Diritto bancario: caso pratico in tema di indebita applicazione da parte delle Banche di interessi anatocistici e delle commissioni di massimo scoperto
Il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento, nella recentissima sentenza n. 116 del 2012 ha accolto la domanda della Società Alfa & C. S.A.S. che lamentava l’indebita applicazione da parte della Banca … di interessi anatocistici e delle commissioni di massimo scoperto.
Infatti la suddetta sentenza n. 116/2012 del Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento recita testualmente:
<< … Con atto di citazione notificato il …, la Società Alfa & C. S.A.S., premesso di aver intrattenuto un contratto di conto corrente (n. …) dal 1993 al 1998 presso la Filiale di … del … conveniva in giudizio tale istituto di credito, dinanzi a questo Tribunale,
lamentando l’indebita applicazione di interessi anatocistici, delle commissioni di
massimo scoperto, competenze spese e onorari applicati nel corso dell’intero rapporto e chiedendo accertarsi l’illegittimità di tali addebiti e condannarsi la convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi debitori a tasso
non dovuto e di interessi anatocistici, capitalizzati trimestralmente in violazione del
disposto dell’art. 1283 c.c. .
Instauratosi il contraddittorio, la banca convenuta si costituiva eccependo la nullità ex art. 164 c.p.c. della domanda e laprescrizione dei diritti fatti valere e, nel merito,
contestando la pretesa attorea; concludeva, pertanto, per il rigetto della stessa con vittoria di spese.
Quindi la causa, all’esito dell’istruttoria nel corso della quale veniva prodotta documentazione e disposta c.t.u., sulle conclusioni precisate dalle parti e concessi i
termini di cui all’art. 190 c.p.c, era riservata per la decisione.
La domanda è fondata e va, pertanto, accolta.
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità della domanda per indeterminatezza
della stessa, dal momento che nell’ atto di citazione è indicato il conto corrente di
riferimento e le voci che si assumono illegittime. Pertanto, la domanda è
sufficientemente specificata, consentendo alla convenuta, come del resto avvenuto nel
presente giudizio, la piena esplicazione del diritto di difesa.
Va parimenti respinta l’eccezione di prescrizione dell’ azione di ripetizione dell’ indebito
sollevata da parte convenuta, sul presupposto che tale prescrizione decorre
dall’ annotazione in conto delle relative poste.
Tale tesi è stata di recente definitivamente confutata, con argomentazioni assolutamente
condivisibili, dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24418 del
2.12.2010, secondo cui “l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una
banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli
interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito
bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la
quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola
posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione,
giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente
quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con
conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens. Di pagamento, nella
descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di
apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la
restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non
dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’ atto della chiusura del conto”.
Né a diverse conclusioni conduce la norma di cui all’art. 2, comma 61, della legge n.
10/11, invocata da parte convenuta.
Tale norma prevede che “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai
diritti nascenti dall ‘annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’ annotazione
stessa”.
Pur dovendosi ritenere la norma evidentemente di interpretazione autentica e pertanto di
immediata applicazione anche ai giudizi pendenti, si rileva come ai fini del decorso
della prescrizione della domanda di ripetizione la stessa non comporti alcuna
conseguenza, dal momento che, come sopra evidenziato, nessun diritto alla ripetizione
discende dall’operazione di mera annotazione.
L’eccezione di prescrizione, così come formulata, deve essere dunque rigettata.
In ogni caso, occorre evidenziare che la prescrizione applicabile è quella regolata con
termine decennale previsto dall’art. 2946 c.c., e non quello di prescrizione quinquennale.
Non può farsi riferimento, infatti, né alla prescrizione breve del diritto al risarcimento
del danno, trattandosi di obbligazione derivante dalla legge (2033 c.c.) e non da
obbligazione ex delicto, né a quella quinquennale di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., che
riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano
annualmente o in termini più brevi, non già la restituzione di parte degli stessi in quanto
indebitamente corrisposti.
Deve essere, inoltre, disattesa anche l’eccezione di irripetibilità degli interessi
corrisposti ex art. 2034 c.c ..
