Diritti ed oneri applicabili agli operatori di servizi di telecomunicazione
Non contrasta con le regole comunitarie una normativa nazionale che preveda l’imposizione di diritti agli operatori di servizi di telecomunicazione titolari di licenze individuali per l’uso di frequenze radio, senza prescrivere una destinazione specifica degli introiti ottenuti mediante tali diritti, e che aumenti in modo significativo l’importo dei medesimi per una determinata tecnologia senza modificarlo per un’altra.
Questo il “verdetto” della CGE, espresso nella sentenza dello scorso 10 marzo, originata da una domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione dell’articolo 11, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 aprile 1997, 97/13/CE, che disciplina la materia delle autorizzazioni generali e licenze individuali nel settore delle telecomunicazioni.
In particolare la questione pregiudiziale riguarda la compatibilità con la normativa comunitaria in materia di una normativa nazionale che preveda l’imposizione di diritti agli operatori di servizi di telecomunicazione titolari di licenze individuali per l’uso di frequenze radio, senza prevedere una destinazione specifica degli introiti ottenuti mediante tali diritti, e che aumenti in modo significativo l’importo dei medesimi per una determinata tecnologia senza modificarlo per un’altra. La Corte, in via preliminare, chiarisce che, ai sensi della Direttiva 97/13, gli Stati membri possono imporre alle imprese nel settore dei servizi di telecomunicazione solo oneri fondati su criteri oggettivi non discriminatori, trasparenti e di entità tale da non ostacolare l’obiettivo fondamentale della piena apertura del mercato alla concorrenza. In particolare, i diritti imposti alle imprese titolari di licenze individuali a norma dell’art. 11 della Direttiva 97/13, devono essere destinati esclusivamente a coprire le spese amministrative sostenute per la concessione di tali licenze, mentre solo in caso di utilizzo di risorse rare gli Stati membri sono autorizzati a fissare, diritti supplementari finalizzati ad assicurare l’uso ottimale di tali risorse. Ma deve in ogni caso trattarsi di forme di prelievo non discriminatorie e non vessatorie, che tengano conto della necessità di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e della concorrenza La direttiva individua quindi le finalità e i requisiti degli oneri connessi al rilascio delle licenze nell’utilizzo ottimale delle risorse rare e nella garanzia della concorrenzialità dei mercati, ma nulla dice sulle modalità concrete di determinazione dell’importo di tali diritti o sull’uso che deve esserne fatto. Ciò significa che tale operazione rientra nella piena competenza degli Stati membri, i quali però per realizzare gli obiettivi imposti dal legislatore comunitario devono fissare l’importo di tali diritti ad un livello adeguato, non eccessivo né sottovalutato, tale da un lato da non scoraggiare l’uso delle risorse rare, e, dall’altro, da non nuocere ad un utilizzo efficiente delle stesse.
Ed in ogni caso l’entità degli oneri sulle licenze non può essere tale da ostacolare l’accesso di nuovi operatori sul mercato riducendo così la capacità innovativa degli operatori di servizi di telecomunicazione. In linea di principio, quindi, gli Stati non possono applicare diritti diversi agli operatori concorrenti per l’utilizzo di risorse rare il cui valore appaia economicamente equivalente.
Quanto alle finalità cui i diritti in esame possono essere destinati, in assenza di specifiche indicazioni della Direttiva 97/13, gli Stati membri possono utilizzare liberamente tale gettito.
In merito alla legittimità comunitaria di una eventuale differenziazione dell’importo dei diritti sull’uso delle frequenze, la Corte rileva che l’obiettivo di assicurare un impiego ottimale delle risorse non osta a che gli Stati operino una distinzione tra la tecnologia analogica e quella digitale o, nell’ambito delle singole tecnologie, tra i diversi usi che ne vengono fatti, purché naturalmente siano assicurate le pari opportunità tra i diversi operatori economici.
In linea di principio, l’obiettivo in questione non può nemmeno ostare alla possibilità per gli Stati di aumentare, anche in maniera significativa, l’importo esigibile di detti diritti per una certa tecnologia, senza modificarlo per un’altra tecnologia. Anche se, come anticipato, in linea di principio gli Stati non possono applicare diritti diversi agli operatori concorrenti per l’utilizzo di risorse rare il cui valore appaia economicamente equivalente.
Spetta quindi al giudice del rinvio valutare, nel caso concreto, se la normativa nazionale risponda o meno ai requisiti e alle condizioni prescritte. Alla luce di queste argomentazioni la Corte conclude nel senso che l’articolo 11, numero 2 della Direttiva 97/13 non osta ad una normativa nazionale che preveda l’imposizione di diritti agli operatori di servizi di telecomunicazione titolari di licenze individuali per l’uso di frequenze radio, senza prescrivere una destinazione specifica degli introiti ottenuti mediante tali diritti, né all’adozione di disposizioni che incrementino in modo significativo l’importo dei medesimi per una determinata tecnologia senza modificarlo per un’altra.