosa inattività che lo ha costretto
a dimettersi. L’azienda replica che il mutamento di mansioni è dovuto
alla riorganizzazione aziendale. Risultato? Dopo la vittoria in primo
grado, il dimissionario è sconfitto in appello e ora il “no” al danno
biologico risulta confermato perché la lesione non trova riscontri
probatori: la relazione clinica prodotta in giudizio diagnostica al
presunto danneggiato un «disturbo dell’adattamento alla situazione
lavorativa», è quello che gli crea l’«impegno somatico»; è lecita,
dunque, la scelta del giudice del merito che esclude la necessità di
effettuare una consulenza tecnica d’ufficio sul danno biologico
lamentato: il ricorso alla Ctu rientra nel suo potere discrezionale e
la motivazione può essere anche implicita, laddove emerge dalle
argomentazioni svolte e dal quadro probatorio. La Suprema coglie
l’occasione per fare il punto sul danno risarcibile in base
all’articolo 2059 del Codice civile: si tratta della lesione di
interessi inerenti la persona che non sono connotati da rilevanza
economica; all’interno di questa ampia categoria la giurisprudenza ha
individuato tre sottoinsiemi, che tuttavia hanno valore meramente
descrittivo: il pregiudizio morale, riconducibile alla sofferenza
soggettiva; il danno biologico, cioè la lesione all’integrità
psico-fisica; il danno che un tempo si chiamava «esistenziale» e che
riguarda le attività con cui l’individuo si realizza e che incidono sul
suo “fare”.