Il pagamento degli interessi passivi addebitati, infatti, non è idoneo a configurare
l’adempimento di un’ obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., con conseguente
irripetibilità della prestazione degli interessi, non ravvisandosi i presupposti richiesti
dalla disposizione citata, vale a dire la “spontaneità della dazione” e il convincimento di
eseguire doveri morali o sociali. Nessun adempimento spontaneo di un’obbligazione
naturale può, infatti, rinvenirsi nel comportamento del correntista che abbia versato somme maggiori in pagamento di interessi anatocistici pattuiti in contratto, quindi in
adempimento di un’obbligazione giuridica; ancorché in forma invalida e non già di mero
dovere morale o sociale. Come evidenziato dalla più autorevole dottrina, tali addebiti si
collocano nel quadro di un rapporto economico e di un meccanismo impositivo che
vede almeno la passività come una sorta di sostanziale soggezione del cliente, per cui
l’acquiescenza del cliente non può essere qualificata come obbligazione naturale, sia per
il difetto della spontaneità che della configurabilità di un obbligo morale e sociale.
Per quanto concerne la doglianza relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi – comportante il calcolo degli interessi sugli interessi scaduti – va osservato che la capitalizzazione infrannuale (per solito trimestrale) degli interessi costituisce una forma
di anatocismo praticata dalle banche per decenni, sulla base normativa offerta dall’art.
1283 cc. Tale disposizione, invero, prevede che “in mancanza di usi contrari” gli
interessi che siano già scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti,
però, di interessi dovuti almeno per sei mesi. E la suindicata prassi bancaria aveva più
volte superato il vaglio della Suprema Corte, che aveva riconosciuto in essa un vero e
proprio uso normativo, rientrante, pertanto, appieno nel disposto dell’art. 1283 cc.
Tuttavia, il suesposto, consolidato, indirizzo giurisprudenziale è stato posto in
discussione nel 1999 – in un contesto socio-culturale più attento alla tutela del
consumatore – affermandosi, da parte della Suprema Corte, che la prassi bancaria della capitalizzazione periodica degli interessi è riconducibile ad un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.), e non ad un uso normativo (artt. 1 e 8 disp. prel. c.c.), ed è, pertanto, in insanabile contrasto con l’art. 1283 cc (Cass. 1999, n. 2374, Cass. 1999, n. 3096, Cass. 1999, n.12508). Questo indirizzo è stato, poi, successivamente più volte ribadito dalla stessa Corte di Cassazione, tanto da potersi ormai ritenere consolidato ex plurimis, Cass. 2001, n. 6263, Cass. 2002, n. 1281, Cass. 2003, n.12222, Cass. 2003, n.13739).
Il legislatore è intervenuto, quindi, con il d.lg. n. 342/99, il cui art. 25, co. 2° ha inserito
nell’art. 120 del t.u. n. 385/93 un nuovo co. 2°, in forza del quale il CICR (Comitato
Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) è chiamato a stabilire le modalità ed i
criteri per la produzione degli interessi anatocistici, maturati nelle operazioni poste in
essere nell’esercizio dell’attività bancaria. In particolare, il predetto CICR deve
prevedere “in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori”.
L’art. 25, co. 3°, del d.lg. n. 342/99 aveva, altresì, fatta salva – fino all’entrata in vigore della delibera CICR, di cui al co. 2° della stessa norma – la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, nulle per violazione dell’art. 1283
cc; ma la disposizione in parola è stata, poi, dichiarata illegittima da C. Cost. n. 425/00.
Il CICR ha, intanto, provveduto, con la delibera del 9.2.2000, entrata in vigore il
22.4.2000, ad eseguire le direttive di cui all’art. 25, co. 2° d.lg. 342/99, stabilendo, in
particolare, che: l) in tutti i rapporti deve essere indicata la periodicità di
capitalizzazione degli interessi; 2) le clausole di capitalizzazione degli interessi devono
essere approvate specificamente per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 cc; 3) nei rapporti di conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nella capitalizzazione degli
interessi creditori e debitori. Ne consegue che, nel rispetto di tali previsioni contrattuali,
dall’1.7.00 – data indicata nella stessa delibera del CICR – la clausola anatocistica deve
ritenersi valida.
La nullità delle clausole anatocistiche stipulate prima dell’1.7.2000, per violazione
dell’art. 1283 cc, è stata, infine, nuovamente confermata da Cass. S.U. 2004, n. 21095.
Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, deve ritenersi,
riguardo al caso concreto, che la clausola del contratto n. 7 che prevede la
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sia affetta da nullità per violazione
dell’art. 1283 cc, in adesione alla citata giurisprudenza di legittimità, atteso che il
rapporto di conto corrente bancario si è svolto negli anni 1993 -1998 (quindi
anteriormente all’1.7.2000).
Né si può sostenere che la sottoscrizione del contratto e la mancata contestazione degli
estratti conto precludano la domanda di declaratoria della nullità delle clausole
anatocistiche atteso che la sottoscrizione del contratto non supera l’invalidità radicale
delle clausole che si pongono contra legem e che la mancata contestazione degli estratti
conto non pregiudica l’impugnazione a monte in ordine alla validità ed efficacia dei
rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti nel conto corrente (cfr.
