Diffida ad adempiere: qual termine può essere considerato congruo?
La sentenza in argomento riveste notevole importanza al fine della definizione dei requisiti della diffida ad adempiere una prestazione non sempre chiari ed univoci.
Nel caso di specie due contraenti stipulano un preliminare di compravendita di un immobile, prorogando poi il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo. Il venditore dapprima invia una diffida ad adempiere, entro un termine di 5 giorni, ma poi, invitato dalla controparte a comparire davanti al notaio, non si presenta. Il Tribunale di Lucca, investito della causa, ritiene efficace la diffida inviata e dichiara pertanto risolto il contratto per inadempimento del promittente acquirente. Tale decisione, però, viene completamente ribaltata dalla Corte di Appello di Firenze con conseguente trasferimento dell’immobile all’acquirente ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Naturalmente, contro tale decisione il venditore propone ricorso per cassazione.
La Suprema Corte con la propria decisione chiarisce molti aspetti connessi alla diffida ad adempiere, precisando che per quanto esista una regola generale del nostro ordinamento secondo la quale il termine concesso al debitore con la diffida ad adempiere, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, non può essere inferiore a quindici giorni, la stessa non è assoluta, potendosi assegnare, a norma dell’art. 1454, c. 2 c.c., un termine inferiore ritenuto congruo per la natura del contratto e per gli usi. In tal caso l’accertamento della congruità dei termine costituisce un giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici.
Nella specie, la Corte di Appello ha, difatti, ritenuto eccessivamente breve il termine di cinque giorni anche in considerazione del fatto che gravando sul promittente acquirente la scelta del notaio, la condotta adempiente pretesa con la diffida doveva comprendere anche l’ottenimento di un appuntamento con il professionista per la predisposizione e la firma del rogito (impresa non facile da ottenere in pochi giorni).
Tali argomentazioni secondo la Corte di Cassazione sono, quindi, del tutto immuni da vizi logici e giuridici, in quanto la Corte territoriale ha giustamente commisurato la valutazione della congruità del termine alla natura delle attività da compiersi dal promittente acquirente in base al contratto preliminare.
Non possono assumere rilievo in tale sede altre considerazioni svolte dall’attore in merito ad un comportamento più diligente del convenuto in quanto si tratta di argomentazioni che secondo la Corte sono svolte ad abundantiam e non incidono sull’effettiva ratio decidendi, rappresentata dalla inadeguatezza del termine assegnato con atto di diffida in rapporto alla natura della prestazione richiesta alla controparte.
Nel presente giudizio la Suprema Corte chiarisce anche quali siano i limiti delle censure da opporre in sede di legittimità. Difatti contestazioni inerenti eventuali comportamenti rilevanti di controparte non possono essere ammesse, poiché si risolvono nella denuncia di meri errori di percezione intesi come affermazioni di realtà fattuali processuali in contrasto con quelle effettive. Ci si trova, quindi, di fronte ad eventuali vizi revocatori da far valere ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c.