Diritto di “parola” ai figli contesi da genitori separati
L’audizione del minore da parte del giudice, nel corso di un
procedimento di modifica delle condizioni di separazione, concernente
l’affidamento, deve ritenersi obbligatorio, a meno che non risulti in contrasto con gli interessi fondamentali del minore.
Una sola eccezione, quindi, all’ascolto: quando da tale audizione possa arrecarsi un danno al minore.
Lo
hanno stabilito i giudici della Suprema Corte con la sentenza
22238/2009, i quali, oltre all’affermazione della obbligatorietà
dell’ascolto hanno, altresì, ribadito il concetto che i figli devono
ritenersi e, quindi, qualificarsi, come parti in senso sostanziale del procedimento, in quanto portatori di interessi contrapposti o, comunque, differenti rispetto a quelli dei genitori.
Costituisce,
pertanto, violazione dei due principi cardine del nostro ordinamento,
ovvero quello del contradditorio e del giusto processo, il mancato
ascolto del minore, oggetto di causa.
Oltre alla
questione della obbligatorietà gli Ermellini hanno, inoltre, deciso su
una questione altrettanto rilevante, ovvero in materia di litispendenza
e/o connessione internazionale di procedimenti.
Infatti nella stessa sentenza si legge che appartiene al giudice italiano la competenza
a decidere sulla revisione dell’affidamento dei figli minori nel caso
in cui la “stabile residenza” sia sempre stata in Italia, e anche nella
ipotesi in cui, poco prima dell’inizio del procedimento, la madre si
sia trasferita all’estero con loro (nel caso di specie lei era
finlandese e lui di Rieti.
Le normative di riferimento
Nella
propria decisione gli Ermellini si sono allineati a quanto stabilito
dall’articolo 6 della Convenzione di Strasburgo, ratificata con legge
n. 77 del 2003, dall’articolo 155 sexies c.c. (introdotto dalla Legge 54/2006), e dall’articolo 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1991.
L’audizione
del minore era prevista dal sopra citato articolo 12 della Convenzione
sui diritti del fanciullo di New York del 1991 che ritiene sussistere,
in caso di riconoscimento della capacità di discernimento del minore,
il diritto di questo di “esprimere liberamente la sua opinione su
ogni questione che lo interessa, dandogli la possibilità di essere
ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo
riguarda”.
Pertanto, in base a quanto stabilito da
tale norma sovranazionale, l’audizione del minore, oggetto del
procedimento, è da ritenersi necessaria.
L’altra citata Convenzione di Strasburgo, ratificata con la legge del 2003, prevede che “ogni
decisione relativa ai minori indichi le fonti di informazioni da cui ha
tratto le conclusioni che giustificano il provvedimento adottato anche
in forma di decreto, nel quale deve tenersi conto della opinione
espressa dai minori, previa informazione a costoro delle istanze dei
genitori nei loro riguardi e consultandoli personalmente sulle
eventuali statuizioni da emettere, salvo che l’ascolto o l’audizione
siano dannosi per gli interessi superiori dei minori stessi”.
Nella sentenza in commento i giudici della Suprema Corte, richiamando le sopra citate norme, hanno disposto che “L’audizione
dei minori che, nel procedimento per il mancato illecito rientro nella
originaria residenza abituale, non è imposta per legge, in ragione del
carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale
procedura (…), si ritiene, in genere, opportuna, se possibile (…)”.