Casso 2007, n. 2871).
Ciò posto, è necessario accertare l’entità della somma indebitamente ricevuta dalla
Banca che dovrà essere restituita al correnti sta o senza alcuna capitalizzazione degli
interessi o secondo un meccanismo di capitalizzazione annuale.
Ritiene questo giudice che la soluzione della capitalizzazione annuale sia (in conformità
ad un orientamento giurisprudenziale di merito allo stato prevalente: Trib. Milano
4.7.02, Trib. Roma 8.11.02 e Trib. Torino 14.11.02, in G.Me, 2003, 242; Trib. Roma
28.11.2002 e Trib. Reggio Calabria 28.6.02, G. Me 1003, 901; Trib. Torino 16.12.02,
G.I. 2003, 501) quella preferibile per i seguenti motivi: 1) corrisponde al criterio di
capitalizzazione applicato dalla Banca a favore della clientela; 2) tale cadenza di
capitalizzazione degli interessi appare conforme alla cadenza temporale “ex lege” degli
interessi, ricavabile dal disposto dell’art. 1284 cc 1° comma (il saggio degli interessi
legali è determinato… in ragione di anno); 3) ritenuta nulla la clausola di
capitalizzazione trimestrale per i conti anche saltuariamente a debito, resta comunque
operante la clausola uniforme generale, riportata nei contratti bancari, di chiusura al 31 dicembre di ogni anno; 4) l’anatocismo annuale è contemplato anche dalla delibera
ClCR.
Analogo discorso va fatto con riferimento alla commissione di massimo scoperto,
dovendosi convenire con quell’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Trib. Milano 2002, n.
8896) secondo il quale la clausola relativa va considerata nulla per mancanza di causa
nonché per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., atteso che, nel caso di specie,
non è possibile desumere dal contratto di conto corrente le modalità di calcolo della
commissione in parola prevedendo il medesimo contratto solo l’aliquota applicata.
Alla luce dei rilievi effettuati deve ritenersi del tutto corretta la capitalizzazione annuale
della commissione di massimo scoperto, operata dal c.t.u., allo stesso modo degli
interessi passivi.
Pertanto, rilevato che dalla CTU espletata è emerso che, applicando la capitalizzazione annuale, risulta un saldo a credito dell’attrice di euro …, l’istituto di credito convenuto deve essere condannato, ai sensi dell’art. 2033 cc, alla restituzione di tale somma, oltre interessi al
tasso legale dalla data della domanda giudiziale, in difetto di prova della mala fede della
banca convenuta.
Le spese processuali e di c.t.u. seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo …>>.
Nel corso del giudizio, la società attrice ha tra l’altro osservato che sulla eccezione di prescrizione sollevata da controparte, con richiamo all’art. 2 comma 61 L. n° 10/11, va precisato che:
A- Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, hanno affermato il principio di diritto per cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta da un correntista contro un intermediario bancario che lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi maturati, è soggetta all’ordinariaprescrizione decennale la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiamo avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Pertanto, soltanto al momento della chiusura del conto sorge il diritto di ripetere ciò che è stato pagato ed inizia a decorrere il termine prescrizionale, con conseguente irrilevanza giuridica della previsione dettata dall’art. 2, comma 61 del Decreto Milleproroghe poi convertito nella Legge 10/2011 facendo riferimento ai diritti nascenti dall’annotazione (tra cui non rientra il diritto alla ripetizione degli interessi indebitamente pagati).
B- La disposizione contenuta nel suddetto art. 2, comma 61, “in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge” ha natura dispositiva e non interpretativa per cui la stessa non può aver effetto che per l’avvenire (coerentemente alla regola generale di cui all’art. 12 delle preleggi del codice civile), con conseguente applicabilità alle sole cause instaurate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, non potendo disporre retroattivamente l’estinzione di un diritto già azionato in giudizio.
In tal senso indichiamo, di seguito, un breve elenco alla data del 07/09/2011 di alcune sentenze di condanna alle banche per anatocismo nonostante il decreto c.d. Milleproroghe, entrato in vigore lo scorso 27/02/2011 e rimesso alla Consulta della Corte Costituzionale da vari Tribunali d’Italia in merito alla norma relativa alla prescrizione sulla capitalizzazione degli interessi.
Ciò ad ulteriore dimostrazione del fatto che i rilievi di incostituzionalità mossi alla controversa norma sono fondati: nell’attesa dei tempi tecnici e burocratici della pronuncia della Corte Costituzionale, correntisti ed imprese vessate dagli interessi illegittimi continuano ad ottenere risultati contro le banche.